Firenze-Fiesole, Centro Studi, via della Piazzola 71

28-30 novembre 1997

Programma e abstract

Venerdì 28 novembre

  • Sala A (ore 15.30), Oratorio e Cappella (presiede Biancamaria Brumana).
    • Annamaria Micali, L'oratorio a Messina tra Sei e Settecento: il ruolo dei Gesuiti. Abstract.
    • Niccolò Maccavino, La cappella musicale della Cattedrale di Piazza Armerina nel primo decennio del XVIII secolo. Abstract.
    • Carmela Bongiovanni, Note sulla tradizione manoscritta dell'oratorio Sant'Elena al Calvario di Pasquale Anfossi. Abstract.
  • Sala A (ore 17.30), Committenza e mecenatismo (presiede Warren Kirkendale)
    • Marco Bizzarrini, Luca Marenzio e la Francia. Abstract.
    • Patrizia Radicchi, Musica e stato sotto Alberico Cybo Malaspina (1553-1623). Abstract.
    • Teresa Chirico, Musico e mecenatismo nella Spoleto nobile. Abstract.
  • Sala B (ore 15.30), Musica in Lombardia (I) (presiede Umberto Scarpetta)
    • Marina Toffetti, Gli inni di Marco Antonio Ingegneri nell'edizione di Alessandro Lodi (1606). Abstract.
    • Maria Chiara Zani, Orazio Modiana fra manierismo e barocco. Abstract.
  • Sala B (ore 17.30), Musica in Lombardia (II) (presiede Laura Mauri Vigevani)
    • Maria Teresa Dellaborra, La musica sacra settecentesca in ambito lombardo. Abstract.
    • Dascia Delpero, La vita musicale a Milano attraverso il Giornale enciclopedico e la Gazzetta enciclopedica. Abstract.

 

Sabato 29 novembre

  • Sala A (ore 9.30), Musica strumentale (I) (presiede Patrizio Barbieri)
    • Marco Giuliani, Ancora sulla celebre raccolta collettiva di Canzoni per sonare con ogni sorte di stromenti […] Del 1608. Abstract.
    • Carla Ortolani, Riflessioni sulle Sonate a tre di Michele Mascitti. Abstract.
  • Sala A (ore 11.30), Musica strumentale (II) (presiede Rodolfo Baroncini)
    • Daniele Torelli, La notazione del manoscritto organistico della Collegiata di Spello: problemi di prassi esecutiva. Abstract.
    • Luca Della Libera, Presenze strumentali nella Basilica si Santa Maria Maggiore a Roma (1580-1640). Abstract.
  • Sala A (ore 15.30), Operisti: storia e leggenda (presiede Markus Engelhardt)
    • Anthony DelDonna, Commistioni stilistiche in alcune opere di Pietro Alessandro Guglielmi. Abstract.
    • Giuseppina Mascari, Giovanni Pacini: da Lidia di Brabante a Niccolò de'Lapi. Abstract.
    • Maurizio Piscitelli, La figura e l'opera di Pergolesi nella letteratura italiana dell'Ottocento. Abstract.
  • Sala A (ore 17.30), Istituzioni teatrali (presiede Marco Capra)
    • Cristina Torchia, Il teatro Real Ferdinando di Cosenza (1826-53). Abstract.
    • Rosa Perrotta, Nicola De Giosa e il Teatro di San Carlo dopo l'unità d'Italia. Abstract.
    • Maria Rita Coppotelli, La Società Teatrale Internazionale di Roma: un fondo inedito presso l'Archivio Storico Capitolino. Abstract.
  • Sala B (ore 9.30), Suono e immagine (presiede Alberto Colzani)
    • Barbara Marignetti, Contributo di iconografia musicale a Immagini del sentire. Abstract.
    • Pierangela Pingitore, Il pensiero musicale di Edmund Gurney (1847-88). Abstract.
  • Sala B (ore 11.30), Modelli compositivi (presiede Guido Salvetti)
    • Marco Renoldi, Ritmo e analisi lineare: espensione ritmica e tecniche fraseologiche in Mozart. Abstract.
    • Carlo Lo Presti, La dissoluzione del “sogno orientale”: le due Shéhérazade di Maurice Ravel. Abstract.
  • Sala B (ore 15.30), Polifonia vocale tra Cinque e Seicento (presiede Rossana Dalmonte)
    • Michaela Zackova Rossi, Gregorio Turini e il suo Primo libro de canzonette a quattro voci (1597). Abstract.
    • Marco Ruggeri, Aspetti stilistici e formali nei Magnificat polifonici di Pietro Ponzio. Abstract.
  • Sala B (ore 17.30), Rapporti fra testo e musica (presiede Bonifacio Baroffio)
    • Luisa Nardini, Le prosule del Proprium Missae nei manoscritti di area beneventana. Abstract.
    • Stefano Patuzzi, Continuità narrativa nel Quinto Libro de Madrigali di Monteverdi. Abstract.

 

Domenica 29 ottobre

  • ore 9.00: Assemblea ordinaria dei soci SIdM. Apertura del seggio elettorale per il rinnovo delle cariche direttive
  • ore 12.30: “La tradizione toscana”, Concerto di Riccardo Marasco
  • ore 14.30: Chiusura del seggio elettorale

Abstracts

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Marco Bizzarrini

Luca Marenzio e la Francia

Nei primi mesi del 1586 Luca Marenzio fu in predicato di trasferirsi in Francia al servizio del duca di Joyeuse, cognato di re Enrico III. Questo progetto, tuttavia, sfumò per un mancato accordo tra le parti. A rivelarci l’informazione sono due lettere di Scipione Gonzaga (3 e 10 maggio 1586) inviate a Federigo cutaneo, gentiluomo del duca di Mantova.
Isolato dal proprio contesto storico-biografico, l’episodio potrebbe essere interpretato come un’ulteriore testimonianza della fama europea raggiunta in quegli anni dal sommo madrigalista italiano. In realtà, all’origine del fatto, si pongono anzitutto le relazioni politico-diplomatiche intessute dal patrono di Luca Marenzio: quel cardinale Luigi d’Este all’epoca protettore della corona di Francia presso la Santa Sede.
I principali studi e contributi biografici su Marenzio (tra cui Engel 1956, Ledbetter 1971, Pirrotta 1973) dedicano solo brevi cenni ai rapporti tra il compositore e la Francia. Nonostante ciò. Ben due libri di madrigali a sei voci – il secondo (1584) e il quarto (1587) – furono dedicati ad influenti personalità transalpine: rispettivamente il cardinale Louis de Guise e l’ambasciatore del re cristianissimo in Roma, Jean de Vivonne. Sulla base delle fonti documentarie conservate negli archivi italiani e presso la Bibliothèque Nazionale de France, la ricerca ha permesso di mettere a fuoco lo sfondo politico-culturale su cui si innestano quelle raccolte madrigalesche. Dal contesto emerge altresì il ruolo decisivo del cardinale Luigi d’Este nell’indirizzare la carriera artistica di Marenzio durante gli anni più fecondi della sua attività.


