Roma, Conservatorio di musica “S. Cecilia”, Via dei Greci 18

17-19 ottobre 2003

Programma e abstract

Venerdì 17 ottobre, ore 15, biblioteca

  • Musica a Roma nel Sei e Settecento (pres. Giancarlo Rostirolla)
    • Pierluigi Ostuni, Il III libro d'intavolatura di chitarone di Giovanni Girolamo Kapsberger (Roma, 1626). Abstract.
    • Teresa Chirico, L'Agrippina ritrovata. Abstract.
    • Ursula Kirkendale, Handel con Ruspoli: nuovi documenti dall'Archivio segreto vaticano (dicembre 1706-dicembre 1708). Abstract.
    • Marcello Eynard-Paola Palermo, La musica a Roma nel secondo '700: testimonianze nelle lettere dell'erudito Pierantonio Serassi (Bergamo 1721-Roma 1791). Abstract.

 

Venerdì 17 ottobre, ore 15, foyer sala accademica

  • Arie da camera, cantate, canzoni (pres. Teresa M. Gialdroni)
    • Licia Sirch, Notturno italiano. Sul repertorio cameristico vocale italiano preromantico. Abstract.
    • Carmela Bongiovanni, Ferdinando Paer e la cantata di primo Ottocento. Abstract.
    • Michela Niccolai, Da Madama Butterfly al Trio Lescano: trent'anni di esotismo. Abstract.
  • Censimento e catalogazione degli strumenti musicali (pres. Patrizio Barbieri)
    • Fabio Perrone, Il censimento nazionale dei Musei e collezioni di strumenti musicali. Abstract.
    • Sara Dieci-Alberto Salarelli, Un progetto di catalogazione digitale degli organi storici nel territorio della Provincia di Parma: Organet. Abstract.

 

Sabato 18 ottobre, ore 9,30, biblioteca

  • Teatro musicale (pres. Roberto Giuliani):
    • Roberto Scoccimarro, Il tema del “doppio” nella commedia per musica napoletana tra 1720 e 1730. Abstract.
    • Oreste Palmiero, Marina di Malombra: storia di un'opera mai eseguita. Abstract.
    • Alessandro Mastropietro, Dagli Esercizi all'Esercizio: il teatro musicale di Domenico Guaccero tra gesto e rito. Abstract.
    • Simone Ciolfi, La mitologia nell'opera italiana del secondo Novecento. Abstract.
    • Antonella Bartoloni, Il Teatro della Pergola e l'Accademia degli Immobili: un 'nuovo' archivio a Firenze. Abstract.
    • Maria Rosa De Luca, Anche Bellini rivoltato. Incipitario belliniano e dintorni. Abstract.

 

Sabato 18 ottobre, ore 9,30, foyer sala accademica

  • Su due raccolte a stampa del Cinque e Seicento (pres. Agostino Ziino)
    • Marco Giuliani, Il I libro di Canzon villanesche alla napolitana a 4 voci di Baldissera Donato. Abstract.
    • Marina Toffetti, L'Aggiunta nuova delli concerti […] raccolti da Filippo Lomazzo (Milano 1612). Abstract.
  • Aspetti della musica europea tra la fine dell'Ottocento e il nuovo millennio (pres. Maria Grazia Sità)
    • Ugo Piovano, Il contributo di Giulio Ricordi alla diffusione delle musiche per banda alla fine dell'Ottocento. Abstract.
    • Anna Ficarella, Tradizione e innovazione nello stile interpretativo di Gustav Mahler: osservazioni sulla partitura della quinta sinfonia. Abstract.
    • Stefano Crise, Italo Svevo e la Hausmusik. Abstract.
    • Tatiana Dubravskaia, L'arte del contrappunto a cavallo dei due millenni in Russia: la trasformazione della tradizionale forma del canone come specchio del rivolgimento epocale della Nuova Musica. Abstract.

 

Sabato 18 ottobre, ore 16.30, foyer sala accademica

  • Tavola rotonda. La ricerca in Italia: progetti e prospettive per la storia musicale e i compositori
    • Intervengono: Giancarlo Rostirolla (Fondazione Palestrina), Roberto Illiano (Fondazione Locatelli), Vincenzo De Vivo (Fondazione Pergolesi-Spontini), Alessandra Rossi Lürig (Fondazione Arcadia), Elena Biggi Parodi (Fondazione Salieri), Bruno Cagli (Fondazione Rossini), Mario Baroni (Istituto Liszt, Fondo Maderna), Francesco Sanvitale (Istituto nazionale tostiano), Patrizia Frisoli (SIAE). Coordina: Piero Gargiulo.

 

Domenica 19 ottobre, ore 9, sala dei medaglioni

  • Assemblea annuale dei soci della SIdM ed elezione dei nuovi organi sociali per il triennio 2003-2006.

 

Domenica 19 ottobre, ore 17, sala dei medaglioni

  • Presentazione del n. 35 dei “Quaderni della Rivista Italiana di Musicologia” L'oratorio musicale italiano e i suoi contesti, a c. di Paola Besutti. In collaborazione con la Sagra musicale umbra. Introduzione: Bianca Maria Antolini (SIdM), Carlo Minestrini (Sagra musicale umbra). Relatore: Giancarlo Rostirolla (Università di Chieti). Sarà presente la curatrice.

 


Abstract

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Pieluigi Ostuni

Il III Libro d'intavolatura di chitarone di Giovanni Girolamo Kapsberger (Roma, 1626)

La recente riscoperta del Libro terzo d'intavolatura di Chitarone di Giovanni Girolamo Kapsberger, ora acquisito dall'Università americana di Yale, ha permesso di rendere noto ai musicisti e agli studiosi un fondamentale tassello del repertorio solistico per la tiorba. L'eccezionale importanza di tale recupero va ben al di là della conoscenza specifica di questa fonte, in quanto rende possibile non solo l'approfondimento dell'opera strumentale di una singolare figura della Roma del primo Seicento, ma getta anche nuova luce sul processo di definizione di linguaggi strumentali autonomi e idiomatici nel quale la musica per liuto, e per il chitarrone in particolare, occupa una posizione di rilievo.
Se, infatti, la pubblicazione del suo Libro primo d'intavolatura di chitarone (Venezia, 1604), apparve sulla scena con i segni “di una fulminante attualità” (O. Cristoforetti) anticipando scelte stilistiche ed espressive che si ritroveranno nell'opera di Frescobaldi, il Libro terzo d'intavolatura di Chitarone con le sue tavole per “sonar sopra la parte” matura e specifica il senso di tali novità.
Innanzi tutto appare collegata all'intavolatura una linea di basso continuo che costituisce un'assoluta rarità per opere destinate agli strumenti a pizzico; inoltre la presenza di due madrigali passeggiati, a quattro e a cinque voci, all'interno di una pubblicazione per strumento solista, testimonia come l'autore fosse sensibile a recepire le istanze musicali e le richieste di un contesto di committenza particolare, quale era quello delle accademie, attento a seguire le ultime novità in campo musicale. Probabilmente non è un caso che proprio nel 1626, anno di pubblicazione del Libro terzo, sia avvenuta la prima rappresentazione romana dell'Orfeo di Monteverdi.
A testimoniare quest'apertura al nuovo sta la presenza, di seguito alle otto toccate, alla gagliarda partita e alle due correnti, di un'intera sezione che comprende “passaggi diversi su le note per sonare sopra la parte”, cadenze intavolate, una corposa “tavola per intavolare sopra il Chitarrone, alla Italiana et alla Francese”, nonché una “tavola per sonare il chitarrone sopra il basso”. Tale prontuario pratico, destinato al suonatore di chitarrone, non ha esempi analoghi nel repertorio stampato per tiorba. Testimonianze di tal genere sono rintracciabili nella coeva produzione per chitarra spagnola e ciò sottolinea come la pratica sul chitarrone fosse estesa anche a un pubblico di non professionisti. In assenza, durante il Seicento, di speculazioni teoriche aggiornate, in un momento in cui la separazione fra le scelte dei compositori e l'ortodossia speculativa dei teorici si fece netta ed evidente, la conoscenza diretta dei principi di successione e combinazione armonica, chiaramente desumibili dalle tavole presenti in questa stampa, costituisce un formidabile strumento di analisi e comprensione della musica italiana del XVII secolo.


