In collaborazione con Edizioni ETS
LIM Libreria Musicale Italiana
Scuola Normale Superiore di Pisa

Pisa, Scuola Normale Superiore 

29 - 31 ottobre 2010

Dépliant

Locandina

Programma e resoconto

Venerdì 29 ottobre, ore 15

Indirizzi di saluto:

  • Guido Salvetti, presidente della SIdM
  • Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa 


Sala A

  • Elisa Morelli, La musica vocale da camera di Gaspare Spontini
  • Massimo Distilo, Il repertorio di canzoni napoletane di Guglielmo Cottrau: contributo per una ricostruzione della sua formazione
  • Raffaele Di Mauro, La canzone napoletana pre-classica: da Guglielmo a Teodoro Cottrau (1824-1879). Fonti, ipotesi di periodizzazione e primi percorsi di analisi di un repertorio urbano
  • Carmela Petrone, Le canzoni di Salvatore di Giacomo nei fondi napoletani
  • Monica Sanfilippo, La chitarra “battente”, uno strumento musicale tra forma barocca e uso popolare
  • Emanuele Marconi, Fabricatore, costruttori a Napoli nel primo Ottocento. Profilo biografico attraverso gli strumenti conservati presso il civico museo degli strumenti musicali di Milano

Sala B

  • Cristina Fernandes, “Il dotto e rispettabile Don Giovanni Giorgi”, illustre maestro e compositore nel panorama musicale portoghese del Settecento
  • António Jorge Marques, A 16 voice Laudate pueri: an autograph of a new work by Niccolò Jommelli (1714-1774)?
  • Mário Trilha, David Perez's Didactic Works in Portugal and in Portuguese Sources
  • Ignacio Prats Arolas, Dottrina, istruzione e socializzazione nella Roma Settecentesca: tre cantate e un oratorio di Jommelli per il Collegio Nazareno di Roma
  • Christoph Riedo, Musica e liturgia nella Milano del Settecento
  • Adriana De Feo, Le serenate mozartiane e la serenata nel Settecento

 

Sabato 30 ottobre 2010, ore 9.30

Sala A

  • Russell E. Murray, Con viva voce: Hearing the Renaissance Musical Dialogue
  • Gioia Filocamo, Bambino “in quella maledetta Ungaria”: Ippolito I d'Este e la musica strumentale
  • Giuseppe Fiorentino, “Il secondo modo di cantare all'unisono”: Vincenzo Galilei e l'emancipazione della consonanza
  • Paola Ronchetti, Amorosi Gigli: il primo libro di madrigali di Giovanni Battista Moscaglia, pubblicato a Venezia nel 1575
  • João Pedro d'Alvarenga, Contents, and the Stemmata of Late-Sixteenth- and Early-Seventeenth-Century Portuguese Sources
  • Emiliano Ramacci, Nuove acquisizioni su Antonio Brunelli

Sala B

  • Lilia Mortelliti, Società Filarmoniche e del Quartetto a Messina nell'Ottocento
  • Mauro Fosco Bertola, “Discendere alla massa del popolo, come una virtù redentrice”. Nazionalismo e nascita della “musicologia” in Italia nella polemica Torchi-Giani 1895-1897
  • Cristina Isabel Pina Caballero, Las compañías italianas de ópera en España en la segunda mitad del siglo XVIII: La presencia de Constantino Bocucci y Francesco Buccolini en Murcia (1772-1774)
  • Ana María Flori Lopez, Treinta años de ópera italiana en el Teatro Principal de Alicante (1848-1878)
  • Paolo Cascio, Il primo viaggio di Saverio Mercadante in Spagna e la sua prima opera per il Teatro Principe di Madrid: I due Figaro
  • Víctor Sánchez Sánchez, L'incontro mancato tra Barbieri e Verdi: alla ricerca di un tocco spagnolo per le sue opere francesi

 

Sabato 30 ottobre 2010, ore 16.00

Assemblea annuale dei soci della SIdM

 

Domenica 31 ottobre 2010, ore 9.30

Sala A

  • Giulia Galasso, Le messe di Francesco Foggia (1603-1688)
  • Teresa Chirico, La Datira: un dramma ritrovato di Giulio Rospigliosi
  • Patrizia Radicchi, Il Biante di Stradella: tra commedia dell'arte, aspetti fantastici e gergo furbesco
  • Warren Kirkendale, Le antifone mariane Salve Regina, Te decus vigineum, e Antonio Caldara
  • Jen-yen Chen, Antonio Caldara in Vienna (1716-1736) and the “Indigenization” of an Italian Composer at a Foreign Italianate Court
  • Federico Fùrnari, Mauro Giuliani e Maria Luisa d'Austria: le opere per canto e chitarra composte per la corte dell'imperatrice austriaca