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Carmela Bongiovanni

Note sulla tradizione manoscritta dell’oratorio S.Elena al Calvario di Pasquale Anfossi

In un importante studio di dieci fa Wolfang Osthoff segnalava il deplorevole stato di trascuratezza in cui versavano gli studi su Pasquale Anfossi (1727-1797) e in particolare sulle fonti delle sue composizioni (disseminate in enorme quantità in tutto il mondo). Come conseguenza di tale situazione, il disordine di attribuzioni ad Anfossi non deve stupire: il caso emblematico dell’oratorio Sant’Elena al Calvario lo sta a dimostrare. Una delle fonti manoscritte sopravvissute di quest’oratorio, adespota e conservata in I-G1, è stata da sempre attribuita – sulla scorta del catalogo di Pintacuda – allo stesso Pasquale Anfossi. In realtà, è totalmente differente in ogni sua parte rispetto alle altre fonti della Sant’Elena certamente di Anfossi. L’attribuzione del manoscritto genovese va quindi rivista: l’ipotesi di identificazione più verosimile potrebbe legarsi a un compositore genovese, Gaetano Isola (1754-1813), autore anch’egli nell’ultima parte del ‘700 di un Oratorio sul medesimo testo metastasiano.


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Teresa Chirico

Musica e mecenatismo nella Spoleto nobile

Gli studi riguardo alle attività musicali a Spoleto nei secoli passati sono quantitativamente limitati, spesso non aggiornati né supportati da fonti certe. In realtà la città tenne sempre in grande considerazione la musica: in particolare il ceto nobile si adoperò molto spesso per tale arte, considerandola indispensabile per la propria formazione e per la vita sociale.
La presente ricerca si basa in gran parte su documenti d’archivio inediti tra Seicento e Ottocento riguardanti le famiglie spoletine, nonché su musiche (manoscritte e a stampa) dedicate ai loro componenti e da quelli eseguite; particolare interesse assume la rappresentazione dei melodrammi in ambito locale e non, in sedi accademiche e in teatri privati e pubblici, i cui azionisti erano nobili. Inoltre, rilevante è l’interesse per la musica cameristica e sinfonica, chiaramente indicato dalla circolazione della relativa stampa musicale a Spoleto e in zone limitrofe, che rivela, tra XVIII e XIX secolo, un non comune interesse per la letteratura straniera.
L’impegno dei nobili era notevole anche nella musica sacra, come è testimoniato dalla formazione di orchestre – riportate in note d’archivio – che si adoperavano sul territorio. La circolazione culturale tra Spoleto e le altre città, in particolare Roma, era fondamentale per molti aspetti; l’acquisto di musiche e strumenti, il confronto con le opere e le accademie che si tenevano altrove, nonché l’educazione dei rampolli nei collegi romani consentivano un continuo confronto e aggiornamento, e di conseguenza una vita sociale ‘alla moda’.
La musica assumeva una portata etica non indifferente, come ornamento e carattere distintivo nell’educazione di alto rango.


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Maria Rita Coppotelli

La Società Teatrale Internazionale di Roma: un fondo inedito presso l’Archivio Storico Capitolino

Presso l’Archivio Storico Capitolino di Roma è conservato un fondo rimasto sinora totalmente inedito, e tuttora in corso di inventariazione, contenente numerosissimi documenti attraverso i quali sarà possibile ricostruire una pagina importante della storia del teatro lirico italiano: l’avventura della S.T.I.N, Società Teatrale Internazionale, fondata da Walter Mocchi nel luglio del 1908. Mocchi, ex uomo politico dal passato burrascoso, marito della cantante Emma Carelli, aveva fondato già un anno prima, a Buenos Aires, la S.T.I.A., Società Teatrale Italo-Argentina, progettando un grande trust per le rappresentazioni d’opera nei maggiori teatri del Sud America e costituendo, grazie ad un accordo con Umberto Visconti di Modrone, una grande compagnia formata da elementi del Costanzi di Roma e della Scala di Milano.
La S.T.I.N. avrebbe dovuto rappresentare il coronamento di questo progetto: la Società controllava teatri come il Carlo Felice di Genova, il Regio di Torino, il Petruzzelli di Bari, ed il 29 luglio 1908 acquistava il Costanzi di Roma. Tramite il collegamento con la S.T.I.A., il suo raggio d’azione si estendeva all’Argentina, al Cile e al Brasile. L’avventura, così ambiziosa, di questo grande trust teatrale era tuttavia destinata ad essere di breve durata: tra il 1911 ed il 1912, a causa di divergenze insorte tra le due società, Mocchi decise di trasformare la S.T.I.N. in Teatral; nel 1912 la Teatral divenne Impresa del Teatro Costanzi, la cui gestione venne affidata ad Emma Carelli, che la conservò fino al 1926. Con lei il Costanzi conobbe una delle sue stagioni più prestigiose. Il fondo S.T.I.N. dell’Archivio Capitolino comprende la documentazione completa di questa grande avventura: dai resoconti delle spese ai progetti per i lavori di ristrutturazione dei teatri gestiti dalla Società, alla corrispondenza con agenti, artisti, librettisti (fra cui D’Annunzio), giornali. È possibile, studiando questo materiale completamente inedito, ricostruire nei minimi dettagli la storia della S.T.I.N e dei suoi teatri, in particolare il Costanzi di Roma, recando un apporto notevole e inatteso – essendo il fondo finora sconosciuto – alla storia del teatro lirico italiano nei primissimi anni del secolo.


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Anthony DelDonna

Commistioni stilistiche in alcune opere di Pietro Alessandro Guglielmi

Durante il Settecento la rappresentazione delle opere in dialetto napoletano era vietata a corte e al Teatro San Carlo ed era invece ammessa nei piccoli teatri (Teatro de’Fiorentini, Teatro Nuovo, Teatro della Pace), che ospitarono opere diverse per soggetto, lingua e musica. Tali distinzioni impedirono comunque che l’attività dei compositori si limitasse ad un unico genere, come dimostra certa specifica produzione in cui si riscontrano vere e proprie commistioni stilistiche.
Pietro Alessandro Guglielmi era giudicato dai suoi contemporanei Burney e Stendhal come un innovatore nel campo operistico, ma le più recenti fonti bibliografiche (Grove 1992) sostengono che per mancanza di studi monografici non è possibile esprimere un giudizio preciso sul musicista. Questa relazione, basata su tre opere che costituiscono esempi di altrettanti generi (Laconte come opera seria; Il raggiratore di poca fortuna come opera buffa; Le sventure fortunate come farsa), esamina i recitativi e la forma delle arie e dei pezzi d’insieme, cercando di dimostrare, attraverso l’analisi di esempi musicali, come la struttura del libretto influisca sulla tipologia della musica e come il dialetto incida sui recitativi.
In tal modo è possibile verificare l’intrecciarsi di stili diversi in un unico compositore, tanto da poter considerare Guglielmi un autentico “innovatore d’opera”.