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Teresa Chirico

L'Agrippina ritrovata

Nel carnevale del 1691, presso il Teatro Tordinona di Roma, sarebbe dovuta andare in scena un'opera patrocinata dal cardinale Pietro Ottoboni, l'Agrippina, su testo di Giuseppe Domenico De Totis con musica di Giovanni Lorenzo Lulier; ma quell'opera, come è noto, non fu mai rappresentata per la sopravvenuta morte del papa Alessandro VIII.
Dell'Agrippina - più volte ricordata negli studi sulla musica a Roma alla fine del diciassettesimo secolo - non rimane la partitura né libretto a stampa, ma solo un abbozzo di trama, poche pagine dell'inizio del testo, i personaggi con i loro registri vocali e i nomi degli interpreti (non tutti chiaramente enunciati); inoltre, furono considerati come appartenenti a quell'opera (anche se con formula dubitativa) alcuni pezzi staccati presenti in varie fonti.
Considerando tutti gli elementi appena citati, possiamo oggi affermare che il testo dell'Agrippina vive ancora integralmente in uno sconosciuto manoscritto adespoto e senza titolo steso presumibilmente nello stesso periodo del mancato allestimento dell'opera. Il manoscritto fu compilato da tre diversi copisti – uno per ogni atto – in parte riconoscibili; questo fatto riconduce con maggiore precisione al contesto nel quale fu approntato il raro esemplare dell'Agrippina.
La relazione tratta del testo affrontandone gli aspetti formali, strutturali e drammaturgici nel confronto con opere coeve e nel contesto della produzione del De Totis; si indaga sulle vicende dell'opera stessa e sulla sua diffusione, nonostante una non esistenza teatrale.
Vengono inoltre considerati i pezzi sopravvissuti di musica identificati come appartenenti all'Agrippina e indagati nei loro aspetti strutturali, della vocalità e nella relazione musica-testo e musica-personaggio.
Si forniscono inoltre alcuni strumenti per elementi di identificazione dell'opera (tabelle, incipit, indici, ecc.).


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Ursula Kirkendale

Handel con Ruspoli: nuovi documenti dall'Archivio segreto vaticano, dicembre 1706-dicembre 1708

Nuovi documenti dall'Archivio segreto vaticano offrono molte testimonianze interessanti sull'attività di Handel a Roma e nel Lazio durante gli anni 1707 e 1708. È stato possibile determinare per la prima volta il luogo, l'occasione e il giorno stesso della prima esecuzione di otto composizioni importanti. La cantata con strumenti “Arresta il passo” fu l'esordio di Handel a Roma, probabilmente del 25 dicembre 1706 colla sua entrata nel servizio del marchese Francesco Maria Ruspoli; “Donna che in ciel” fu eseguito il 6 febbraio 1707 in Santa Maria in Aracoeli per la commemorazione della liberazione della città dal terremoto; Diana cacciatrice il 23 febbraio in Cerveteri durante il primo giorno della caccia annuale del cervo; “Udite il mio consiglio” il 18 marzo in Civitavecchia per il banchetto di Ruspoli sulla sua brigantina per i governatori della città, ai quali ha dato un “consiglio” per la guerra. “Dixit Dominus” il 1° maggio in Frascati per l'onomastico del re Filippo V celebrato dagli spagnoli; e Il trionfo del tempo il giorno successivo nel Palazzo Bonelli, alludendo all'imminente concorso degli artisti romani (Accademia di S. Luca). Inoltre, le due cantate di Handel in lingua francese e spagnola potevano essere identificate con i loro destinatari, e la prima esecuzione dell'oratorio Il giardino di rose di Alessandro Scarlatti e forse della cantata “Nella stagione di viole e rose” di Handel può essere collocata a Massa (Lazio) il 3 aprile (domenica laetare, festa della rosa). Tutte queste esecuzioni hanno interessanti significati politici, liturgici e/o biografici, i quali saranno spiegati. Alla fine sarà presentata la prima immagine grafica di Handel – finora sconosciuta – che lo mostra a Roma all'età di 23 anni. Il convegno annuale, tenuto per la prima volta dopo tanti anni a Roma, sarebbe una buona occasione per presentare molte novità assolute sull'attività del più grande compositore mai vissuto in questa città.


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Marcello Eynard - Paola Palermo

La musica a Roma nel secondo '700:
testimonianze nelle lettere dell'erudito Pierantonio Serassi (Bergamo 1721 – Roma 1791),
primo grande studioso di Torquato Tasso

Appartenente ad una celebre famiglia di costruttori d'organi, Pierantonio Serassi fu chiamato a Roma nel 1754 come rettore del collegio Cerasoli in Roma. Rimarrà nella capitale quasi continuativamente fino alla morte. Fu, oltre che musicista dilettante e appassionato melomane (suonava, fra l'altro, il cembalo e il violino), insigne letterato. Pubblicò studi sui grandi della letteratura italiana: Dante Alighieri, Pietro Bembo e soprattutto Torquato Tasso. Di quest'ultimo fu il primo grande studioso in senso moderno sia promovendo nuove edizioni delle sue opere (es. l'Amadigi, nel 1755), sia curandone una biografia, completata nel 1785, che si basa più sulla documentazione storica che sulla tradizione leggendaria.
Pierantonio Serassi, durante il suo lungo soggiorno romano (1754-1791), scrive lunghe lettere, sia ai familiari rimasti a Bergamo sia alle varie personalità con cui è in contatto, ricche di puntuali riferimenti alla vita musicale della capitale, non solo in ambito sacro in cui, per il suo ruolo, ha il privilegio di assistere ad imponenti funzioni non accessibili al pubblico, ma anche in ambito profano.
Rende dunque testimonianza, con curiosità, dell'imponente apparato musicale di certe celebrazioni liturgiche svoltesi alla presenza del papa o di cardinali. Descrive, con cognizione di causa, gli organi presenti in città, riferisce dell'attività dei maestri di cappella, maestri concertatori, cantanti e strumentisti più in vista, commenta le esecuzioni a cui ha modo di assistere. Attesta il perpetuarsi di un repertorio tradizionale come quello legato ai “famosi misereri” o allo Stabat Mater di Pergolesi. Commenta la massiccia presenza di musica per i festeggiamenti legati all'elezione di un nuovo papa o alla consacrazione di nuovi cardinali. Riferisce di incresciosi fatti di cronaca scaturiti dall'eccessiva ressa nell'assistere a manifestazioni col concorso della musica.
Egli ci dà conferma di come la musica segni, in maniera pregnante, non solo i passaggi istituzionali e i momenti più significativi dei suoi eminenti protagonisti, ma anche le manifestazioni popolari della vita cittadina. Serassi stesso tiene i contatti con alcuni maestri di cappella e musicisti attivi a Roma.
Essendo gli anni del celebre viaggio in Italia di Charles Burney, può essere di interesse mettere in relazione le osservazioni del Serassi con quelle contenute nei famosi diari, relativi al soggiorno romano del grande musicologo britannico.


