Convegno Internazionale di Studi e Concerto Lirico 

Rovereto

8-10 settembre 2011

Programma (in pdf)

Resoconto

Il Centro Internazionale di Studi «Riccardo Zandonai» (CIS-RiZa) ha organizzato nei giorni 8-10 settembre 2011 un convegno di studi sul tema «La produzione giovanile di Riccardo Zandonai fra tradizione e modernità» (comitato scientifico: Diego Cescotti, Irene Comisso, Giuseppe Maria Iacovelli, Fabrizio Rasera, Guido Salvetti). Oltre alla partnership con l’Accademia roveretana degli Agiati, la manifestazione ha goduto della collaborazione della Freie Universität di Berlino, del Teatro Grattacielo di New York e di una rete di soggetti locali (Università di Trento, associazioni musicali). Parte integrante del programma è stato il concerto con Scene ed Arie da opere giovanili di Riccardo Zandonai, che ha offerto una selezione di brani da La Coppa del re, Il Grillo del Focolare, Conchita, Melenis e La Via della Finestra. Il simposio si è tenuto a Rovereto presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, ente finanziatore del convegno e del concerto, insieme a Comune di Rovereto, Provincia autonoma di Trento, Regione Trentino-Alto Adige e sponsor privati.

Nella mattina di giovedì 8 settembre, dopo i saluti di rito, sono iniziati i lavori. La prima sessione («Ricerca e contestualizzazione») è stata presieduta da Guido Salvetti. Essa si è aperta con la relazione di DIEGO CESCOTTI La costruzione del personaggio Zandonai negli anni della formazione e delle prime realizzazioni artistiche, la quale si è proposta di seguire le vicende biografiche che hanno accompagnato l’ascesa del compositore trentino dalle prime manifestazioni del suo talento in costruzione ai rapidi conseguimenti successivi, fino ai franchi successi che lo hanno imposto al mondo quale musicista di primo piano e voce tra le più significative della nuova stagione italiana. La ricognizione ha preso inizio dall’ambiente natìo – vivace ma non di spicco, fino a quel momento, in fatto di ingegni musicali – ed è proseguito nei successivi passaggi di Pesaro e di Milano, dove la carriera professionale del compositore si era sviluppata con tratti di peculiare energia e forza di convinzione.

A FABRIZIO RASERA, presente con la relazione «Qui dove gonfio l’Adige...» - Riccardo Zandonai e il Trentino del primo Novecento, era affidato un profilo del Trentino del primo ‘900, terra di confine investita fortemente dalla conflittualità politica nazionale. Lo ha fatto scegliendo tre momenti minori della produzione zandonaiana e lavorando sul loro contesto. L’Inno degli studenti è composto per un congresso della laica Società degli Studenti trentini, in una fase in cui si fa veemente l’iniziativa per l’università italiana in Austria e cruda la polemica con il cattolicesimo trentino e le chiusure culturali che gli vengono attribuite. Dalla festa laica del congresso giovanile all’oratorio parrocchiale di Sacco, il borgo natale nel quale si rappresenta nel 1907 la fiaba musicale L’uccellino d’oro: il giovane Zandonai sembra riuscire a tener aperto un rapporto positivo con tutte le componenti di un universo culturale profondamente diviso. È naturaliter filoitaliano, ma almeno fino al 1915 sarebbe difficile etichettarlo come irredentista. In quell’anno, a guerra appena iniziata, accetta l’invito di Battisti e di altri trentini a musicare un Inno alla patria scritto dal poeta Bertacchi. Alcune lettere ai genitori di pochi mesi prima ce lo presentano tuttavia contrario all’intervento italiano. Ha sottolineato però Rasera che un atteggiamento problematico nei confronti della guerra è comune a moltissimi italiani d’Austria in quella fase, sconsigliando grossolane semplificazioni nella definizione degli schieramenti ideali.

JÜRGEN MAEHDER ha intrattenuto il pubblico con una lunga disamina sulle Scelte drammatiche e musicali nell’opera italiana del primo Novecento, in cui ha disegnato il quadro della crisi estetica della librettistica e delle linee di tendenza da essa sviluppatesi. La panoramica ha spaziato dal caso emblematico di Puccini nel dopo-Butterfly alla ritardata affermazione in Italia della Literaturoper, volgendosi quindi al fenomeno determinante del dannunzianesimo che ha attratto a sé in modo diretto o in diretto un po’ tutti gli operisti del tempo. Maehder ha poi portato l’attenzione sui soggetti storici tipo Grand-Opéra e sul successivo gravitare intorno a tematiche agiografiche e mistiche, sempre sulla scia di D'Annunzio. Importanti, per quanto rari, i ritorni a soggetti mitologici vissuti in accezione neoclassica, ed altri viceversa interessati all’idea futurista della macchina e del progresso tecnico. Prendendo ad esempio il 1911, anno del Rosenkavalier e di Conchita, il relatore ha fissato le posizioni in campo, attribuendo una centralità indubbia di Strauss, e individuando un’ala conservatrice con Pfitzner e e una linea innovativa interpretata da autori come Schreker. Nel caso italiano ha visto in azione una rete di influssi vicendevoli nel segno dannunziano, tra il Mascagni di Parisina, lo Zandonai di Francesca da Rimini e il Pizzetti di Fedra.