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Dascia Delpero

La vita musicale a Milano attraverso il «Giornale Enciclopedico» e la «Gazzetta Enciclopedica»

L’indagine da me condotta ha avuto come oggetto lo spoglio delle notizie musicali contenute in due periodici milanesi di fine Settecento: il «Giornale Enciclopedico», stampato dai Fratelli Pirola negli anni 1782-1797, e la «Gazzetta enciclopedica», stampata da Gaetano Motta negli anni 1870-1802. Si tratta di due periodici quasi sconosciuti, sui quali non erano stati condotti studi specifici, tanto meno di natura musicologia, che attraversano un periodo storico ricco di avvenimenti, con l’alternanza di Austriaci e Francesi alla guida del Milanese.
Le notizie di interesse musicale sono numerosissime e si concentrano generalmente in apposite sezioni intitolate «teatri» e «funzioni», ma spesso si trovano anche tra le notizie politiche descrizioni di spettacoli dati alla Scala, alla Cannobiana o nel teatro di Monza, di cerimonie religiose tenutesi con accompagnamento musicale in città o nelle località vicine; entrambi i periodici prevedevano, poi, una ‘parte letteraria’, contenente, tra l’altro, recensioni di pubbicazioni musicali o di opere teoriche sulla musica.
Il giornale e la gazzetta sono due fonti preziose per indagare la multiforme realtà musicale milanese alla fine dell’ancien régime dal punto di vista della produzione musicale.
In particolare, i due periodici si sono rivelati utili per datare gli spettacoli, soprattutto le prime, ma a volte anche le repliche, per giustificare proroghe nel calendario operistico o inspiegabili mutilazioni degli spettacoli. Nel caso di musicisti operanti a Milano in quegli anni hanno fornito nuovi dati biografici; altre volte le recensioni hanno permesso di anticipare l’uscita di note pubblicazioni. Da segnalare, infine, una delle prime recensioni del giornale che ci consente di conoscere precisamente l’organico dell’orchestra scaligera all’indomani dell’apertura del nuovo teatro, indicando nome e ruolo degli strumentisti.


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Maria Teresa Dellaborra

La musica sacra settecentesca in ambito lombardo

Il testo intende fornire un significativo contributo allo studio della musica sacra lombarda di pieno ‘700 analizzando la produzione di alcuni autori attivi sia nel Duomo d Milano ( e perciò ancorati alle antiche regole del canto fermo e al contrappunto severo) sia presso altri Capitoli più permissivi e indipendenti ( e perciò dediti al contrappunto fiorito). Degli stessi autori viene anche analizzata la composizione profana e strumentale per sottolinearne le differenze o le analogie stilistiche.
La personalità su cui massimamente si concentra l’interesse è quella di Giovanni Andrea Fioroni, maestro di cappella in duomo dal 1747 al 1778. Di lui si prospetta l’opera presso il capitolo metropolitano e presso altri, extra milanesi, sottolineando le sostanziali divergenze e l’eclettismo insospettabile. La sua figura viene poi affiancata a quella di Giovanni Battista Sammartini, Johann Christian Bach, Carlo Monza, gli Zucchinetti ecc., tutti autori contemporanei e pure attivi in diverse chiese lombarde, al fine di offrire un quadro stilistico quanto più preciso ed ampio.


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Luca Della Libera

Presenze strumentali nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma (1580-1640)

Il rapporto voci-strumenti nella pratica musicale delle istituzioni ecclesiastiche romane è questione ancora aperta e pochissimo indagata, se si escludono gli studi su S. Pietro e S. Luigi dei francesi. L’autore ha quindi deciso di avviare una indagine documentaria presso l’Archivio della Basilica di S. Maria Maggiore. Il materiale studiato è costituito da mandati di pagamenti per musici e strumentisti ‘forestieri’ che intervenivano in particolari occasioni festive. Le prime fonti di questo tipo risalgono agli anni ’80 del Cinquecento. Ponendo come limite temporale a tale ricerca il 1640, l’autore ha potuto delineare con una certa chiarezza alcune questioni:

1) Nel primo ventennio (dal 1580 al 1600 circa) la presenza strumentale è quasi esclusivamente circoscritta a tromboni e cornetti.

2) La presenza (seppure occasionale) di alcuni trombonisti tra i salariati della cappella nei primi anni del Seicento.

3) Tra il 1600 e il 1640 la situazione è molto più articolata: oltre ai suddetti strumenti, sono testimoniate presenze di violini, viole, liuti, tiorbe, ‘chitarrine’.

4) L’identificazione di quasi tutti gli strumentisti citati, la cui attività era già nota presso altre istituzioni musicali romane.

5) Per quanto riguarda il repertorio eseguito, sebbene sembra evidente che in alcuni casi gli strumenti sostenessero le voci in esecuzioni policorali, la ricerca ha potuto dimostrare che in molti casi venissero eseguiti brani esclusivamente strumentali.


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Marco Giuliani

Ancora sulla celebre raccolta collettiva di Canzoni per sonare con ogni sorte di strumenti […] del 1608

L’edizione musicale dal titolo Canzoni per sonare con ogni sorte di strumenti a quattro, cinque & otto voci, con il suo basso generale per l’organo […] pubblicata da Alessandro Raveri a Venezia nel 1608, contiene 36 brani (per lo più a 4 e 8 voci) e rappresenta la più cospicua fonte a stampa di natura collettiva per questo tipo di repertorio, non più alla sua prima fase di vita.
Il termine canzone strumentale vi trova una stabile connotazione, non solo per la naturale derivazione dalla canzon francese da cui ormai prende ampie distanze, quanto piuttosto per il compiuto e consapevole iter compositivo ben strutturato secondo logiche architettoniche e formali, che trovano nel contesto padano (Brescia, Venezia, Ferrara, Cremona, Milano) una varietà di proposte meritevoli di una più sistematica teorizzazione.
Già ampiamente indagata dal Bartholomew nei primi anni ’60 questa stampa può ora rivelarsi di grande utilità nell’indagine sulla fase cruciale nell’affermazione formale della sonata, per l’estrema varietà di segmentazioni dei brani, i quali fanno largo uso di ripetizioni strutturate e ritornelli.
Proprio questo fenomeno, che sta alla base della teoria delle forme musicali, trova nei brani dei 12 diversi eccellenti compositori proposte di notevole rilievo storico e geografico.
Senza soffermarsi sui criteri di priorità genetica o di mutabilità da altre consimili esperienze, l’edizione raveriana resta comunque un ricchissimo inventario di casistiche, una straordinaria officina di sperimentazioni, una sorprendente collection di stili, climi e prassi esecutive che non ha pari nella storia della musica e che merita dunque una più ragionata e ben approfondita ricerca.
Questo studio evidenzia solo alcuni aspetti (peraltro senza presunzione di conclusioni definitive):

- la natura compilativa dell’edizione e la scelta degli autori che vi hanno partecipato, con particolare riferimento alla territorialità e alla storicità dei contributi;

- le tipologie delle ripetizioni e i segni di ritornelli che vi sono presenti;

- le numerose didascalie e le indicazioni di prassi esecutiva

- considerazioni sul ‘basso generale’.


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Carlo Lo Presti

La dissoluzione del sogno “orientale”: le due Shéhérazade di Maurice Ravel

L’orientalismo musicale subisce una trasformazione profonda nei primi anni del Novecento, ad opera di una generazione nuova di compositori francesi (Ravel, Koechlin, Roussel, Aubert), che non erano stati toccati dall’ondata wagneriana, né dal nazionalismo tradizionalista di d’Indy e della Schola Cantorum. I punti di riferimento di questi compositori non potevano che essere le figure innovatrici del panorama musicale parigino degli anni ’90, Debussy e i Russi: la musica di questi di questi ultimi poi veniva associata dal pubblico dei concerti parigini all’evocazione di un Oriente fiabesco e sensuale, grazie alla diffusione dei poemi sinfonici di Rimskij-Korsakov e di Balakirev.
La produzione del giovane Ravel documenta la recezione di questo tipo d’orientalismo e la sua reinterpretazione attraverso la trasposizione del vocabolario orientalista in forme musicali diverse dal poema sinfonico, ma soprattutto grazie ad un rinnovamento dei contenuti affidati a quel vocabolario. Il passaggio dall’Ouverture de féerie Shéhérazade del 1898 ai Trois poèmes omonimi del 1903 illustra in maniera assai chiara questa trasformazione: muta il modo di guardare all’Oriente, terra di sogno e di sensualità, ad una visione ‘disforica’, in cui quei sogni si dissolvono.
Da un punto di vista musicale, Ravel si confronta col problema di organizzare una forma musicale ampia suddividendola in sezioni minute. Nel passaggio dall’Ouverture ai Trois poèmes egli trova la soluzione ad un quesito formale, e riesce ad unire le potenzialità del poema sinfonico con quelle della mélodie.