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Licia Sirch

Notturno italiano. Sul repertorio cameristico vocale italiano preromantico

Il vasto repertorio cameristico vocale italiano dell'epoca a cavallo fra '700 e '800 è attualmente poco frequentato sia dalla critica musicologica, sia dai musicisti per ragioni spesso emergenti dal confronto con il Lied tedesco e legate innanzitutto alla qualità dei testi poetici ritenuti scarsamente impegnati, poco innovatori, ancora fermamente legati all'Arcadia ed ad una sensibilità prettamente settecentesca.
Studi recenti tendono invece a dimostrare che numerosi testi anonimi di canzoni, ariette, notturni e cantate italiane di questo periodo sono riconducibili alla paternità di poeti sui quali la critica letteraria ha espresso giudizi del tutto positivi (Jacopo Vittorelli, Ippolito Pindemonte, Francesco Saverio De Rogatis, Aurelio de' Giorgi Bertòla, Vincenzo Monti per es.). In particolare è stato poi notato un nuovo modo di sentire i versi di poeti quali Paolo Rolli, Pietro Metastasio (paradossalmente presenze costanti in questo repertorio fino a Donizetti e Rossini) da parte dei musicisti dell'epoca, un modo direttamente riconducibile alla poetica del Pittoresco, preromantica per sua natura. Le testimonianze a questo proposito di poeti, letterati e musicisti quali Bertòla, De Rogatis e successivamente di Asioli – che considerano i versi di Rolli e Metastasio «componimenti della più squisita anacreontica mollezza», «capi d'opera della delicatezza sentimentale», patetici e pittoreschi per eccellenza e, in quanto tali, modelli ideali della poesia per musica da camera – risultano più che eloquenti. Ma basterebbe osservare che numerosi Notturni di Blangini – appartenenti ad un genere nuovo e caratteristico dell'epoca napoleonica e da considerare in parallelo alla produzione della “pittura di notte” e dei Nachtstücke letterari – sono su versi metastasiani. La produzione esemplare a questo proposito pare essere quella di Bonifazio Asioli che mise in musica tutte le cantate e molte arie di Metastasio fra gli anni '70 e l'inizio dell'800, motivando esplicitamente le sue scelte poetiche con termini propri di categorie estetiche classico-preromantiche, quali «semplicità, grazia, chiarezza» e «malinconia, tenerezza, pittoresco, notturno».
La ricerca che si intende presentare riguarda in breve l'aspetto relativo ai testi poetici (sintetizzando i nuovi apporti della ricerca e presentando ulteriori testimonianze) quindi in maniera più dettagliata l'analisi di questo repertorio effettuata in questa prospettiva storico-estetica. Verranno esaminate alcune composizioni (sia appartenenti al genere tradizionale della cantata, sia ai sottogeneri dell'arietta e della canzonetta, sia al genere nuovo e caratteristico dell'epoca del notturno a due voci) di autori quali Paër, Asioli, Cherubini, Crescentini, Blangini, Pollini, Zingarelli su testi di Vittorelli, Bertòla, Meli… e, in particolare, Anacreonte e Metastasio. Per evidenziare gli aspetti stilistici caratterizzanti questo repertorio, si metteranno a confronto versioni musicali di testi poetici effettuate in epoche differenti, per esempio il famosissimo Solitario bosco ombroso di Rolli scelto da Rousseau, Vivaldi, Cherubini, Corigliano, Aprile, Zingarelli… e La tempesta di Metastasio nella versione di Jommelli, di Asioli e di Beethoven.


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Carmela Bongiovanni

Ferdinando Paër e la cantata di primo Ottocento

La cantata nel primo Ottocento è un formidabile veicolo comunicativo in musica; tanto più essa si presta in modo duttile a qualsiasi occasione ufficiale o privata; i principali vettori del suo significato (cui partecipano in egual misura testo e musica) sono i suoi committenti: dalla conoscenza di questi è possibile la contestualizzazione storica delle motivazioni che hanno dato adito alla commissione della cantata. Molte cantate portano infatti in sé i segni dell'evento o del personaggio per cui sono state prodotte. Per quanto concerne le cantate di Ferdinando Paër (1771-1839), sono isolabili, in un contesto di grande eterogeneità, alcune strutture musicali ricorrenti (indipendentemente dall'organico strumentale e dal testo), dei modelli o 'ossature' cui molte delle sue composizioni vocali in realtà si richiamano.
È già stato rilevato da altri come un fatto determinante distingua la cantata come opera (o operina) 'atipica' dal vero e proprio melodramma: la sua occasionalità. È il testo il principale vettore di differenze rispetto ai prodotti melodrammatici seri o comici (o semi-seri) pur ridotti: il testo della cantata è assai spesso scritto per l'occasione che l'ha determinata, quindi altrettanto sovente riporta a un certo punto il nome del dedicatario e il suo elogio.
Capita, come nell'Apoteosi o nel Più bel giorno di festa, cantate entrambe di Paër, che una esile trama si innesti nell'elogio del personaggio cui la cantata è dedicata; a volte tuttavia, come nella Conversazione filarmonica, l'omaggio è più sottile, meno evidente; altre volte come nella cantata celebrativa in onore di Napoleone, La gloria coronante un eroe, o in Sophie, o nella cantata per la festa di Luigi Franul (amico di Paër), o ancora nella Piccola cantata a tre voci (reperibile a quanto mi consta in copia unica ms. in A-Wn e la cui destinataria sembra essere a tutt'ora ignota), la retorica dell'elogio pervade l'intero testo della cantata.
L'influenza che le due maggiori dinastie regnanti d'Europa (Asburgo - Lorena e Borbone) ebbero nella vita e nell'opera di Paër è ravvisabile, oltre che dalla committenza e dalle dediche di singole composizioni, anche dai fondi principali contenenti composizioni cantatistiche (e più in generale vocali non operistiche) di Paër che qui interessano. Non a caso, attualmente, alcune delle maggiori concentrazioni di fonti musicali delle sue cantate sono reperibili in luoghi che furono o residenza di Paër ovvero di membri della famiglia regnante degli Asburgo - Lorena: Parma, Firenze, Vienna, Parigi.


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Michela Niccolai

Da Madama Butterfly al Trio Lescano: trent'anni di 'esotismo'

A partire dalle esposizioni universali di Parigi (1867, 1900) il gusto per l'elemento esotico si era fatto strada in Europa attraverso l'arte figurativa, la moda, ma soprattutto il teatro e la musica. Loie Füller, a Parigi, consacrava un intero teatro a Sada Yacco e alla Kawakami Play Company mentre si raccoglievano in musica i frutti di una tradizione iniziata già da qualche tempo. Se infatti l'elemento esotico inizialmente era impiegato nell'opera con la sola prerogativa di dare 'colore' al dramma (si pensi a Lalla Roukh di David o a Il Guarany di Gomes), in seguito venne approfondita la trama musicale con l'inserimento di temi originali. Dopo La Princesse jaune (1872) di Saint-Saëns, Madame Chrysanthème di Messager (1883) e The Mikado (1885) di Gilbert e Sullivan, l'elemento esotico trova la sua consacrazione in Madama Butterfly di Puccini (1904).
L'importanza che l'esotismo acquista in quest'ultimo dramma è sostanziale, non si tratta di un mero orpello esteriore che colora con tinte orientaleggianti una storia, bensì diventa la giustificazione del plot narrativo ed è impiegato per sottolineare la distanza culturale tra Est e Ovest, incarnata nel destino dei due protagonisti. Il contrasto tra personaggi-simbolo di oriente e occidente, che si può eleggere a paradigma di un più generale conflitto tra due culture con formæ mentis diverse, ritorna nella canzone italiana dei primi trent'anni del Novecento, mantenendo sempre un legame ideale con l'opera pucciniana. Le donne orientali dipinte nella canzone sono ispirate al modello Cio-Cio-San, e come tali votate al sacrificio fino alla morte per il loro amante europeo, che viene quasi sempre dipinto come un 'bruno marinar' alla stregua di Pinkerton.
Attraverso un'analisi comparata della struttura mitica dell'opera e di alcune canzoni d'inizio secolo, dalla celebre Tornerai (Olivieri-Rastelli, 1936), interpretata dal Trio Lescano, ad altre meno note, Fior di Shangai (Cherubini-Avitabile) e il Tango delle Geishe (Tortora-Lama), si cercherà di delineare il fil rouge che collega la reinterpretazione del mito-Butterfly delle canzoni con l'originale, e che si pone quindi come archetipo culturale sempre soggetto a nuove elaborazioni artistiche.