Sala B

  • Vasilis Kallis, Convention and Anomaly in Beethoven's Opus 31/1
  • Renato Ricco, La produzione violinistica di Giuseppe Paolo Ghebart
  • Francesco Esposito, Liszt, Thalberg e il pianoforte a Lisbona nell'Ottocento
  • Virág Büky - Maria Grazia Sità, Bartók e l'Italia
  • Emiliano Giannetti, I Sonetti delle fate di Gian Francesco Malipiero e il faticoso incontro con Gabriele d'Annunzio per un'amicizia “perpetuata oltre la morte”
  • Walter Kreyszig, Arvo Pärt and the Italian cori spezzati Tradition in the Context of His Tintinnabula Technique: Beatus Petronius and Statuit ei dominus in Commemoration of the 600th Anniversary of the Basilica San Petronio in Bologna

DOVE DORMIRE A PISA: In occasione del XVII Convegno annuale della SIdM sono stati contattati alcuni alberghi che hanno stretto una convenzione con la SIdM. Chi interessato, al momento della prenotazione dovrà indicare la partecipazione al “XVII convegno annuale SIdM”.
Questi gli alberghi:

HOTEL LEONARDO ***
Via Tavoleria 17, 56126 Pisa – Italia
Tel. 050-579946, Fax 050-598969
www.hotelleonardopisa.it, This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
68,00 € in b/b camere singole
75,00 € in b/b camere DUS
89,00 € in b/b camere doppia  

GRAND HOTEL DUOMO PISA
Via Santa Maria, 94, 56126 Pisa - Italia
Tel. +39 050 82 50 88 ; Fax +39 050 56 04 18
www.grandhotelduomo.it; This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
90,00 € a camera singola, per notte, colazione inclusa;
130,00 € a camera matrimoniale/doppia, per notte, colazione inclusa;
Camere e prezzi opzionati fino al 4 ottobre 2010  

Possono essere prenotati via internet anche una serie di B&B cliccando su http://www.bbplanet.it/bed-and-breakfast/pisa/

Info su altri alberghi nel sito dell'APT di Pisa al link http://pisa.toscanaeturismo.net/?par=all 

Comitato Convegni SIDM: Francesca Seller (responsabile), Anthony DelDonna, Paologiovanni Maione, Agostino Ziino 


Resoconto

La Scuola Normale Superiore di Pisa ha ospitato dal 29 al 31 ottobre 2010 il Diciassettesimo Convegno Annuale della SIdM. L’apertura dei lavori, con gli indirizzi di saluto, è avvenuta alle ore 14.30 del giorno 29 ottobre. Si sono poi avviate le prime due sessioni parallele nell’Aula Bianchi e nella Sala Mancini. La sessione nell’Aula Bianchi (presidente Paologiovanni Maione) si è aperta con tre relazioni incentrate sulla vita musicale in Portogallo. La prima intitolata “Il dotto e rispettabile Don Giovanni Giorgi”, illustre maestro e compositore nel panorama musicale portoghese del Settecento è stata tenuta da Cristina Fernandes. La studiosa ha analizzato il ruolo del compositore Giovanni Giorgi nel contesto della vita musicale portoghese del Settecento, offrendo una panoramica della sua vasta produzione musicale a partire della collana di circa 200 opere vocali sacre conservati presso l´Archivio della Cattedrale di Lisbona e la Biblioteca Nazionale del Portogallo. Sono state tracciate le diverse fasi della sua ricezione, importante nel suo tempo e del tutto inadeguata nei secoli seguenti, fino ai nostri giorni. Mário Trilha, con la relazione David Perez’s Didactic Works in Portugal and in Portuguese Sources ha ricostruito l’attività del compositore napoletano David Perez (1711-1778), a Lisbona a partire dal 1752 su invito del Re D. José. Lo studioso ha dimostrato come Perez divenne una figura di riferimento per la didattica musicale in Portogallo attraverso alcune delle sue opere, conservate manoscritte nelle bilioteche Évora e Vila Viçosa di Lisbona. La metodologia di Perez ebbe un favorevole riscontro e venne tramandata principalmente da due dei suoi pupilli António Leal Moreira (1758-1819) e José Joaquim dos Santos (1747-1801) e utilizzata nella formazione musicale in Portogallo sino al 1860. Ha chiuso questa sezione dedicata al Portogallo la relazione di Ignacio Prats Arolas Dottrina, istruzione e socializzazione nella Roma Settecentesca: tre cantate e un oratorio di Jommelli per il Collegio Nazareno di Roma. Lo studioso ha spiegato il modo in cui i libretti commissionati da parte degli Scolopi del Nazareno rappresentavano un mezzo efficace di istruzione e di socializzazione, evidenziando anche le strategie compositive attraverso le quali la musica, in queste opere, amplificava la retorica, gli affetti e la caratterizzazione dei testi poetici. A questo fine, lo studioso ha preso in considerazione l’opera di Niccolò Jommelli per il Collegio Nazareno, un oratorio e tre cantate composte annualmente dal 1749 al 1752.