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Nicolò Maccavino

La cappella musicale della Cattedrale di Piazza Armerina nel primo decennio del XVIII secolo

Nonostante la notorietà del luogo, così ricco di storia e di beni architettonici, la bibliografia inerente l’attività musicale a Piazza Armerina ed in particolare della Cappella musicale nel XVIII secolo è del tutto inesistente, ad eccezione di un recente ma che si occupa della vita della cappella nel corso del XVII secolo.
Il materiale d’archivio da noi consultato (che si conserva presso l’Archivio della Cattedrale di Piazza) è, per quanto concerne il secolo in questione, del tutto sconosciuto.
I documenti consistono essenzialmente in ricevute dei salari destinati ai cantori, agli strumentisti, ai maestri di cappella, ai quali vanno aggiunti tutti i pagamenti destinati agli organisti e agli organari (che svolsero un’alacre attività) più tutte le altre spese destinate ai musici ‘ospiti’, che si effettuavano nelle varie festività e soprattutto durante i festeggiamenti patronali. (Nella fattispecie si tratta di ricevute di pagamento ai maestri di cappella ‘forestieri’, e per l’acquisto di musiche che venivano eseguite per l’occasione).

La ricerca ha raggiunto i seguenti risultati:

- La ricostruzione dell’organico della cappella, ivi compresa la presenza dei maestri di cappella;

- Le peculiarità istituzionali della medesima cappella;

- Le attività da essa svolte e il repertorio da essa eseguito. In tal senso si daranno per la prima volta, precise e dettagliate informazioni sull’importante fondo musicale conservato nell’Archivio della medesima Cattedrale, che conserva manoscritti del XVIII e XIX secolo. (Diversi sono gli unica in esso custoditi).

- Un confronto dei dati in questione con quelli, coevi, riguardanti la vicina città di Caltagirone, concluderanno il nostro intervento, certi di aver aggiunto un ulteriore ed importante tassello alla Storia musicale della Sicilia del secolo decimottavo.


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Barbara Marignetti

Contributo di iconografia musicale a Immagini del sentire

La mostra che si è tenuta a Cremona dal settembre 1996 al gennaio 1997 (I cinque sensi nell’arte. Immagini del sentire, Centro culturale “Città di Cremona”, Santa Maria della Pietà) ha raccolto un copioso repertorio di documenti figurativi ispirati alla tematica dei cinque sensi. Tale soggetto si presenta ricco di spunti di riflessione per l’iconografo musicale, poiché comprende rappresentazioni allegoriche dell’udito. Questa rappresentazione si sviluppa e si diffonde soprattutto a partire dal XVI secolo, come testimoniano anche i documenti figurativi della mostra, nei Paesi Bassi. La personificazione dei cinque sensi si trova in numerosi cicli di incisori e pittori: pensiamo a quello di Penez, di Floris, di Golzius, di Collaert, di Brügel il Vecchio, dove l’udito è raffigurato come uomo o donna che suona, assieme alle altre allegorie dei sensi. Risulta molto interessante osservare che, nelle testimonianze figurative proposte dalla mostra relative a XVI e XVII secolo, l’udito è rappresentato prima come donna che suona, affiancata dagli animali che simboleggiano questo senso nei bestiari medievali (il cervo oppure il cinghiale); poi l’udito è semplicemente raffigurato da un ensemble di musici, tratto probabilmente dalle esperienza musicali quotidiane. Interessanti a questo proposito le testimonianze di Giuseppe Maria Vitelli e di Pietro Mattoni detto Pietro della Vecchia, che rappresentano in forma caricaturale tale gruppo do musicisti. Il catalogo della mostra propone come allegoria dell’udito anche la Suonatrice di liuto di Hendrick Terbrugghen. Il copricapo della donna e lo sguardo rivolto verso l’alto fanno pensare piuttosto ad una S. Cecilia, coerentemente con le proposte di lettura dell’iconografia ceciliana di F. Camiz e N. Staiti.
Le riflessioni fin qui proposte mirano a considerare le testimonianze documentarie della mostra come tracce di mutamento di un soggetto iconografico: l’allegoria dell’udito come raffigurazione laica dell’Ars Musica.


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Giuseppina Mascari

Giovanni Pacini: da Lidia di Brabante a Niccolò de’ Lapi

Nell’elenco della vasta produzione operistica di Giovanni Pacini, ultimo titolo è Niccolò de’ Lapi, melodramma tragico in tre atti rappresentato postumo al Teatro Pagliano di Firenze il 29 ottobre 1873. Il compositore fa cenno a quest’opera ala pagina 124 delle Memorie insieme ad altre composizioni che, per citare le sue parole, «giacciono imprigionate, quali corpi inanimati negli scaffali del mio piccolo archivio musicale». Nulla ci dice, però, sulla gestazione dell’opera e sul periodo in cui fu composta.
Le critiche apparse sulla stampa dell’epoca misero in evidenza alcune pagine di interesse del Niccolò de’ Lapi, pur trovando nel complesso la musica ormai ‘datata’ per quegli anni.
Pazienti ed accurate ricerche, l’analisi di lettere, libretti, partiture autografe e delle testimonianze apparse sui giornali del tempo, mi hanno alla fine consentito di ricostruire la travagliata storia di quest’opera che vorrei illustrare nella relazione che propongo. Concepita originariamente come Lidia di Brabante, da rappresentarsi al Teatro Carolino di Palermo nella primavera 1853 e poi ritirata per non ben precisati motivi, con modifiche e aggiunte questa partitura attraversò numerosi stadi: La punizione, rappresentata a Venezia nel 1854, Lidia di Bruxelles data a Bologna nel 1858, Ser Matteo Vanelli, per diventare alla fine Niccolò de’ Lapi.
Con la mia indagine desidero apportare un concreto e proficuo contributo alla conoscenza delle opere di Pacini, correggendo anche alcune inesattezze presenti nelle Memorie. Spero, infine, di poter fornire dati essenziali alla stesura di un corretto catalogo della produzione del maestro sino ad oggi, purtroppo, lacunoso e ricco di incertezze.


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Annamaria Micali

L’oratorio a Messina tra Seicento e Settecento: il ruolo dei Gesuiti

La presente ricerca, intesa ad approfondire precedenti indagini al riguardo, mira a far nuova luce sull’attività oratoriale messinese della Casa Professa della Compagnia di Gesù.
La biblioteca regionale di Messina conserva ben sei libretti di Dialoghi in volgare e latino, stampati a Messina tra il 1671 e il 1720 e contenuti in una miscellanea. Lo studio precedente di Giuseppe Donato non prende in considerazione questi libretti che si presentano dunque come un oggetto di ricerca assolutamente inesplorato e non privo di interesse. Si aggiunga che da ulteriori indagini, ancora in corso di svolgimento, del fondo gesuitico dell’Archivio di stato di Palermo, emergono informazioni cospicue circa gli allestimenti, le occasioni e le circostanze esecutive che promettono di portare nuovi contributi alla storia dell’oratorio in Sicilia nei secoli XVII e XVIII.