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Fabio Perrone

Il censimento nazionale dei Musei e collezioni di strumenti musicali

Relazione sul Censimento Nazionale dei Musei e Collezioni di Strumenti Musicali condotto nell'anno solare 2002 con il patrocinio dei seguenti Enti:

  • Ministero Beni e Attività Culturali
  • Università degli Studi di Parma
  • Centro di Musicologia Walter Stauffer
  • International Council of Museums – Sezione Italia

Sarà esposto il risultato della ricerca che ha coinvolto oltre 300 istituzioni Museali, Conservatori di Musica e Istituti Musicali Pareggiati, Scuole di Musica ed Accademie, Centri di ricerca musicologica su tutto il territorio nazionale. Saranno esposti i principali risultati emersi dall'indagine sull'attuale situazione delle collezioni di strumenti musicali italiane con particolare attenzione ai seguenti campi oggetto d'indagine:

  • personale addetto alle collezioni;
  • posizione giuridica degli enti proprietari delle collezioni;
  • struttura museografica;
  • attività didattica e scientifica svolta dagli enti proprietari delle collezioni;
  • conservazione degli strumenti musicali;
  • consistenza delle collezioni;
  • documentazione attuale sugli strumenti conservati.

 


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Sara Dieci - Alberto Saltarelli

Un progetto di catalogazione digitale degli organi storici nel territorio della Provincia di Parma: Organet

Gli organi antichi rientrano a pieno diritto nella definizione di bene culturale. In tal senso, il loro valore è indiscutibile e si esprime attraverso differenti attività di tutela, dalla schedatura alla ricerca, al restauro. Quello della provincia parmense è un territorio particolarmente ricco di tradizioni musicali e l'arte organaria vi si sviluppò capillarmente, e con caratteri originali, dovuti anche alla presenza di maestranze locali.
Organet, promosso dall'Amministrazione Provinciale di Parma insieme alla Soprintendenza per i Beni storici ed artistici e al Dipartimento dei Beni Culturali dell'Università di Parma, prevede l'implementazione di una digital library, accessibile via web, che renda disponibile, in modo del tutto innovativo, la fruizione di questo patrimonio. La cosiddetta 'convergenza digitale' consente oggi di creare strumenti integrati per la valorizzazione dei beni culturali; Organet offre la possibilità di articolare un sistema documentario sulla base della scheda di rilievo elaborata dalla Soprintendenza, integrandola con riprese fotografiche e video dello strumento e soprattutto con la registrazione sonora: un dato solo sporadicamente presente nelle rare pagine web dedicate alla descrizione di organi.
Da una preliminare fase progettuale, in cui ai problemi di pianificazione strutturale e di aggiornamento delle schede catalografiche si è associato il lavoro più strettamente informatico di strutturazione della base dati, è seguita la campagna di rilevamento sul territorio e infine l'organizzazione dei dati, in un continuo dialogo fra i committenti, esperti di diversa estrazione (organisti, organologi, storici dell'arte, ecc.) e i coordinatori del progetto.
Articolata su più livelli, per rispondere alle aspettative di utenze diversificate, la scheda si presenta ricca di collegamenti a informazioni sul territorio e sull'edificio in cui lo strumento è situato, sulla famiglia di organari o i musicisti attivi in loco. Essa giunge a costituire una banca dati degli organi parmensi, fotografando la situazione conservativa; la catalogazione digitalizzata, inoltre, possiede vantaggi evidenti: oltre a consentire una maggiore flessibilità nella gestione e un'accessibilità universale, presenta la non disprezzabile caratteristica di essere la prima e, al momento, unica biblioteca digitale organistica, territorialmente sistematica, esistente al mondo, peraltro 'ascoltabile'.
Il progetto Organet, infine, non si colloca esclusivamente nella rete, ma prevede una serie di attività correlate, dall'animazione didattica alla promozione di concerti e convegni.


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Roberto Scoccimarro

Il tema del “doppio” nella commedia per musica napoletana tra 1720-1730

Nel decennio 1720-1730, tra i soggetti affrontati dal genere della commedeja pe' mmuseca, quello delle identità sovrapposte e confuse appare sulle scene con significativa frequenza. Il primo esperimento è Lo simmele di Bernardo Saddùmene, che inaugura a Napoli il Teatro Nuovo nel 1724; la commedia, in occasione della prima “tasferta” del genere comico partenopeo, nel 1729 al Teatro Capranica di Roma, venne parzialmente toscanizzata e rielaborata con il nuovo titolo La somiglianza; ma nel 1725 Francesco Oliva si era già cimentato con lo stesso tema ne Li duje figlie a 'no ventre, ancora a Napoli per il Teatro dei Fiorentini. Nella Semmeglianza de chi l'ha fatta (Fiorentini 1726) di cui abbiamo sia il libretto (non sicuramente attribuibile a Domenico Senialbo, solo autore della prefazione), sia la partitura completa di Leonardo Leo, è possibile osservare l'intrecciarsi, non superficiale ma funzionale allo sviluppo dell'azione, del tema del sosia con la vicenda amorosa, un incastro tematico che nei precedenti libretti restava irrisolto (i “doje cape” de Lo simmele) o appena accennato attraverso personaggi che determinavano una debole connessione tra i due motivi. L'indagine su questo gruppo di libretti ci conduce al vasto territorio delle possibili ascendenze e contaminazioni con il teatro di parola: dalla commedia plautina (Amphitruo e I due Menaecmi), a quella cinquecentesca (La commedia degli Ingannati), agli scenari dell'Improvvisa, fino alle commedie di Niccolò Amenta (La somiglianza e Le gemelle); queste ultime, praticamente coeve allo sviluppo della commedia per musica, dovevano essere direttamente conosciute dai poeti del nuovo genere comico-musicale. L'analisi dei quattro libretti, accanto ai fenomeni di derivazione dei motivi drammaturgici, ci rivela anche uno spaccato nello sviluppo storico del genere: dalla fruizione cittadina al tentativo di affermazione sovraregionale, dall'uso integrale del dialetto alla preponderanza del toscano, dalle canzoni di impronta “popolare” alla preminenza assoluta dell'aria col Da Capo, da una comicità “diffusa” alla distinzione e separazione dei ruoli buffi da quelli seri, questi ultimi tendenti alla cristallizzazione dei tipi e all'astrattezza dei sentimenti, tratteggiati ormai sotto l'influenza dei modi aulici propri del dramma per musica.


