La primavera fiorita e il grande assente. Il patrimonio musicale della Biblioteca palermitana dei Gesuiti nell’A.D. 1682

Autori

  • Maria Antonella Balsano

Abstract

Una fonte finora trascurata per documentare la conoscenza del repertorio coevo da parte dei compositori della scuola polifonica siciliana è l’Index alphabeticus scriptorum. Qui ad annum 1682. In Bibliotheca Collegii panormitani Soc. Iesu asservantur: di fatto il catalogo dell’intera biblioteca dei Gesuiti di Palermo. Il lungo elenco comprende testi di qualsiasi materia; la frequente latinizzazione del nome degli autori e dei titoli (riportati in modo sintetico, senza indicazioni su luogo, editore, anno di stampa e formato) rende spesso arduo identificarli. Quanto al materiale musicale, ritroviamo 17 trattati teorici: di questi 13 si trovano ancora oggi nella Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, erede dell’antica Biblioteca dei Gesuiti. Il testo più antico è la Practica musicae di Franchino Gaffurio (1502), il più tardo la Musurgia nova di Athanasius Kircher del 1673. Tra le stampe musicali, una ventina tra strumentali e collettive, quindi le individuali: 50 sacre e 80 profane, in gran parte madrigali: in totale 149 opere di 102 compositori. Tra questi, musicisti stranieri, italiani o italianizzati per lo più attivi nell’Italia centro-settentrionale, ma anche di area centro-meridionale; nomi di prima grandezza, di maggiore o minore risonanza e del tutto sconosciuti; infine una decina di opere non altrimenti attestate. Gran parte delle opere risale al Cinquecento e ai primi anni del Seicento: dunque un repertorio retrodatato, legato a generi musicali ormai desueti. I compositori siciliani sono 18, già tutti noti. Apprendiamo il titolo di una raccolta di Claudio Pari, forse significativo per le sue personali vicissitudini. Eclatante la totale assenza di opere di Monteverdi.

Si pongono due interrogativi: da dove provenivano tutte queste stampe, in gran parte profane? Verosimilmente dalla biblioteca di don Vincenzo Branciforti. E, come già si chiedeva Ottavio Tiby, «dove sono andate a finire?»

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Pubblicato

05/14/2021

Fascicolo

Sezione

Saggi