Christoph Riedo ha relazionato su Musica e liturgia nella Milano del Settecento in cui si è spiegato che nel 1770, quando Leopold Mozart giunse a Milano per la prima volta con il figlio quattordicenne Wolfgang Amadeus, fu particolarmente colpito dalle usanze locali, come si ricava dalle lettere alla moglie, relative in particolare al rito ambrosiano nella diocesi e al rito romano nei conventi. In realtà il biritualismo, così peculiare della città lombarda, influenza in modo marcato la musica eseguita nelle chiese milanesi: bisogna dunque abituarsi a pensare il repertorio musicale liturgico non tanto come repertorio per la liturgia, quanto piuttosto come realizzazione della liturgia stessa. La relazione ha offerto qualche esempio significativo dell’attività musicale di singole istituzioni o confraternite e più ampiamente della Milano settecentesca. A concludere questa sessione, Adriana De Feo ha presentato la sua relazione Le serenate mozartiane e la serenata nel Settecento che ha affrontato le serenate mozartiane nell’ambito della Serenata nel Settecento. La diversa struttura drammatica, le diverse circostanze della commissione e le risorse che Mozart ebbe a disposizione, portarono a spettacoli molto diversi tra loro per dimensioni, caratteristiche e scopo celebrativo, sebbene tutte appartenenti al genere della serenata di carattere encomiastico. Mentre nell’azione teatrale Il sogno di Scipione (Salisburgo 1771) l’encomio è quasi del tutto assente, la festa teatrale Ascanio in Alba (Milano 1771) rappresenta un tipico esempio di festa teatrale barocca, sontuosa e di carattere celebrativo; infine la serenata Il re pastore (Salisburgo 1775) rappresenta forse il caso più interessante tra le tre serenate mozartiane, poiché l’originale libretto metastasiano venne concepito dapprima come dramma per musica in tre atti (e nel 1756 venne messo in musica, tra gli altri, da Christoph Willibald Gluck) e fu poi ridotto a serenata in due atti, e così musicato da Mozart. Dal suggestivo confronto tra le due versioni è possibile individuare le differenze, nonché le affinità, tra il dramma per musica e la serenata.