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Oreste Palmiero

Marina di Malombra: storia di un'opera mai eseguita

Lo studio nasce con l'intento di portare alla luce – oltre che un'opera di grande interesse poetico-musicale – una serie di documenti, per la maggior parte inediti, che riguardano direttamente Antonio Fogazzaro (1842-1911) e che illuminano il percorso creativo di un lavoro che, per la prima volta nella storia del melodramma, affronta compiutamente un soggetto del grande scrittore vicentino (solo Franco Alfano, una ventina d'anni prima con Miranda, aveva fatto un non ancora ben definito tentativo in tal senso).
L'idea di musicare Marina di Malombra nacque sul finire del primo decennio del '900: Marco Enrico Bossi - compositore, didatta ed organista di fama mondiale – rimasto affascinato da un soggetto a lui ancora sconosciuto, risolse di porre in musica il dramma avvalendosi della collaborazione di Renato Simoni e Luigi Orsini per la stesura del libretto. Spinto dall'entusiasmo ma con non poche difficoltà di carattere pratico, riuscì a comporre il prologo, il primo e parte del secondo atto: quindi, per il perdurare di una situazione non più favorevole alla sua ispirazione artistica, decise di abbandonare l'impresa lasciando l'opera incompleta.
Trent'anni dopo, in pieno conflitto bellico, il figlio Renzo, anch'esso musicista e già a suo tempo diretto testimone della nascita e del parziale sviluppo di Marina di Malombra, riprese in mano l'incompiuto lavoro paterno portandolo a conclusione secondo quelle che furono le intenzioni dello scomparso Marco Enrico.
L'analisi dell'evoluzione artistica dell'opera attraverso i succitati documenti – con i contatti diretti ed epistolari fra i compositori e i loro collaboratori nonché l'interessante intervento dello stesso Fogazzaro, affascinato dall'idea di una riduzione librettistica di un suo romanzo – costituisce il corpus centrale del saggio che si ripropone, oltretutto, di ricostruire l'esatto montaggio della parte poetica attraverso lo studio dei manoscritti reperiti presso la Biblioteca Civica di Como, il “Fondo Orsini” della Biblioteca di Imola, la Biblioteca Bertoliana di Vicenza e l'archivio privato della famiglia Bossi.


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Alessandro Mastropietro

Dagli Esercizi all'Esercizio: il teatro musicale di Domenico Guaccero tra gesto e rito

L'intervento origina da una ricerca sul nuovo teatro musicale a Roma negli anni '60, nel cui ambito la traiettoria dell'esperienza di Domenico Guaccero (1927-1984) riveste un preciso significato. Il gruppo dei quattro Esercizi (per voce, per mimo, per clarinetto e per pianoforte) fu concepito da Guaccero nel 1965 come opera sperimentale nel suo senso costitutivo: “Un esperimento che può riuscire o no”, definizione che l'autore maturò a partire da una riflessione teorica sedimentatasi, in quello stesso anno, nello scritto Musica sperimentale, e sviluppata da una storica affermazione di Cage: “Sperimentale è quell'azione [sonora] il cui risultato non è previsto”. Il valore conferito all'azione, in funzione o meno del suono che produce, e l'assunzione perciò della gestualità quale componente integrante delle partiture degli Esercizi (soprattutto quelli per mimo e per voce), avvicina questi brani a un “teatro strumentale” collegato a riflessione teorica e prassi compositiva sue e di altri autori coevi (Kagel, soprattutto). Centrale è, in Guaccero, il concetto di “contrappunto delle dimensioni” del teatro musicale (musica, parola, scena, azione), le quali possono agire in combinazioni/relazioni simultanee, o ciascuna “a solo”. Tale contrappunto è evidente nell'impianto semiografico degli Esercizi per mimo (i più gestuali del gruppo): le azioni vocali sono separate da quelle mimiche, ed ambedue sono articolate secondo lo specifico organo fonatorio e/o gestuale produttore. Il contrappunto può poi risolversi nell'incontro - happening – dei quattro Esercizi, in esecuzione parallela: gli interpreti devono realizzarlo estemporaneamente, calibrando la propria esecuzione su quella degli altri.
Un “Esercizio” collettivo, quasi un rito d'iniziazione, chiude anche Rappresentazione et Esercizio (1968), nel quale Guaccero traduce in sostanza drammatica l'idea del teatro come degradazione rappresentativa del rito. Il disegno di un percorso iniziatico accomuna ad altri suoi (Scene del potere, Rot) questo lavoro: Guaccero, dopo aver fatto, nella prima parte, “teatro di rappresentazione” (sacra, ma pur sempre critico-brechtiana) basato sul contrappunto delle dimensioni, nell'Esercizio mette in scena una comunità impegnata in un'esperienza totale, attirando il pubblico verso una dimensione “partecipativa” che slitta quasi oltre il teatro. Nonostante poi l'acuta, concreta – e svolta con gli esecutori – ricerca sulla dimensione timbrica (comune ad altri autori del tempo), Guaccero pensa il suo teatro per performers despecializzati, vale a dire in possesso di una specifica professionalità di partenza, ma arricchiti da abilità in tutte le dimensioni dell'evento teatral-musicale (vocalità, gestualità, abilità strumentale…). Tutte queste caratteristiche, insieme all'istanza di un “teatro agibile” (concettualmente prossimo al “teatro povero”), rendono l'esperienza di Guaccero vicina in modo sorprendente, seppur indipendente e parallela nella cronologia, a quella della ricerca grotowskiana, conservando differenze e specificità (su tutte la forte intermedialità e il conseguente “contrappunto delle dimensioni”) che ne sottolineano la matrice musicale, prima che teatrale in senso stretto.


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Simone Ciolfi

La mitologia nell'opera contemporanea italiana del secondo Novecento

Nell'opera contemporanea italiana del secondo Novecento le tematiche della mitologia hanno avuto una presenza sporadica negli anni Cinquanta (Orfeo vedovo di Savinio nel 1950, Prometeo di L. Cortese nel 1951, Medea di P. Canonica nel 1953, Pantea di M. Lizzi nel 1956), sono state quasi assenti negli anni Sessanta e Settanta (Ulisse di L. Dallapiccola nel 1968, Amore e Psiche di S. Sciarrino nel 1973), per poi aumentare massicciamente dagli anni Ottanta ai nostri giorni (Prometeo di L. Nono nel 1984, Phédre nel 1988 e Tieste nel 2000 di S. Bussotti, Perseo e Andromeda di Sciarrino nel 1991, Medea di Giovanni Tamborrino nel 1995, Orfeo e Medea di Adriano Guarnieri il primo nel 1996, la seconda nel 2002, Outis di L. Berio nel 1996, Orfeo a fumetti di Filippo del Corno nel 2002, ecc.). Il fatto che la produzione si infittisca negli ultimi trent'anni del secolo XX, permette di discutere con alcuni autori (tramite il mezzo dell'intervista) il perché delle loro scelte, indagare con quali modalità il mito abbia continuato a stimolare una riflessione sulla realtà, se sia una tendenza solamente italiana e cosa legittimi nuovamente l'uso della mitologia dopo la flessione degli anni Sessanta e Sessanta. Si scoprono così soluzioni assai diversificate tutte favorite dalla materia malleabile del mito (per Dallapiccola Ulisse è l'eroe simbolo dell'uomo tormentato dalla ricerca della verità ultima, in Outis è l'inverso, ovvero la vittima della continua casualità dell'esistenza; per Nono il mito di Prometeo incarnerà finalità di sintesi e sperimentalismo musicale, mentre Bussotti è interessato ai rapporti tra istinto e raziocinio nell'atto violento di Fedra, di Tieste, posizione assai lontana dal classicismo personale di Sciarrino). La narrazione mitica, a causa della sua trama fissa, permette solo una continua variazione del personaggio simbolo e del suo rapporto con la vicenda data. Ed è grazie a questa concentrazione sul percorso interiore che il mito coagula la molteplicità dei linguaggi contemporanei che se ne servono, all'interno dei quali le sue diverse utilizzazioni operano sempre all'insegna di un risorto interesse per gli aspetti emotivi del rapporto tra soggetto e realtà, tra singolo e società, elementi che furono all'origine del senso rappresentativo tragico e che vengono ora a soddisfare nuove esigenze di espressione e di comunicazione. C'è, in fondo, anche il tentativo di esprimere una nuova classicità contemporanea, intesa come possibile armonia tra l'artista, i suoi mezzi e il pubblico, armonia (alla quale non è estraneo un latente messaggio di sovvertimento e di denuncia dell'ingiustizia sociale) da raggiungere tramite l'inevitabile confronto con gli archetipi della tradizione e della psiche.