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Luisa Nardini

Le prosule del Proprium Missae nei manoscritti di area beneventana

Nell’ambito del rinato interesse per il fenomeno della “tropatura” dei canti liturgici monodici, anche la tecnica di composizione delle presule (testi aggiunti a melismi preesistenti) ha suscitato curiosità sempre crescenti. Lo studio comparato delle prosule e dei canti liturgici “sottostanti” contribuisce a chiarire aspetti e questioni stilistiche, formali ed evolutive di queste forme. A tale riguardo si è condotto uno studio complessivo sulle prosule di area beneventana. Si tratta, infatti, di un territorio del massimo interesse per questo campo di indagine. I codici dell’Italia meridionale sono tra le più doviziose fonti di prosule ed inoltre le particolari modalità di collocazione di queste all’interno dei manoscritti permettono con assoluta certezza di individuare le festività e il brano liturgico di appartenenza. Tale circostanza consente, tra l’altro, di utilizzare queste fonti come strumenti di ricerca, oltre che come termini di confronto anche per lo studio di repertori non beneventani.
La ricerca ha permesso di fornire un quadro complessivo della diffusione ed utilizzazione delle prosule nel territorio beneventano. A tale scopo sono state individuate e schedate tutte le prosule del Proprium Missae presenti nei codici di area meridionale. Successivamente si è proceduto al confronto sistematico con i repertori di altre aree geografiche, condotto mediante la consultazione della gran parte dei testimoni europei, oltre che dei repertori già pubblicati. Inoltre, dato lo stretto rapporto con le locali tradizioni cultuali, le prosule mostrano uno spaccato interessante delle trasformazioni liturgiche della Langobardia meridionale, rispecchiando finanche le mutate direttrici del potere alla fine del primo millennio.


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Carla Ortolani

Riflessioni sulle Sonate a tre di Michele Mascitti

Tra il XVII e il XVIII secolo l’Abruzzo meridionale, anticamente chiamato Abruzzo Citeriore, diede la vita ad alcuni musicisti (sono da ricordare Gennaro Ursino, Carlo e Michele Cotumacci, Giovanni Sebastiano, Nicola, Gioacchino e Francesco Sabatini, Pietro Marchitelli) il cui rilievo valicò i confini locali. La fioritura di questi artisti è da mettere in relazione, probabilmente, con la presenza dei principi Caracciolo – un ramo della grande famiglia napoletana detto dei Pisquizio Svizzeri giunto in Abruzzo all’inizio del XVI secolo, dapprima feudatari nella zona di Bucchianico e successivamente a Giardiagrele e a Villa S.Maria – mecenati munifici ed amanti dell’arte e dello spettacolo.
In questo ambiente nacque a Villa S. Maria, intorno al 1664, da Maria Napoli e Giacomo, il violinista Michele Mascitti.
L’intervento che la scrivente propone vuole evidenziare, sia pure per sommi capi, l’iter di lavoro che si presenta ad un esecutore delle Sonate a tre di Michele Mascitti; raccontare delle problematiche che si è chiamati ad affrontare, non solo per quel che concerne aspetti specifici di tecnica strumentale, ma anche in ambiti più generali, riguardanti l’intera produzione dell’autore, nonché la sua collocazione storica. Pertanto la comunicazione si delinea come la riflessione di una esecutrice delle Sonate a Tre di Michele Mascitti, riflessione maturata dal convincimento che la globalità di conoscenza di un autore non può prescindere dall’esame della sua produzione vista dalla prospettiva offerta dal “musico pratico”.


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Stefano Patuzzi

Continuità narrativa nel Quinto Libro de Madrigali di Monteverdi

Gli studi relativi al Quinto Libro de Madrigali a cinque voci di Claudio Monteverdi hanno finora consentito di indagare vari aspetti, tra cui quelli relativi ai legami esistenti tra i lineamenti metrici e retorici dei testi scelti e le rispettive trasposizioni sonore, ai rapporti con pubblicazioni cronologicamente prossime o contenenti brani basati su identici testi. Pare tuttavia non essere stata rilevata, a tutt’oggi, l’unitaria arcata narrativa che scaturisce dalla lettura ordinata dei testi così come si susseguono nella princeps del 1605. Per l’ideazione di tale struttura Monteverdi si ispirò direttamente alla fisionomia del Pastor Fido di Battista Guarini, successo editoriale (e, quando ne ebbe l’occasione, teatrale) rappresentato alla corte dei Gonzaga, dopo innumerevoli rinvii, per ben tre volte nel corso del 1598.
La fabula risulta tuttavia scarnificata e rimodellata, l’intreccio fondamentalmente nuovo. Se della variegata e complessa vicenda originaria non rimangono infatti che alcune situazioni fornite dalle due coppie protagoniste (Mirtillo e Amarilli, Dorinda e Silvio), è inoltre proposta una conclusione di segno opposto rispetto a quella presente nel modello gueriniano, in quanto, nel nuovo edificio narrativo, l’amante viene dapprima accolto e poi respinto. La scena – del tutto ideale – presenta alla fine un Mirtillo che, ormai innalzato ad archetipo dell’amante infelice, protrarrebbe senza fine i suoi lamenti pur di riuscire gradito all’amata. La struttura si rivela dunque ciclica e, virtualmente, infinita.


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Rosa Perrotta

Niccola de Giosa e il Teatro di San Carlo dopo l’unità d’Italia

La ricerca ricostruisce attraverso lo spoglio sistematico di un numero considerevole di periodici napoletani, selezionati dal vivacissimo panorama editoriale ottocentesco, le vicende per tanti versi ancora sconosciute del Teatro di San Carlo negli anni postunitari, vissute da protagonista dal compositore barese Niccola de Giosa, primo direttore d’orchestra (in sesno moderno9 del Massimo partenopeo.
La gran mole di dati raccolti dalla stampa coeva ci ha fornito informazioni di prima mano sulla tormentata vita artistica e gestionale del San Carlo nel secondo Ottocento, la quale vide coinvolto in prima persona, nella qualità di operista, direttore d’orchestra e ‘opinionista’, il maestro barese, già allievo di Gaetano Donizetti al Conservatorio di San Pietro a Majella e figura tra le più attive e interessanti del panorama nazionale e internazionale di quegli anni.
In particolare, queste testimonianze contemporanee, messe a confronto tra di loro così da avere uno spaccato quanto più completo possibile delle condizioni in cui versava il più rinomato teatro partenopeo all’indomani della nuova configurazione istituzionale, hanno fatto luce su importanti momenti della storia sancarliana, quali: l’istituzione nel 1861 della carica di direttore d’orchestra (affidata al de Giosa, che la detenne nelle stagioni 1861-62, 1863-67, 1869-70); la vasta campagna giornalistica scatenatasi tra il 1862 e il 1863 contro il clientelismo della Sovrintendenza dei Reali Teatri, che vide tra i più implacabili critici proprio il maestro de Giosa, di cui si sono rinvenute su vari periodici, musicali e non, numerosi e pungenti articoli; le prime esecuzioni napoletane di importanti capolavori del melodramma ottocentesco (Ballo in maschera nel 1862, Il Profeta nel 1865, Il Faust nel 1867, L’Ebrea nel 1870), affidate alle cure del rinomato direttore d’orchestra barese (attivo, tra l’altro, anche alla Fenice di Venezia, al Teatro del Cairo, al Teatro Colon di Buenos Aires).
Altri particolari inediti sono pure emersi dalla gestione della “dote” governativa, sul problema delle masse teatrali, sulla presenza nei cartelloni sancarliani sempre più massiccia di opere straniere e sulla loro accoglienza da parte di critica e pubblico partenopei.