Alle ore 15,30 in Sala Mancini Francesca Seller ha presieduto la seconda sessione che si è aperta con la relazione di Elisa Morelli La musica vocale da camera di Gaspare Spontini. Il progetto presentato è finalizzato alla catalogazione, con incipitario musicale, della musica vocale da camera (voce e pianoforte o arpa) composte da Gaspare Spontini. Il volume, in preparazione, vuole rendere noto questo patrimonio e riportarlo nella programmazione odierna del repertorio musicale da camera. Infatti Spontini nella sua lunga attività di operista si cimentò anche nella creazione di composizioni vocali da camera: ariette, romances e notturni, a una o due voci, in generi in voga (pezzi caratteristici, esotici, celebrativi) prevalentemente in lingua francese oltre che in tedesco e in italiano. Tra gli autori dei testi, alcuni dei quali ignoti o poco conosciuti, figurano i nomi di Metastasio e Goethe. Tra i dedicatari delle edizioni: Madame Sophie Gay, Madame la Contesse de Rémusat e Madame la Duchesse de Duras. La ricerca si è basata, principalmente, su edizioni a stampa francesi e tedesche, e su qualche manoscritto autografo fra cui Kennst du das Land. Sono state reperite le fonti disseminate nelle principali biblioteche europee (British Library, Bibliothèque nationale de France, Bayerische Staatsbibliothek, Biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia, Biblioteca del Conservatorio di musica S. Pietro a Majella di Napoli, Biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano), nonché nella Library of Congress di Washington. La relazione si è conclusa con l’esecuzione di due composizioni vocali cameristiche di Spontini da parte di Elisa Morelli con Filippo Farinelli al pianoforte. A seguire Massimo Distilo ha presentato la relazione Il repertorio di canzoni napoletane di Guglielmo Cottrau: contributo per una ricostruzione della sua formazione. Il relatore ha delineato, dal punto di vista temporale e delle caratteristiche editoriali, il dispiegamento del ricco corpus di canzoni napoletane “composte o raccolte” da Guglielmo Cottrau nel corso della sua duplice attività di compositore/arrangiatore e di editore (1824-47). Non tutto rimane delle pubblicazioni originali, in particolare di quelle della prima ora (i celebri Passatempi Musicali). La relazione ha inteso contribuire a far luce sulla tempistica, sulla veste editoriale e sulla modalità di diffusione di questo genere di pubblicazioni nell’ambito della società napoletana della prima metà dell’Ottocento. La relazione di Raffaele Di Mauro, intitolata La canzone napoletana pre-classica: da Guglielmo a Teodoro Cottrau (1824-1879). Fonti, ipotesi di periodizzazione e primi percorsi di analisi di un repertorio urbano, si è concentrata su un periodo della canzone napoletana poco indagato ma “centrale” per una più efficace comprensione del fenomeno. L’arco temporale indagato ruota intorno a due date 'simbolo', ovvero il 1824, anno di inizio dei Passatempi musicali curati da Guglielmo Cottrau, e il 1879, anno della morte di Teodoro Cottrau (figlio di Guglielmo) e precedente al brano Funiculì funiculà che segna invece l’inizio della fase classica o epoca d’oro della canzone napoletana, famosa in tutto il mondo. All’interno di questi limiti temporali sono stati individuati 3 momenti: il primo (1824-1839) caratterizzato dalla nascita negli anni ‘30 della canzone napoletana “d’autore” (Malibran, Donizetti, Florimo); il secondo (1840-1855) segnato dall’enorme successo del brano Io te voglio bene assaje (pubblicato da Cottrau proprio nel 1840), da cui prendono l’avvio i fogli volanti e le raccolte di canzoncine per il salotto; infine un ultimo periodo (1856-1879) in cui soprattutto attraverso la figura di Teodoro Cottrau ci si avviò verso un’organizzazione e una produzione di tipo industriale della canzone. In fase conclusiva si sono ipotizzati alcuni dei possibili “percorsi di analisi” al fine di identificare le diverse matrici (colte, semi-colte e popolari) e tipologie compositive, con l’obiettivo di chiarire come la canzone napoletana rappresentò uno dei primi esempi di una musica  urbana fondata su quell’ibridazione che oggi viene comunemente indicata come popular music. Carmela Petrone ha poi presentato una relazione intitolata Le canzoni di Salvatore di Giacomo nei fondi napoletani, incentrata sull’analisi musicale della struttura formale di tutti gli spartiti di canzoni realizzati su testi del poeta Salvatore Di Giacomo, poliedrica figura di intellettuale  e reale inventore della canzone napoletana di fine Ottocento. Nel complesso sono stati presi in considerazione 123 spartiti musicali e i risultati dell’indagine sono stati inseriti in un articolato database, che nel corso della relazione è stato mostrato e interrogato per evidenziarne tutte le possibilità; i campi in cui è stata articolata la schedatura sono i seguenti: a) Titolo della canzone; b) autore dei versi; c) incipit dei versi; d) autore della musica; e) dedica; f) anno di pubblicazione; g) editore;  h) organico; i) andamento;  j) tempo;  k) eventuali cambi di tempo;  l) tonalita’;  m) eventuali cambi di tonalità; n) numero dei pentagrammi; o) numero di battute di sola introduzione musicale; p) interludi; q) coda; r) numero complessivo delle battute; s) indicazioni di pedalizzazione; t) altre eventuali annotazioni (ad esempio, eventuale inserimento del brano in fascicoli o riviste, stato di conservazione, diciture particolari sulla copertina e/o sul frontespizio, ecc. ecc.). A chiudere questa sessione la relazione di Emanuele Marconi Fabricatore, costruttori a Napoli nel primo Ottocento. Profilo biografico attraverso gli strumenti conservati presso il civico museo degli strumenti musicali di Milano. La famiglia Fabricatore (assieme a quella Vinaccia) fu una delle dinastie napoletane (e italiane) più importanti in ambito liutario. La produzione comprese tipologie diverse di strumenti, tra cui notevole fu la produzione di strumenti a pizzico. Elementi comuni delle due famiglie furono la considerevole durata dell’attività (dalla metà del '700  fino agli inizi del '900 per i Vinaccia e dalla metà del '700 fino alla seconda metà dell’ '800 i Fabricatore) e l’abilità imprenditoriale. Il Civico Museo degli Strumenti Musicali di Milano conserva sette strumenti catalogati sotto il nome Fabricatore: quattro provenienti dalla donazione Gallini del 1963 (inv. 242, 251, 271, 282) e tre dalla più recente donazione Monzino del 2000 (inv. 775, 783, 798). Alla produzione di strumenti nelle botteghe della famiglia Fabricatore si aggiunse la commercializzazione di quelli fatti costruire in città o comprati oltreconfine, marchiati con le stesse etichette, particolare in grado si spiegare le molteplici varietà stilistiche che oggi ritroviamo negli strumenti superstiti. Fabricatore fu dunque un marchio, di proprietà della famiglia, che commercializzava strumenti, partiture, corde, parti di ricambio, custodie. Dopo l’abolizione dei dazi doganali in seguito alla caduta del regno borbonico, il nuovo regime liberale permise di riprendere scambi con l’estero e di aprirne di nuovi, in particolare con le città di Milano e di Mirecourt. Della famiglia Fabricatore notevolissima fu la produzione di chitarre, di cui oggi possediamo numerosi esemplari sopravvissuti, ad opera in particolare di Giovan Battista, Gennaro I e II..

Alle ore 21.30 si è tenuto il Concerto per fisarmonica di Massimo Signorini presso la Saletta Edizioni ETS, in Piazza Carrara.