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Antonella Bartoloni

Il teatro della Pergola e l'Accademia degli Immobili:
un 'nuovo' archivio musicale a Firenze

Uno specifico lavoro di riordinamento del fondo archivistico giacente presso la storica sede dell'Accademia degli Immobili, ha consentito di catalogare una serie musicale, costituita da parti musicali di opere e da balli e cantate, databili tra il 1809 e il 1867.
La discreta consistenza dei manoscritti musicali (76), il corredo altrettanto cospicuo di documenti (registri di cassa, resoconti amministrativi, cronache di ispezioni accademiche) si attestano come interessante riflesso della vita musicale e della conduzione impresariale che gli Immobili imprimono al teatro dal 1712 (ovvero a poco più di un cinquantennio dall'inaugurazione del 1657 con Il potestà di Colognole di Moniglia-Melani) fino al 1945, anno in cui la gestione della Pergola passerà all'Ente Teatrale Italiano.
Accanto ai casi più peculiari di ricostruzione e datazione critica dei brani, la relazione intende riferire sugli esiti più significativi della nuova inventariazione, che trova soprattutto in alcune cantate (e nel contesto celebrativo che le concerne) le testimonianze più indicative del ruolo centrale assunto dal teatro nella politica e nella cultura musicale dell'Ottocento fiorentino.


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Maria Rosa De Luca

Anche Bellini rivoltato. Incipitario Belliniano e dintorni

L'intervento è finalizzato alla descrizione del programma di ricerca riguardante la realizzazione di un incipitario del prodotto musicale belliniano ascrivibile all'area della musica vocale (anche vocale e strumentale) realizzato secondo moduli distinti che consentano la ricerca “a chiave”. In pratica è stato creato un archivio informatico degli incipit testuali belliniani come strumento unico e utile di ricerca, di facile consultazione proprio nell'ottica scientifica secondo la quale il lavoro condotto sui quattro grandi operisti italiani dell'Ottocento, per la specificità dei materiali musicali da essi prodotti, deve necessariamente muoversi verso la realizzazione di agili strumenti per lo studio del prodotto melodrammatico. Un punto di riferimento su base scientifica è rappresentato dall'Incipitario testuale delle opere di Rossini (cfr. Alberto Iesué, a cura di, “Rossini rivoltato”. Incipitario testuale della musica vocale di Gioachino Rossini, Roma, Istituto di Bibliografia Musicale, 1997).
La ricerca ha preso l'avvio dalla ricognizione di tutti i documenti belliniani ascrivibili all'ambito della musica con testo letterario e, dunque, sono stati presi in esame non soltanto i testi dei melodrammi nelle loro varie versioni (due nel caso dell'operaprima Adelson e Salvini e le due Bianca), ma anche quei testi adoperati per le melodie da camera. Sul fronte della musica sacra si è aperto non soltanto la questione dell'attribuzione a Bellini di alcuni prodotti giovanili redatti durante il primo periodo catanese di dubbia paternità ma anche la complessa questione dello spoglio delle partiture sacre che presentano, contestualmente, anche un testo profano. Di questi materiali sono entrati a far parte dell'analisi, indubitabilmente, anche gli abbozzi, i frammenti e le pagine spurie.
Il lavoro ha dato vita ad una definitiva sistemazione dei materiali descritti, nonché alla loro totale ricognizione (che ha tentato il passaggio anche per gli spesso impenetrabili fondi privati, si veda per tutti il recente ritrovamento dell'autografo di “Dolente immagine di Fille mia” all'interno del Fondo Muscarello). In secondo luogo è stato anche possibile fare il punto sulle attribuzioni al Catanese della musica sacra giovanile.
I dati sono stati incamerati su supporto magnetico, in vista anche di una definitiva pubblicazione su Cd-rom, al fine di poter dar vita alle ricerche combinate ed “a chiave” delle quali si è detto in fase di descrizione dell'obiettivo del programma.
Al di là della validità della creazione di uno strumento quale quello descritto, i risultati del lavoro, grazie al supporto elettronico, hanno condotto all'elaborazione di regesti dai quali è stato possibile trarre dati quali: la quantità di parti chiuse per i vari ruoli vocali; i registri maggiormente usati nel repertorio sacro; le variazioni sostanziali nei testi apportate dal musicista ecc.
Inoltre, anche sul fronte del repertorio vocale da camera, a utili conclusioni si è giunti al fine di redigere un definitivo Catalogo delle opere del Catanese.


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Marco Giuliani

Il Primo Libro di Canzon villanesche alla napolitana a quattro voci di Baldissera Donato

Per chi si occupa di argomenti rinascimentali questa non è opera che necessiti di presentazione enfatica o ampollosa.
La fortuna coeva di questo libro è amplissima.
Ben nota ai cultori del repertorio canzonettistico alla napolitana e non, la circolazione sovranazionale dei suoi brani, il travestimento delle sue melodie, e la notorietà del suo autore, appartengono con pieno diritto, alla storia della cultura musicale popolareggiante dell'ambiente veneziano; non a caso questo libro è la più ristampata raccolta di canzone villanesche (nelle note di registro, dichiarate “Villotte”) che si conosca fino agli anni '70 del XVI secolo e tra le più rièdite in assoluto.
Ciò nonostante, questo libro non ha mai visto un'edizione moderna e di questi brani solo tre sono noti.
La prima trascrizione moderna completa curata dallo scrivente dà ragione della qualità del invenzione melodica, della chiarezza del profilo formale, della naturalezza 'delle arie', delle colorite immagini e dei temi poetici che affiorano vigorosamente. Lo studio chiarisce finalmente molti aspetti bibliografici fino ad ora ignoti e la corregge la paternità di brani a stampa e manoscritti, altrimenti attribuiti Willaert oppure ritenuti anonimi.
Il grande apprezzamento occorso al compositore e alla sua opera risulta anche di grande attualità ai giorni nostri per una circolazione veramente europea di queste musiche.
Per descrivere un successo così ampio è importante (e necessario) esplicitare una serie nutrita di considerazioni bibliografiche dirimendo numerose questioni cronologiche e formali che chiariscono finalmente la genesi e la compilazione dei vari libri di Canzon villanesche (ovvero delle villote) donatiane.


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Marina Toffetti

L'Aggiunta nuova delli concerti [...] raccolti da Filippo Lomazzo (Milano, 1612)