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Pierangela Pingitore

Il pensiero musicale di Edmund Gurney

Il complesso pensiero dell’esteta inglese E. Gurney si esplicita nelle tesi esposte in The Power of Sound, una delle opere più ricche dal punto di vista contenutistico, in quanto perviene ad una trattazione completa dei problemi estetico-musicali dell’età del positivismo.
Lo scopo dell’autore è identificare la specificità della bellezza in ambito musicale. L’aspetto più originale è che Gurney si colloca in un’area geografica dove dal punto di vista estetico-musicale non ci sono punti di riferimento. Nella seconda metà dell’Ottocento i cardini della musicologia sono rappresentati dall’opera dei tedeschi Hanslick ed Helmoltz. The Power of Sound è solo apparentemente l’equivalente inglese a Il bello musicale di Hanslick. La cultura inglese, alla quale Gurney appartiene, gli permette di rivendicare la specificità della musica in termini formali e al tempo stesso prendere in considerazione l’aspetto soggettivo.
Secondo Gurney, la bellezza di un brano musicale scaturisce dal piacere connesso all’elaborazione della forma da parte della “musical faculty”. Quest’ultima traduce i valori formali in termini emozionalmente validi per l’ascoltatore, in quanto li collega ad esperienza emozionali equivalenti, racchiuse nell’Io. Il significato estetico scaturisce dall’attività psichica del soggetto. L’aspetto dinamico-processuale della fruizione musicale si esplicita nel concetto di Ideal Motion. Il potere emozionale della musica scaturisce dall’associazione con qualcosa che ha prodotto le medesime sensazioni che il suono è in grado di rievocare.
Nonostante l’importanza delle tesi gurneyane, il pensiero dell’esteta inglese è pressoché sconosciuto. Il nome di Gurney è stato finora messo in relazione solo al problema relativo all’origine della musica. Il valore del suo pensiero estetico è possibile conoscerlo solo attraverso un approfondito esame di The Power of Sound.


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Maurizio Piscitelli

La figura e l’opera di Pergolesi nella letteratura italiana dell’Ottocento

Angelo Mazza, Federico Persico, Rocco De’ Zerbi e Giovanni Annibaldi sono alcuni dei letterati del XIX secolo che hanno reso Giovan Battista Pergolesi protagonista di un loro componimento: si tratta di sonetti, novelle, romanzi nei quali il musicista viene tipicamente presentato in una chiave di lettura tipicamente tardo-romantica. Al di là dell’oleografia – che pure non manca in qualche pagina – questa letteratura esalta in Pergolesi i tratti dell’artista debole nel fisico, ma dotato di straordinarie potenzialità creative. Il romanzo storico di Annibaldi, in particolare, contiene elementi preziosi per la conoscenza del musicista e della cultura musicale napoletana del Settecento.
Il mio lavoro si inserisce nell’ambito degli studi relativi ai rapporti tra la musica e le arti sorelle, esso dimostra innanzi tutto che furono i letterati ad alimentare nell’Ottocento il mito di Pergolesi; contiene poi una disamina attenta delle fonti narrative dedicate alla figura e all’opera di Pergolesi, che non sono ancora state analizzate compiutamente.
L’importanza della ricerca da me svolta e dei risultati finora raggiunti risiede nella possibilità che viene offerta agli studiosi di usufruire di fonti poco conosciute che è molto utile affiancare a quelle documentarie, ho cercato, inoltre, di analizzare compiutamente e di confrontare con la realtà storica la “leggenda” pergolesiana, esaminando poesie, novelle e romanzi che l’hanno divulgata, lasciandola in vita fino a quando le ricerche di Walzer, Cudworth e di Degrada non l’hanno opportunamente rivisitata alla luce delle nuove istanze della storiografia musicale.


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Patrizia Radicchi

Musica e stato sotto Alberico Cybo Malaspina

Alberico Cybo Malaspina, Signore dello Stato di Massa e Carrara dal 1533 al 1623 assume, alla luce di nuovi documenti archivistici, una più chiara fisionomia di Principe e mecenate illuminato che conferisce alla musica e alle arti qualità di decoro celebrativo, secondo l’etichetta del vivere cortese. Attento a intessere relazioni diplomatiche e coltivare alleanze per il benessere del suo Stato, Alberico si correda di un campionario di strumenti illusori, visibili e invisibili, iconografici e sensoriali, simbolici e magici, tra i quali la musica è elemento irrinunciabile.
Attraverso il fenomeno della festa, nella sua dimensione pubblica e privata, eccezionale ed ordinaria, sacra e profana, si è cercato di dar corso alla ricostruzione della storia musicale di un Principato che, apparentemente periferico, si rivela ad oggi perfettamente integrato ed allineato alle consuetudini del tempo. L’emergere di relazioni dirette ed indirette con gli ambienti musicali più appariscenti del ‘500 (Ferrara, Napoli, Firenze, Venezia) e/o con città vicine (Pisa, Lucca, Sarzana), gli interscambi di musici e cantanti, rappresentano i dati più significativi della ricerca, cui sono da aggiungersi: indicazioni sugli strumenti e sugli organici, figure ‘inedite’ di musicisti, comici, ballerini, date e titoli di spettacoli e di cerimonie promosse dalle, finora trascurate, Confraternite laiche.


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Marco Renoldi

Ritmo e analisi lineare: espansione ritmica e tecniche fraseologiche in Mozart

Negli ultimi tempi il dibattito attorno alla teoria e all’analisi della musica si è fatto assai animato: sotto l’influsso del vivace panorama analitico che caratterizza i paesi anglosassoni, anche in Italia gli studiosi si sono accostati con interesse alle varie metodologie analitiche, facendole proprie e approfondendole in varie direzioni. C’è tuttavia ancora molta strada da percorrere, e una delle aree di studio della teoria tonale che, in particolare, richiede di essere esplorata con nuovi strumenti è quella del ritmo.
Gli studiosi, soprattutto americani, che hanno affrontato lo studio del ritmo, e fra questi Edward Cone, Gosvernor Cooper e Leonard Meyer, David Epstein, Arthur Komar, Fred Lerdhal e Ray Jackendoff, Carl Schachter, Peter Westergaard, Maury yeston, Joel Lester, William Rothstein, lo hanno fatto spesso assumendo un punto di vista più o meno schenkeriano, con l’importante eccezione di Cooper e Meyer, i quali comunque accettano l’idea dei livelli strutturali. Lo stesso Schenker non ha sviluppato, per il ritmo, un apparato analitico pari a quello che la sua teoria ha elaborato per lo studio delle strutture tonali, e tuttavia l’opinione secondo cui Schenker si fosse del tutto disinteressato del ritmo è oggi poco accreditata.
Scopo della relazione è quello di mostrare i vantaggi di una teoria del ritmo che prenda le mosse da un’analisi della struttura tonale nelle sue componenti armoniche e contrappuntistiche. Lo strumento utilizzato è quello della riduzione ritmica che, se utilizzata in concomitanza con l’analisi del moto delle parti, può mettere in evidenza l’andamento degli eventi tonali in relazione alla struttura fraseologica e alla forma.
E’ stato spesso osservato che l’analisi della musica di Mozart presenta diversi problemi legati al ritmo fraseologico, perché gli ideali classici di simmetria e di equilibrio convivono qui in uno stato di tensione con un ambiente ritmico spesso irregolare e asimmetrico. L’analisi ritmica di alcuni testi mozartiani metterà in luce alcune strategie attraverso cui il compositore creava che Edward Lowinsky ha definito «asimmetrie che nascono da una concezione perfettamente simmetrica».