Il 30 ottobre alle ore 9.30 nell’aula Bianchini Marco Gozzi ha presieduto la terza sessione che si è aperta con la relazione di Gioia Filocamo intitolata Bambino“in quella maledetta Ungaria”: Ippolito I d’Este e la musica strumentale. Figlio del celebre Duca Ercole I di Ferrara, nonché fratello minore di Isabella Gonzaga, Ippolito d’Este (1479-1520) trascorse una vita breve, ma intensamente movimentata. I diversi incarichi connessi ai suoi precocissimi mandati ecclesiastici lo portarono presto in Ungheria, dove fu prima Arcivescovo di Esztergom (a soli otto anni!), e poi Arcivescovo di Eger. Complessivamente vi trascorse circa un terzo della sua vita, e riuscì a creare un impero personale internazionale, grazie anche all’assunzione di incarichi ecclesiastici contemporanei. Il ricchissimo Ippolito – nominato cardinale a 14 anni, proprio mentre soggiornava in Ungheria – patrocinò musica come i suoi fratelli e sorelle, ma si differenziò da loro per la caratteristica predilezione verso il repertorio strumentale. Su di lui Tiberio Gerevich sostenne che «le premesse del suo amore per l’arte, e di tutta la sua civiltà si devono cercare in Ungheria e specialmente nel suo ambiente di Strigonio (Esztergom). A Strigonio trovò una civiltà degna delle prime nazioni d’Europa, civiltà che aveva in quel tempo a capo suo zio, Mattia Corvino». La relazione ha focalizzato il tipo di mecenatismo musicale praticato da Ippolito, sostenendo che la sua particolare predilezione per la musica strumentale potrebbe essere in qualche modo connessa alle sue esperienze internazionali, cominciate già in tenera età. Giuseppe Fiorentino nella sua relazione “Il secondo modo di cantare all’unisono”: Vincenzo Galilei e l’emancipazione della consonanza ha proposto un’altra interpretazione dei due esempi musicali e del testo di Galilei: secondo questa nuova chiave di lettura, per comprendere pienamente il trattato, è necessario, seguendo le indicazioni dello stesso Galilei, studiare il processo compositivo contrappuntistico (“mercè le regole del contrappunto”) su cui si basano gli esempi. Infatti, analizzando polifonicamente i due esempi, risulta evidente che la perfetta melodia accompagnata si ottiene vincolando le voci dell’accompagnamento alla voce principale mediante serie di intervalli prevedibili e ripetitivi. Queste strutture polifoniche specifiche, che generano sempre accordi (o “consonanze” per usare la terminologia della epoca) in stato fondamentale, non sono un’invenzione di Galilei: descritte per la prima volta alla fine del XV secolo da Guilielmus Monachus nel trattato De preceptis Artis Musicae e, successivamente, da altri teorici come Pietro Aaron, le troviamo utilizzate in innumerevoli composizioni vocali e strumentali durante tutto il XVI secolo. Mediante questa nuova lettura, è stato possibile cogliere a pieno la novità del testo di Galilei: queste strutture polifoniche particolari sono percepite come accordi dall’ascoltatore mediante un processo che è descritto dal punto di vista fisiologico e della percezione auditiva. Con Amorosi Gigli. Il primo libro di madrigali di Giovanni Battista Moscaglia, pubblicato a Venezia nel 1575 Paola Ronchetti ha presentato la figura del compositore e poeta romano della seconda metà del Cinquecento Giovanni Battista Moscaglia (1550/51-1589), inserendolo nel contesto storico, sociale, letterario e musicale romano dell’epoca. Moscaglia si presenta al mercato editoriale come compositore con una raccolta monografica, contrariamente ad una prassi che vedeva gli esordienti comparire con uno o due madrigali in raccolte antologiche, a fianco di compositori già affermati. L’analisi ha mostrato l’aderenza al petrarchismo imperante in ambito culturale, con la scelta di testi di poeti autorevoli e di forme codificate come modelli di alta poesia, adesione determinante nella scelta dell’editore di pubblicare una raccolta che offriva garanzia di qualità del prodotto, sicuramente apprezzabile da parte di acquirenti o fruitori colti delle classi più elevate. Di rilievo a questo proposito la figura del dedicatario, tanto più altolocato nella condizione sociale, tanto più capace di apprezzare espressioni poetiche riconosciute eccelse come quelle petrarchesche, tanto più garante, e di protezione nei confronti del compositore, e di successo editoriale per chi pubblicava. Giovanni Battista Moscaglia dedica il suo Primo Libro di Madrigali ad Ottavio Farnese, figura di spicco di una delle corti romane più importanti, grande condottiero ed ottimo principe. Lo studio su Giovanni Battista Moscaglia ha offerto l’opportunità di allargare lo sguardo sulla Roma dell’ultimo quarto del secolo, sede della corte papale e di molte altre corti di famiglie nobili e cardinalizie romane, culturalmente animata da due grandi figure: papa Gregorio XIII e Filippo Neri. Emiliano Ramacci ha concluso la sessione con la relazione intitolata Nuove acquisizioni su Antonio Brunelli; lo studioso ha presentato la produzione musicale dell’autore sulla base di una lettura critica dei principali cataloghi e fonti documentali del Settecento, con particolare riferimento ai manoscritti di Giuseppe Ottavio Pitoni (Biblioteca Apostolica Vaticana). Al centro della ricerca lettura dei cataloghi e loro comparazione descrittiva al fine di definire il panorama completo della produzione a stampa dell’autore.