Nel 1608 Francesco Lucino, uno dei pilastri della cappella musicale del Duomo di Milano, dove cantava come basso, svolgeva le mansioni di vicemaestro e per un breve periodo avrebbe rivestito anche il ruolo di maestro di cappella ad interim, pubblica una raccolta con alcune “moderne operette di alcuni valenti musici locali”. Vi compaiono composizioni a due, tre, quattro voci dei principali compositori allora attivi sulla piazza milanese, dal 'suo' maestro di cappella Giulio Cesare Gabussi, a Cesare Borgo, allora organista del Duomo, a Giovan Paolo Cima e Giovanni Domenico Rognoni, per tacer d'altri pure allora rinomati. La raccolta ha un successo strepitoso, tanto che a soli quattro anni “già se ne sono spedite tutte le copie della prima, e seconda impressione”. Ce lo riferisce Filippo Lomazzo, infaticabile editore, ma nel contempo a sua volta musicista, fine conoscitore, nonché regista della vita musicale locale, nella lettera dedicatoria a un'Aggiunta nuova, da lui stesso assemblata, ai concerti raccolti da Lucino, non a caso dedicata proprio a quest'ultimo. La storia del successo editoriale di questa raccolta non finisce qui: a quattro anni dall'Aggiunta nuova si segnala un'ulteriore ristampa della raccolta di Lucino, corredata dell'Aggiunta nuova di Lomazzo (ora ribattezzata Aggiunta prima), mentre nel 1617 sarebbe uscita una Seconda aggiunta con una messa, un Magnificat, le litanie della madonna e dodici canzoni strumentali.
Il presente intervento, nel quale verrà proposto l'ascolto di alcune composizioni incluse in una recente incisione discografica, intende focalizzare l'importanza storica e abbozzare un'analisi tecnica e stilistica delle composizioni incluse nell'Aggiunta nuova del 1612, in cui figurano, oltre a tre composizioni a quattro voci, una a tre e sette a due voci, anche tre concerti a voce sola di straordinaria modernità e di notevolissimo impatto emotivo (la prima raccolta milanese in cui figurano mottetti a una voce, le Sacrae cantiones opera II di Girolamo Baglioni, era stata stampata nel 1608).
I risultati dell'indagine pongono in evidenza la precoce diffusione a Milano di uno stile monodico maturo e aggiornato e consentono di abbozzare una sia pur provvisoria definizione degli stili individuali di compositori del rango di Francesco e Giovanni Domenico Rognoni, Giulio Cesare Ardemanio, Benedetto Binago, Fulgenzio Valesi e Giovanni Ghizzolo, alcuni dei quali ancora attendono di essere adeguatamente studiati, nonostante l'indubbio favore di cui dovettero godere. Inoltre sono state rinvenute informazioni che consentono di illuminare le circostanze esecutive di alcune composizioni e di ricostruire qualche pagina della storia della ricezione di questo repertorio.


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Ugo Piovano

Il contributo di Giulio Ricordi alla diffusione delle musiche per banda alla fine dell'Ottocento

Nell'Ottocento la banda musicale divenne una realtà molto diffusa in tutto il territorio italiano grazie alle numerose Bande Militari Reggimentali, alle Bande Municipali (spesso dirette eredi dei Corpi di Musica delle Guardia Nazionale) e ad una miriade di Società Filarmoniche. Persino il mondo dell'opera ne dovette tener conto e, fra gli anni '30 e '70 del secolo, la banda di palcoscenico divenne praticamente obbligatoria. Un simile fenomeno di massa diede luogo ad una massiccia produzione musicale, in parte originale ed in gran parte trascrizione di brani operistici e sinfonici. Se all'inizio furono coinvolti soprattutto editori minori, spesso specializzati nel settore, a partire dal 1888 (anno dell'acquisizione del catalogo di Lucca) Giulio Ricordi, col suo fiuto imprenditoriale, entrò in campo in modo massiccio e mirato.
Il presente studio si è occupato proprio di ricostruire tutte le iniziative editoriali di Giulio Ricordi, viste nel contesto dell'epoca, con lo scopo di mettere in luce il ruolo avuto dall'editore milanese nello sviluppo della pratica bandistica alla fine dell'Ottocento.
Le iniziative più significative emerse sono le seguenti:

  1. Concorsi annuali di composizione bandistica (1888-1892)
  2. Pubblicazione di numerose composizioni per banda di vario organico e creazione di alcune Collane specifiche in abbonamento (con relativo permesso esecutivo della Società degli Autori):
    1. Biblioteca dei Corpi di Musica Civili e Militari (374 pezzi in 30 serie annuali)
    2. Biblioteca Popolare dei Corpi di Musica e Fanfare (337 pezzi)
    3. Piccola Biblioteca Popolare della Fanfara (11 pezzi)
  3. Pubblicazione del celebre Manuale del Capomusica di Amintore Galli (1889)

Si può chiaramente mettere in luce una strategia sinergica precisa. Con i Concorsi si sollecitava la produzione originale, all'epoca piuttosto trascurata in favore delle trascrizioni operistiche:

1888

Fantasia originale

80 concorrenti

 

Marcia Militare

194 "

1889

Ouverture

40 "

1890

Valzer

44 "

1891

Pezzo caratteristico

45 "

1892

Pezzo caratteristico “Mattinata campestre”

20 "

Con la pubblicazione massiccia di pezzi per banda si estendeva notevolmente il repertorio dei vari complessi, influendo anche nella cultura musicale dei ceti più popolari grazie ad una diffusione capillare di una serie di brani operistici e classici selezionati. Per capire l'entità del fenomeno è sufficiente segnalare che il primo Catalogo Ricordi del 1842-43 prevedeva solo 29 pezzi per “Armonia” o “Banda Militare”, nessuno dei quali originale (18 da Rossini, 4 da Mercadante, 4 da Pacini, 1 da Meyerbeer, Morlacchi e Vaccaj) e anche quello successivo del 1875 ne aggiungeva solo 39 (dei quali finalmente 23 originali). Già a partire dal Catalogo 1896 i pezzi per “Banda Militare, Armonia e Fanfara” sono 159 (e sono addirittura 273 in quello successivo del 1897-1904) ai quali vanno aggiunti quelli delle Collane segnalate in precedenza.
L'influenza non si limita al repertorio e si spinge anche su quello degli organici quanto mai variabili delle bande italiane dell'epoca. Se inizialmente i Ricordi si ispirano ai modelli francesi e tedeschi e puntano sull'Armonia con 1 Flauto, 2 Oboi, 2 Clarinetti, 2 Corni, 2 Trombe, 1 Trombone, 2 Fagotti, 1 Officleide ed 1 Controfagotto, a partire dal 1888 Giulio Ricordi impone un tipo di complesso decisamente più italiano, con “Flauto Re bem., Clarino Mi bem., Clarini 1.mi, 2.di e 3.i Si bem., Claroni 1.° e 2.° ad libitum, 2 Cornette Si bem., 2 Flicorni Si bem., 3 Corni o Clavicorni Mi bem., 3 Genis o Trombe Mi bem., Basso Flicorno o Trombone cantabile, Bombardino 1.° e 2.° , 3 Tromboni, Bassi, Tamburo, Cassa e Piatti” che reggerà il campo fino alla riforma di Alessandro Vessella avvenuta agli inizi del Novecento.
Infine, col manuale di Amintore Galli, l'editore fornisce da un lato lo strumento didattico e culturale indispensabile per la formazione professionale dei maestri di banda (che non erano sempre Verdi, Ponchielli e Mascagni...) e dall'altro ne orienta in modo cogente il pensiero estetico, grazie ad una ricca parte storica e ad una ampia discussione sui vari organici nazionali e sulle caratteristiche degli strumenti utilizzabili. E va infine segnalato che Ricordi predispose anche una serie completa di metodi popolari per i vari strumenti a fiato che ebbero una grande diffusione e contribuirono a formare intere generazioni di musici dilettanti.