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Marco Ruggeri

Aspetti stilistici e formali nei Magnificat polifonici di Pietro Ponzio

L’opera teorico-pratica del compositore parmigiano Pietro Ponzio (1532-1596), pur occupando un ruolo centrale nello studio della musica sacra tardo-rinascimentale, è stata abbastanza trascurata dalla ricerca musicologia: eppure l’interesse che suscita questo autore non è certo secondario, dal momento che ad una produzione musicale di prim’ordine, sopravvissuta abbondantemente in raccolte di messe, mottetti, almi, inni e Magnificat, si affianca un’altrettanto significativa elaborazione teorica (i trattati Ragionamento, 1588 e Dialogo, 1595).
L’argomento del presente lavoro riguarda l’analisi dei Magnificat polifonici contenuti nelle raccolte dei Magnificat (1584) e dei Salmi vespertini (1589). Precedenti studi sulla salmodia polifonica vespertina rinascimentale hanno considerato soltanto l’insegnamento teorico del Ragionamento, tralasciando del tutto le numerose raccolte di musica sacra del nostro autore. Insomma, la figura di Ponzio è fino ad ora nota solo per i trattati, e mancano invece studi analitici sulla ricca produzione musicale. Tale lacuna ci pare abbastanza grave dal momento che è cosa assai rara – specie in epoca rinascimentale – quella di avere la possibilità di confrontare in uno stesso autore il pensiero teorico con l’esercizio pratico compositivo.
L’analisi dettagliata dei Magnificat polifonici di Ponzio è stata condotta prima di tutto sulla base delle informazioni illustrate nei due trattati teorici ed inerenti le questioni stilistiche proprie del genere del Magnificat. Quindi, sono stati definiti i seguenti strumenti d’indagine.

  1. Le cadenze mediane: morfologia, altezza;
  2. Le cadenze finali: cadenze plagali e plurime;
  3. Il tono salmodico: tipologia d’impiego del canto fermo, trasposizione, rapporto con le cadenze e la disposizione del testo;
  4. Tecniche contrappuntistiche: canone, iniziazione con o senza canto fermo, omofonia;
  5. Descrizione e intelligibilità del testo: trattamento del versetto Deposuit potentes, tecniche adottate per evidenziare parole importanti.

Dall’analisi sono emerse consuetudini stilistiche interessanti come, ad esempio, le persistenti irregolarità tonali nei Magnificat del VI e VII tono (riscontrate anche in altri autori); l’uso della cadenza come elemento di articolazione sintattica e formale del versetto infine, la presenza di una ben precisa strategia compositiva determinata dall’accurata disposizione del canto fermo (tono salmodico), delle cadenze e del testo. Quest’ultimo aspetto ha poi consentito di collocare la produzione del nostro in un ambito fonologico e stilistico molto ampio e così di apprezzarne meglio l’importante valore storico-artistico.
Lo studio del Magnificat polifonici di Ponzio vuole essere un primo passo verso la conoscenza completa dell’ingente eredità musicale lasciataci da questo compositore.


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Marina Toffetti

Gli inni di Marco Antonio Ingegneri nell’edizione di Alessandro Lodi (1606)

‘Romano’ negli esiti (per lo meno nella misura in cui adeguato ai più recenti dettami centrali in materia di liturgia), il Liber secundus Hymnorum di Marc’Antonio Ingegneri, pubblicato postumo da Ricciardo Amadino nel 1606, nacque con ogni probabilità per le esigenze della cattedrale di Cremona. Musica d’uso ante litteram, la raccolta ingegneriana dovette quindi inserirsi, al pari della restante produzione polifonica sacra del maestro di cappella, nel vivo del tessuto liturgico (e della routine) della cattedrale, entrando verosimilmente in relazione con le pratiche canore quotidiane dei membri del Capitolo. I risultati di alcune ricerche condotte presso i principali archivi cremonesi hanno consentito di gettare nuova luce su luoghi, tempi e protagonisti dell’elaborazione e della fruizione di un’opera fra le meno note di Ingegneri.
Se si eccettuano due Ordinazioni Capitolari conservate presso l’Archivio Storico Diocesano, manca qualunque testimonianza sulle diverse fasi del lavoro compositivo di Ingegneri. Impossibile, in queste condizioni, stabilire con precisione le intenzioni del compositore in merito alla veste definitiva delle singole composizioni e alla struttura liturgica complessiva della raccolta. Considerazioni sulle tecniche e sui testi impiegati all’interno di alcune composizioni lasciano supporre che il compito del curatore fosse andato oltre la semplice raccolta di un ciclo di composizioni finite, comportando interventi di un certo rilievo per lo meno al livello dell’adattamento testuale.
Al curatore della raccolta, che fu certamente una delle figure più in vista nel panorama musicale cremonese del primo Seicento, è parso dunque doveroso dedicare un’attenzione particolare. Attivo come musicista presso le principali istituzioni musicali locali, maestro di canto e di musica di fama e collezionista di libri e strumenti musicali in contatto con le botteghe dei principali liutai cremonesi del momento, Alessandro Lodi presenta un profilo che si è rivelato perfettamente in sintonia con il ruolo che egli dovette giocare nella cura degli inni di Ingegneri.
Frequentatore abituale della cattedrale, presso cui era stato attivo anche come suonatore di regale, appare inoltre comprensibile che Lodi avesse dedicato la raccolta ingegneriana ad Alessandro Guazzoni, allora Arciprete del capitolo. Braccio destro del vescovo Cesare Speciano, Guazzoni fu inoltre uno degli uomini di punta della controriforma cremonese. Nel clima religioso della ‘riforma cattolica’ affondano dunque le loro radici culturali più profonde le fatiche di Ingegneri e quelle del curatore della sua raccolta.