La sessione parallela  in Sala Mancini è stata presieduta da Bianca Maria Antolini e si è aperta con la relazione di Lelia Mortelliti Società Filarmoniche e del Quartetto a Messina nell’Ottocento. Il lavoro di ricerca ha riguardato l’Ottocento musicale messinese e, in linea con i recenti studi sulle Accademie e Società Filarmoniche in Italia, intende indagare scientificamente i movimenti associativi finalizzati alla produzione e diffusione della musica sul territorio. Questioni relative alla cultura musicale in questa specifica località urbana sono state oggetto nel corso del Novecento di dibattiti storici e sociologici, mentre sono mancati sino ad oggi studi intesi ad affrontare il fenomeno dei Filarmonici nella sua globalità e in rapporto ad altre città italiane. Analizzando i dati raccolti in una dimensione quantitativa e qualitativa, la studiosa ha potuto circoscrivere l’inizio di questo complesso fenomeno al 1833, quando viene costituita la prima Accademia Filarmonica e fissare alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento il limite cronologico di questa indagine. Infine la relazione ha individuato le fasi della nascita e dello sviluppo delle principali istituzioni musicali, sottolineandone le peculiarità in materia di statuti, repertori, esecuzioni e comportamenti sociali. Dalla documentazione reperita emerge che i Filarmonici messinesi, sottoposti a diritti e doveri sanciti negli statuti, prediligono l’accademia vocale e strumentale e costruiscono i programmi sulla migliore tradizione operistica italiana. A seguire Mauro Fosco Bertola ha presentato il suo studio intitolato Discendere alla massa del popolo, come una virtù redentrice». Nazionalismo e nascita della “musicologia” in Italia nella polemica Torchi-Giani (1895-1897). La relazione ha evidenziato come tale polemica, che finora ha ricevuto solo scarsa attenzione nella letteratura secondaria, rappresenti in realtà un nodo cruciale per l’articolazione non tanto del metodo, quanto piuttosto dell’identità e degli scopi di ricerca della disciplina musicologica in Italia nel suo formarsi. Torchi rappresentò il modello vincente e, nonostante la nota svolta “idealistica” della vita musicale italiana attorno agli anni dieci del Novecento, fu proprio il nazionalismo la chimera che strutturò fin dalle fondamenta l’intero panorama musicale italiano fino alla caduta del fascismo. Paolo Cascio ha presentato la relazione Il primo viaggio di Saverio Mercadante in Spagna e la sua prima opera per il Teatro Principe di Madrid: I due Figaro. La stagione d’opera 1826/1827 a Madrid, divisa tra il Teatro Principe ed il Teatro Cruz, fu caratterizzata dall’arrivo di un’intera nuova compagnia di canto proveniente dall’Italia, scritturara a Milano da Juan Cristobal Cuesta. Oltre a cinque grandi cantanti Cuesta riuscì a contrattare e portare a Madrid anche Saverio Mercadante in qualità di compositore e direttore della compagnia. Mercadante viaggierà per la penisola Iberica, a più riprese, tra il 1826 ed il 1831, lavorando a Madrid, Lisbona e Cadice e producendo interessanti titoli tra i quali spiccano I due Figaro (1826), Gabriella di Vergy (1828) e Francesca da Rimini (1831). A concludere questa sessione Víctor Sánchez con L’incontro mancato tra Barbieri e Verdi: alla ricerca di un tocco spagnolo per le sue opere francesi. Il ricercatore ha affrontato le relazioni tra Verdi e la musica spagnola, a partire dal viaggio di Verdi in Andalusia, invitato dal baritono Giorgio Ronconi. Si è poi esaminato l’intento di Verdi di ricreare sonorità spagnole in alcune delle sue opere. confrontandolo con usi similari in opere francesi e spagnole, come il bolero dell’opéra-comique Les diamants de la couronne di Auber/Scribe (1841), la visione ironica del bolero nella zarzuela basata sullo stesso tema Los diamantes de la corona di Barbieri (1854) o le sonorità arabe nell’opera La conquista di Granata (1850) di Emilio Arrieta. Lo studioso ha dimostrato quanto intense fossero le relazioni tra la musica spagnola e Parigi, luogo dove Verdi incontrerà appunto quel tocco esotico per le sue opere.

Alle ore 16.30 presso l’Aula Bianchi si è tenuta l’assemblea dei soci al termine della quale sono state date comunicazioni sul Gruppo di ricerca di Musica Antica della Scuola Normale di Pisa e sul Progetto Bononcini della Fondazione Arcadia. Alle ore 21, in occasione del Decennale dell’Edizione Nazionale degli Opera Omnia di Alessandro Stradella (edizioni ETS) si è tenuto, presso l’Aula magna nuova La Sapienza dell’Università di Pisa un concerto dedicato alle composizioni di Stradella eseguite dalla Bozen Baroque Orchestra “Harmonices Mundi” diretta da Claudio Astronio con il soprano Marina Bartoli.