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Anna Ficarella

Tradizione e innovazione nello stile interpretativo di Gustav Mahler:
osservazioni sulla partitura della
Quinta sinfonia

Nella poliedrica personalità di Gustav Mahler, l'attività di musicista interprete, svolta nella triplice veste di direttore d'orchestra, regista e sovrintendente teatrale - riveste un'importanza pari alla sua attività di compositore. Al di là di false mitizzazioni riguardo l'ostilità dell'opinione pubblica tedesca e austro-ungarica nei confronti del musicista di origine ebraica emigrato dalla Boemia, in realtà l'interprete Mahler ebbe a Vienna più ammiratori che detrattori, pur tra le aspre polemiche che una figura di artista come la sua, non incline a compromessi, inevitabilmente suscitava in una società molto orgogliosa delle proprie tradizioni musicali come quella mitteleuropea e viennese in particolare.
È proprio il confronto critico, talvolta conflittuale, con quella “tradizione” il minimo comune denominatore fra la pratica compositiva e quella interpretativa di Mahler, il cui atteggiamento da “usurpatore”- per citare Eggebrecht - riguarda anche il rapporto con le musiche che dirigeva e le opere che metteva in scena, identificandosi a tal punto negli autori interpretati da rendere legittimo sostituirvisi.
Il ruolo determinante di innovatore culturale svolto da Mahler è testimoniato innanzitutto dalla coerenza e dalla lungimiranza nell'organizzazione delle stagioni concertistiche e teatrali. Più complicato risulta ricostruire la sua estetica interpretativa e la sua prassi direttoriale per la mancanza di documenti audiovisivi attendibili. Nel 1992 sono stati riversati su cd i rulli pianistici Welte Mignon registrati da Mahler nel novembre 1905, comprendenti due Lieder e le riduzioni pianistiche di due movimenti sinfonici (il quarto movimento della quarta sinfonia, senza la parte vocale, e il primo della quinta); pur senza voler sminuire il valore storico di questo documento sonoro, esso tuttavia, per gli evidenti limiti tecnici del mezzo di riproduzione, può essere preso in considerazione solo con molta cautela in un'indagine sull'arte interpretativa mahleriana. In quest'ambito le uniche fonti valide sono costituite dalle testimonianze dell'epoca e soprattutto dalle partiture usate da Mahler per dirigere, ricche di annotazioni e “ritocchi” alle musiche da lui dirette - sia si trattasse delle proprie composizioni sia di musiche altrui - documenti preziosi, anche se non facilmente accessibili, non solo per ricostruire l'approccio dell'interprete Mahler al repertorio musicale ma anche per indagare l'interazione fra il compositore-creatore e l'interprete “ri-creatore”. Da questo punto di vista risulta illuminante il confronto con l'opera di revisione continua cui Mahler sottoponeva le proprie musiche durante le prove orchestrali.
Emblematiche risultano le partiture in possesso di Willem Mengelberg, il direttore d'orchestra olandese che fu tra i primi e più vicini interpreti e collaboratori di Mahler. Particolarmente carica di “storia” è la partitura della quinta sinfonia: i ritocchi dello stesso Mahler, le indicazioni, i commenti e le aggiunte vergati da Mengelberg che assisteva alle prove orchestrali, quasi a mò di registrazione fedele delle intenzioni del compositore, rendono indispensabile lo studio di questa partitura non solo a fini redazionali ed editoriali. Le partiture del fondo Mengelberg sono state collazionate nell'ambito della Gesamtausgabe curata da Erwin Ratz e Karl Heinz Fuessl; tuttavia nella recentissima edizione critica del 2002 della quinta sinfonia - Peters Verlag -, il curatore, Reinhold Kubik, non ha incluso la partitura di Mengelberg fra le fonti primarie della sua edizione, considerandola più importante come documento di prassi interpretativa piuttosto che per la ricostruzione filologica della sinfonia. L'analisi dei ritocchi alla partitura può risultare, invece, di notevole utilità se impiegata in funzione di correttivo critico per lo studio delle incisioni storiche delle musiche mahleriane, nel tentativo di dare dei contorni più precisi e meno “leggendari” alla tradizione interpretativa cosiddetta “mahleriana”.
Dall'esame dei ritocchi alla partitura della quinta sinfonia emerge l'“ossessione” mahleriana per i dettagli della strumentazione e per la massima chiarezza di articolazione e fraseggio, presente in maniera del tutto analoga anche nei ritocchi alle partiture delle sinfonie di Beethoven e Schumann. Il continuo “Gestalten und Umgestalten” mahleriano si riflette anche nell'acribia delle annotazioni di Mengelberg e soprattutto nella scelta sempre problematica degli stacchi di tempo. In Mahler, poi, l'etica del perfezionamento dell'opera governa l'approccio ri-creativo a qualunque partitura: in questo senso riproduzione e produzione rientrano nella stessa categoria della “Verwandlung”, della trasformazione creativa del materiale musicale esistente. Nelle partiture delle sue musiche si sovrappongono, dunque, l'esperienza artistica dell'interprete e quella del compositore, accomunate da un rapporto ambivalente con la scrittura musicale che non assume mai forma definitiva, nel tentativo di fissare sulla carta nel modo più preciso possibile la propria immaginazione musicale.


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Stefano Crise

Italo Svevo e l'Hausmusik

Questa ricerca ha l'obiettivo di analizzare la quotidianità musicale di un intellettuale borghese e violinista dilettante, nel periodo tra l'Ottocento e il Novecento. Le fonti reperite sono state perciò gli scritti, le lettere, i diari, i “manuali di civiltà”, gli studi sulla vita quotidiana e il tempo libero, gli spartiti, alcuni dei quali appartenuti proprio alla famiglia Svevo.
Il rito della Hausmusik, (repertorio, comportamenti sociali ed esecuzioni), è emerso dalle molte caratterizzazioni letterarie ma anche dalle confidenze epistolari dello scrittore e dalle consuetudini musicali dell'epoca. Sono tornate alla luce anche le musiche eseguite dai dilettanti, illuminando tutto un mondo di grande produzione musicale. Così, non solo acquistano un valore particolare le, spesso citate, disquisizioni di Zeno Cosini intorno all'esecuzione della Ciaccona di Bach, ma anche le soluzioni di alcuni enigmi musicali presenti nei tre romanzi e nelle commedie sveviane (chi è lo spagnolo che ha scritto la cadenza del Concerto per violino e orchestra di Beethoven, con chi si può identificare il maestro di pianoforte Lali, perché Carla Gerco studia canto sul trattato di Garcia ma esegue “Rosina te xe nata in un casoto”) che servono a circoscrivere una leggerezza tipica di quel modo di usare la musica. In questa particolare ottica, i valzer di Joseph Ascher, o il Dichter di Eduard Bauer, ascolti segnalati dal fratello di Svevo, mettono in risalto il piacere per la Salonmusik. Questa musica, triviale, di consumo o leggera, intimamente legata con un sentire profondo per le piccole cose non sempre di pessimo gusto, rientra solo in parte nel repertorio della sala da concerto, mentre è la cifra stilistica di tutta una classe sociale.
Al di là di un puro elenco della sterminata produzione salottiera della belle epoque, la ricerca mette in luce, all'interno della Salonmusik, tutta una serie di sottogeneri come il militaresco, il sentimentale, o quello rapportabile al fascino per la tecnica, l'umoristico, o quello erotico. Oltre alla ricezione, è stato approfondito anche l'aspetto esecutivo, tipico delle riunioni di Hausmusik, dove il dilettantismo, il dilettantismo nobile, ha avuto un singolare valore di educazione musicale.


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Tatiana Dubravskaia

L'arte del contrappunto a cavallo dei millenni in Russia:
la trasformazione della tradizionale forma musicale del canone
come specchio del rivolgimento epocale della
Nuova Musica

Com'è noto, verso la fine del secondo millennio è nata la Nuova Musica. L'essenza del rivolgimento epocale ha la sua manifestazione particolare nella trasformazione di quelle forme più antiche, che ancora si usavano nella musica del Novecento.
Fra di esse annoveriamo senza dubbio quella del canone.
Generalizzando la storia di questo tipo di composizione, nel Novecento il canone ha molte varietà; il cambiamento importante da segnalare è la sua trasformazione dalla 'forma lineare' a quella 'non-lineare'.
Ciò trova dei parallelismi densi di significato anche nella filosofia contemporanea.
Le opere di A. Webern, P. Boulez, A. Schnitke, E. Denisov, mostrano la revisione del termine stesso.
Ma, mentre della produzione contrappuntistica weberniana e dell'area occidentale in genere ormai molto si conosce, assai meno nota è l'opera di autori russi del Novecento.
Il saggio mette conto di indagare e divulgare ciò che il pensiero russo contemporaneo ha saputo elaborare dall'epoca che va dalla seconda Scuola di Vienna fino ai nostri giorni.