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Cristina Torchia

Il teatro Real Ferdinando di Cosenza (1826-53)

L’8 giungo 1810, nella rinnovata politica dei lavori pubblici portata avanti dai francesi, Gioacchino Murat ordina per la città di Cosenza la costruzione di un teatro sul luogo della Chiesa del Gesù a spese del tesoro. Il progetto non viene tuttavia realizzato, e solo nel 1819 – sotto i Borboni – si iniziano i lavori. Terminato nel 1822, il teatro viene inaugurato il 4 novembre 1826 e intitolato al re Ferdinando. Per circa un ventennio, il teatro ospitò rappresentazioni di opere serie, opere buffe e farse in musica, nonché, più sporadicamente, rappresentazioni di prosa. La stagione di apertura andava da novembre a maggio. A partire dal 1849, l’apertura del teatro venne contrastata dalle autorità ecclesiastiche, finché nel 1853 l’amministrazione comunale fu costretta a ripristinare l’antica chiesa e costruire un nuovo teatro in altro luogo.
La ricerca effettuata in diversi archivi di Cosenza e all’Archivio di stato di Napoli ha consentito di documentare le tappe salienti della storia di questo teatro, finora quasi del tutto sconosciuta. Di particolare interesse, per esempio, i documenti sulla costruzione e decorazione interna del teatro e su successivi lavori di restauro; le delibere relative all’appalto a diversi impresari; alcuni conti del barone Mollo (per molti anni direttore degli spettacoli) e di diversi impresari per ingaggio di cantanti, acquisto di spartiti, spese per scene e vestiario. Notizie sulle opere messe in scena al Real Ferdinando e sulle compagnie impegnate nel teatro si sono ricavate sia dai documenti d’archivio sia – per il periodo 1842-47 – dallo spoglio del periodico di Cosenza «Il Calabrese» e del giornale napoletano «Omnibus». «Il Calabrese», in particolare, offre resoconti dettagliati delle rappresentazioni d’opera, con commenti su opere, cantanti, messinscena, successo di pubblico.


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Daniele Torelli

La notazione del manoscritto organistico della Collegiata di Spello: problemi di prassi esecutiva

Il manoscritto 158 dell’Archivio della Collegiata di Santa Maria Maggiore di Spello si configura come l’ultimo testimone della messa d’organo in Italia sfuggito per anni all’indagine degli studiosi di questa importante espressione della musica liturgica tra Rinascimento e Barocco.
La notazione in intavolatura tastieristica italiana dei versetti da eseguire alternatim e delle toccate, ricercari e canzoni contenute nel codicetto, appare sistematica nelle sue abitudini grafiche e può dunque fornire interessanti indizi sulla prassi esecutiva tastieristica. Il manoscritto presenta una casistica particolarmente varia delle caratteristiche di una semiografia concepita appositamente per la realizzazione della pagine musicale sulla tastiera, quindi estremamente ricca di indicazioni per l’esecutore.
In special modo, importanti informazioni sulla diteggiatura emergono dalla ripartizione delle note tra i righi, dall’uso elle pause e delle convenzioni nel trattamento degli unisoni. Tuttavia, la caratteristica dell’intavolatura italiana che appare più puntuale e coerente in tutto il manoscritto è senza dubbio la grafia dei raggruppamenti di valori inferiori alla semiminima. L’analisi delle diverse tipologie di realizzazione grafica degli abbellimenti cadenzali e delle figurazioni significative del discorso musicale – anche sotto il profilo retorico – ha permesso di fare luce su importanti aspetti riguardanti tanto l’agogica quanto l’articolazione, dimostrando la validità delle ipotesi di Étienne Darbellay anche nei testimoni manoscritti. Infine, l’impiego dei segni di tempus imperfectum diminutum e integer valor si rivela sintomatico di un’evoluzione del mensuralismo proporzionale nell’ambito di un sempre più autonomo idioma strumentale tra Cinque Seicento.


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Michaela Zàckovà Rossi

Gregorio Turini e il suo Primo libro de canzonette a quattro voci (1597)

Nel 1583 l’Imperatore Rodolfo II decide di lasciare la sede tradizionale asburgica a Vienna e trasferirsi a Praga. Insieme alla corte imperiale si trasferisce anche la cappella musicale dell’Imperatore di cui fanno parte i musicisti di diverse nazionalità: tedeschi, fiamminghi, spagnoli e italiani. Già l’Imperatore Massimiliano II, padre di Rodolfo II, faceva venire la maggior parte dei suoi trombettisti da Brescia ed è proprio di Brescia il protagonista del presente contributo: Gregorio Turini, cantante, trombettista e compositore imperiale.
Le ricerche sulla musica alla corte di Rodolfo II si incentrano spesso sui personaggi principali di questa cappella musicale (Philippe de Monte, Jakob Regnart ecc.). Vengono un po’ tralasciati i destini degli altri musicisti della corte. Eppure solo con la maggiore conoscenza di questi potremo capire meglio tutto il contesto della musica cosiddetta rodolfina. Ultimamente, comunque, cominciano a nascere delle edizioni di musiche di compositori rodolfini meno conosciuti e insieme a loro vengono alla luce alcuni nuovi fatti biografici su questi musicisti.
I dizionari musicali riportano solo poche informazioni relative alla vita ed opera di Gregorio Turini: nacque attorno al 1560 a Brescia, servì in varie corti italiane, dalle quali passò alla corte imperiale di Rodolfo II. Qui morì molto giovane intorno al 1600. Si conoscono tre raccolte a stampa di sue composizioni: Cantiones admodum devotae (Venezia, A. Gardano 1589), Neue liebliche Teutsche Lieder mit vier Stimmen nach Art der Welschen Villanellen (Nürberg, K. Gerlachin 1590) ed Il primo libro delle canzonette a quattro voci (Nürberg, P. Kaufmann 1597).
Per approfondire le nostre conoscenze su questo compositore si è quindi ricorso alla letteratura e alle fonti di diversi archivi e biblioteche italiane, del viennese Hofkammerarchiv (libri dei conti imperiali) e dell’archivio boemo di Trebon (i materiali relativi alla famiglia Rozmberk alla quale Turini dedicò Il primo libro delle canzonette a quattro voci di Turini (di cui si è fatta la trascrizione) hanno consentito di stabilire l’anno della nascita e anche quello della morte del musicista, il suo ruolo alla corte imperiale e la sua posizione tra gli altri musicisti.


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Maria Chiara Zani

Orazio Modiana fra manierismo e barocco

Recenti ricerche sulla produzione musicale del primo Seicento, circoscritte al lembo di territorio padano geograficamente compreso tra Oglio e Po, hanno consentito di rivalutare musicisti come Lodovico Viadana, Giacomo Moro e Ignazio Donati. Con questi si può annoverare Orazio Modiana (si suppone nato a Casalmaggiore, perché da lì vengono le prime notizie, nel 1590 ca., “mastro di cappella” presso i Gonzaga di Guastalla, morto probabilmente di peste nel 1630 ca.). Di lui si conoscono tre libri, di musica sacra e profana, due dei quali a più voci, ma incompleti. È invece integra la raccolta di mottetti monodici Primitie di Sacri Concerti pubblicata nel 1623. Essa desta vivo interesse perché evidenzia uno spiccato gusto del compositore per il virtuosismo vocale dimostrato dalla circostanza che le ricche figurazioni ornamentali sono tutte scritte per esteso. Riassumo: diminuzioni a note eguali o variate, fioriture moderne (intonazioni, accenti, trilli, tirate), passaggi in ritmo lombardo; accanto ai convenzionali melismi cadenzali e a quelli che abbelliscono termini privi di particolare rilievo, Modiana adotta diminuzioni concepite per intensificare il significato di parole notevoli; sorprendente che tali vocalizzi siano applicati anche alla vocale “U”, ritenuta generalmente non adatta a ricevere gli abbellimenti. Sulla base di questo mi sono chiesta: 1) Esisteva una tendenza compositiva originale in quel periodo e in quell’area? 2) Chi era in grado di cantare? 3) A chi era destinata questa musica? 4) Il fatto che fossero scritti per esteso era una concessione all’edonismo corrente o una sorta di freno e controllo sui cantanti? 5) Il rapporto non convenzionale tra testo e suono era un’attitudine naïve dialettale o dipende da una volontà di autonomia? Ne risulta l’immagine di un compositore che si allontana dalla maniera.