Domenica 31 ottobre Paola Besutti ha presieduto la quinta sessione presso l’aula Bianchi: la prima relazione è stata quella di Giulia Galasso, Le messe di Francesco Foggia (1603-1688.). La relatrice si è riferita ai recenti studi e alle edizioni di musiche promossi dalla Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina; agli Atti del Convegno internazionale di studi tenutosi a Palestrina nel 1988, e ivi pubblicati nel 1998 a cura di Ala Botti Caselli. Alla luce di queste acquisizioni si è proposto uno studio sulle sue messe, segnalate solo marginalmente nel volume suddetto. Innanzitutto è stata effettuata un’opera di ricognizione sulle fonti manoscritte (Archivi musicali di Santa Maria Maggiore, dei Cavalieri della Croce Rossa di Praga,  del Duomo di Siena, di Santa Maria in Trastevere e di San Giovannni in Laterano) e a stampa (Civico Museo Bibliografico di Bologna e Archivio di San Giovanni in Laterano). In particolare la studiosa ha  presentato in trascrizione moderna la prima messa a 5 voci e organo stampata a Roma dal Mascardi nel 1650 (Opus Tertium),  e due delle Octo Missae a 4-9 voci e organo, edite a Roma da Giacomo Fei nel 1663, che risalgono al periodo della grande maturità del Foggia: la Missa detta Corrente e la Missa Venite Gentes, entrambe a 4 voci e organo. A seguire Teresa Chirico ha presentato la sua relazione intitolata La Datira: un dramma ritrovato di Giulio Rospigliosi.Nel 1753, Giovanni Antonio Bianchi, in De i vizj, e dei difetti del moderno Teatro, citava il «dramma cristiano» La Datira di Giulio Rospigliosi,  testo mai stampato («scritto a penna»), ma all’epoca presente nelle biblioteche di diversi signori romani. Lo studio ha valutato la paternità di quel libretto, basandosi in particolare sul confronto con altre opere di Rospigliosi; di portare alla luce le diverse notizie in merito all’opera, attraverso la descrizione e lo studio della trama; di ricostruire il quadro storico e culturale in seno al quale nacque l’opera. Con Il Biante di Stradella: tra commedia dell’arte, aspetti fantastici e gergo furbesco Patrizia Radicchi ha presentato quest’opera di Alessandro Stradella, tramandata da due testimoni di cui uno corredato di puntuali note di regia. Strutturata in tre atti, un prologo e tre intermedi, la commedia comprende molte scene interamente parlate e altre concluse o inframmezzate da momenti musicali (18 arie, tre duetti e due terzetti, un balletto) richiesti o sollecitati dai personaggi con funzione di svago e di intrattenimento. Al di là del divertente intreccio, la presenza di tre Geni, della Gloria e delle Virtù incornicia la vicenda inquadrandola nel genere del trattenimento aristocratico e del gioco barocco, dove gentiluomini e personaggi di natura apparentemente popolare si cimentano in un raffinato esercizio accademico: il tutto sullo sfondo dell’ambientazione in un’amena campagna romana dove è momentaneamente di casa la complicità di servi, paggi, spiriti e deità pagane, all’insegna del godimento estetico. Il Biante si offre, quindi, come esempio splendido oltre che unico di una commedia dell'arte, completa in ogni aspetto, portata a un raffinatissimo livello di espressione sia musicale che testuale. Infatti, oltre alla lingua italiana, c'è l’uso frequente di un linguaggio gergale, non riconducibile però a un'unica area geografica, e perciò di forte interesse anche per i filologi.

A seguire Warren Kirkendale con Le antifone mariane Salve Regina, Te decus virgineum, e Antonio Caldara. Lo studioso ha indagato la vastissima letteratura su tale liturgia, presente in grand’abbondanza nelle tante biblioteche ecclesiastiche di Roma. Grazie a questo strumento è stato possibile aumentare per dieci volte la bibliografia per la voce “Salve Regina” nei lessici musicali. Ricerche sul “Salve” barocco mancano quasi completamente, sebbene in quell’epoca il testo fu composto più dell’ordinarium missae. Il RISM ne elenca quasi 4.000 fonti. Il relatore ha tracciato una breve storia del Salve, riguardante l’origine ‘gregoriana’ del Salve, le sue varie attribuzioni, le funzioni liturgiche, la diffusione, la struttura del testo e un’intonazione di Caldara. Per il Te decus virgineum il RISM include solo una composizione, quella di Caldara. La sua assenza dal rito romano spiega la mancanza di composizioni musicali, tranne quella di Caldara e anche di Handel. Federico Fùrnari ha presentato una relazione intitolata Mauro Giuliani e Maria Luisa d’Austria: le opere per canto e chitarra composte per la corte dell’imperatrice austriaca. Lo studio ha indagato il repertorio per canto e chitarra di Mauro Giuliani (Bisceglie, Bari, 1781 - Napoli, 1829) composto fra il 1811 e il 1818, periodo che vede la presenza del compositore pugliese nella capitale austriaca. Dalle dediche delle musiche è facile rendersi conto di quanto il chitarrista fosse considerato dalla nobiltà viennese: infatti le opere più importanti furono composte per la corte di Maria Luisa d’Austria, o comunque vissero in quell’ambiente. Si è ricostruita la loro datazione sulla base dei riferimenti storici contenuti nei testi utilizzati dal compositore e si è potuto constatare che la maggior parte dei lavori è stata scritta fra il 1808 e il 1813. Dall’analisi del repertorio in questione si può facilmente supporre che molte opere composte per Maria Luisa –  o comunque destinate ai suoi salotti – fossero cantate  dall’imperatrice stessa. Lo studio ha poi approfondito gli anni del “periodo viennese” e la relativa produzione di opere per canto e chitarra; si è altresì posto lo scopo di dare una corretta attribuzione d’autore ai testi utilizzati per le opere in esame.

La sessione parallela presso la Sala Mancini è stata preseduta da Guido Salvetti e si è aperta con la relazione di Renato Ricco La produzione violinistica di Giuseppe Paolo Ghebart che ha analizzato la produzione violinistica del virtuoso, compositore e direttore d’orchestra torinese Giuseppe Paolo Ghebart (A 1796 – Ω 1870), allievo di Felice Radicati e contemporaneo di Paganini. Ghebart fu l’ultimo maestro della Cappella Reale di Torino, dopo esser subentrato a Giovanni Battista Polledro. Se l’importanza della figura di Ghebart è stata sinora messa a fuoco, in maniera più o meno approfondita, in diversi lavori (Basso, 1971, 1976 e 1991 ; Berutto, 1984 ; Moffa, 1990 ; Dell’Ara, 1999) solo da un punto di vista essenzialmente storico, un unico accenno è stato rivolto (Rostagno, 2003) all’attività compositiva del musicista piemontese, nell’esclusivo campo sinfonico. Nell’ottica di riscoperta e di approfondimento scientifico del patrimonio strumentale italiano, il fine della ricerca è stato quindi quello di aggiungere un nuovo, e a oggi praticamente ignoto, tassello al puzzle della musica violinistica coeva o tangente di quella paganiniana.

Francesco Esposito ha presentato una relazione intitolata Liszt, Thalberg e il pianoforte a Lisbona nell’800 volta a ricostruire l’attività in concerti pubblici e privati dei due musicisti a Lisbona così come il repertorio da loro presentato, nonché la loro differente, e a volte problematica, interazione con l’ambiente musicale e mondano locale. Attraverso quest’ultimo aspetto è possibile difatti mettere a fuoco anche alcune delle principali trasformazioni che, nell’arco dei circa dieci anni che separano le loro presenze in città, erano intervenute nella vita musicale della capitale portoghese e, più in generale, nella prassi concertistica ottocentesca. Parte integrante del contributo è stato infine un esame della diversa ricezione del pianismo di Liszt e Thalberg, ricostruita in particolare attraverso le cronache e le recensioni della stampa locale, nonché l’impatto e le influenze dei loro modelli sulla cultura e sulla scuola pianistica locale.

A seguire Virág Büky e Maria Grazia Sità con Bartók e l’Italia: Nel corso della sua attività, soprattutto concertistica, Béla Bartók ebbe in vari momenti contatti con l’Italia e durante la sua vita dimostrò in vario modo curiosità per questo paese. Esaminando le fonti, è possibile trovare parecchi documenti che dimostrano il suo profondo interesse per la cultura italiana sia in termini puramente personali, che come musicista. Come esecutore effettuò diversi giri artistici in Italia (nel 1925, 1926, 1927, 1939) e nell’epistolario, oltre ai contatti professionali (con Casella, Lualdi e altri organizzatori dell’epoca) è possibile rinvenire anche dettagli sui concerti e impressioni personali su ambienti e incontri (in particolare nelle lettere ai famigliari). Un altro contatto interessante fu quello con Guido M. Gatti che nel 1921 chiese a Bartók due articoli per la rivista «Il Pianoforte». La presente ricerca, svolta in collaborazione fra una studiosa italiana e una ricercatrice ungherese del Bartók Archivum di Budapest, ha integrato e ampliato le notizie conosciute su questi temi, incrociando i dati disponibili nelle fonti italiane con quelli ungheresi, attraverso un attento studio dei documenti rinvenibili presso il Bartók Archivum. Emiliano Giannetti ha concluso la sessione con la relazione I Sonetti delle fate di Gian Francesco Malipiero e il faticoso incontro con Gabriele d’Annunzio per un’amicizia “perpetuata oltre la morte” che ha approfondito il periodo in cui il giovane compositore veneziano si interessò a d’Annunzio senza ricevere però le meritate attenzioni da parte del Pescarese (Sonetti delle fate e poi del Sogno d’un tramonto d’autunno). In particolare Giannetti ha posto l’attenzione sui Sonetti delle fate di Gian Francesco Malipiero e della loro composizione, tenendo conto delle esperienze creative che, anche lontane nel tempo, influenzarono il lavoro del compositore veneziano.