La sessione pomeridiana («L’orizzonte letterario»), presieduta da Paola Filippi, si è occupata di indagare le scelte letterarie che hanno caratterizzato gli anni della formazione e del primo periodo compositivo di Zandonai. È entrata per prima in argomento ADRIANA GUARNIERI CORAZZOL che, discutendo delle Scelte poetiche e predilezioni letterarie del giovane Zandonai, ha messo in luce gli orientamenti letterari del musicista in rapporto alla produzione vocale ante 1915; si è riferita principalmente alle fonti poetiche delle liriche da camera, parte consistente del suo catalogo artistico, ma non ha trascurato il campo operistico, con riferimento alle fonti dei vari libretti. La relatrice si è soffermata sui nomi più rilevanti come Lorenzo Stecchetti, Enrico Panzacchi e Ada Negri, presentando elementi di confronto con la produzione omologa di altri compositori coevi. Sul fronte dell’opera lirica fino a Francesca da Rimini, ella ha offerto una panoramica del terreno drammaturgico preferito da Zandonai, con riferimento particolare alle fonti dei libretti. Soggetti e ambientazioni sono stati considerati nel quadro complessivo delle scelte operate dai musicisti italiani negli stessi anni e nella prospettiva dei futuri orientamenti del compositore.

A seguire, FEDERICA FORTUNATO si è intrattenuta su Le liriche da camera di Zandonai: dall’apprendistato al confronto con la modernità. Ricordando il contributo al rinnovamento del genere dovuto a Zandonai e alla sua generazione, ha presentato il corpus generale delle liriche vocali da camera seguendo l’arco creativo dell’autore, raggruppando dati conosciuti, segnalando i limiti delle attuali conoscenze e ipotizzando percorsi di ricerca. La relatrice ha evidenziato l’evoluzione delle scelte poetiche zandonaiane, rintracciando nella pluralità delle strutture poetiche e nel valore fonico del testo possibili criteri di selezione ricorrenti. Il confronto tra le due raccolte del 1907 e del 1920 risulta indicativo di una polarizzazione su specifici temi e voci poetiche, nonché di un orientamento stilistico che porterà l’autore ad un ‘raffreddamento’ della scrittura e ad un sostanziale abbandono del genere. Il momento più significativo di aggancio alla modernità è costituito dalle tre liriche su testo francese del 1912, in particolare Ariette (Il pleure dans mon cæur, di Verlaine), illustrazione di una dannunziana “musica del silenzio”.

La prima giornata si è conclusa con ANNARITA ZAZZARONI che ha riferito dell’Incontro con Giovanni Pascoli librettista e poeta e dell’ipotesi di un libretto d’opera (La Figlia di Ghita) ventilato a mai realizzato, nonché degli altri casi in cui Zandonai si è servito di tesi del poeta romagnolo per opere significative come Il ritorno di Odisseo, brano presentato al diploma di composizione, o il tenero Sogno di Rosetta, musicato anche da Alfredo Mussinelli nello stesso anno. Il nome di Pascoli si lega inoltre a quello di Zandonai per quanto concerne le Melodie pubblicate nel 1907, in cui compaiono Lontana e l’Assiuolo, e una raccolta successiva dove sono presenti Mistero e Notte di neve, a testimonianza di un confronto sempre vivo con versi che «tanto musicali per sé stessi, non tollerano connubi con l’arte gemella anche per la loro vaghezza», come ammise Zandonai. Di qui, la difficoltà di musicare i versi pascoliani, ma anche tutto il fascino di una creazione poetica che portava in sé i germi del nuovo.

La giornata di venerdì 9 settembre ha avuto una prima sessione dal titolo «Sguardi sulle opere giovanili di Zandonai», moderata da Roger Parker. I lavori sono stati aperti da GIUSEPPE MARIA IACOVELLI che ha parlato dei Libretti delle opere giovanili di Zandonai nel contesto letterario e drammaturgico del tempo. Tali libretti sono stati visti come un blocco relativamente omogeneo sia perché precedono in più sensi l’approdo della Francesca da Rimini, sia perché testimoniano di una prima fase artistica del maestro caratterizzata da attenzione per gli sviluppi coevi e dall’ansia di superare i propri risultati. Dopo i primi tre testi di impronta fantastica (La coppa del re, L'uccellino d’oro, Il grillo del focolare), i due successivi (Conchita e Melenis) costituiscono un deciso passaggio in direzione della varietà di soggetti e ambientazioni e segnano il momento forse di massima tensione centrifuga allorché Zandonai si appresta a trovare la propria strada definitiva.

IRENE COMISSO ha condotto un inedito confronto tra due opere omonime con la reazione Melenis di Riccardo Zandonai vs. Melænis di Sylvio Lazzari, entrambe basate su una riduzione librettistica del poema Melænis del poeta francese Louis Bouilhet. La disamina è stata compiuta sia sotto il profilo della couleur locale che sul piano drammaturgico e del linguaggio musicale, evidenziando come, nella trasposizione del testo letterario, i due compositori abbiano battuto strade in larga misura divergenti: Lazzari riallacciandosi alla tradizione del Grand-Opéra francese, Zandonai ponendosi sulla scia del melodramma italiano del primo Novecento, più stilizzato e attento ai tratti psicologici della protagonista. Il raffronto svolto ha esaltato la modernità della visione operistica e della tecnica compositiva del giovane Zandonai che soltanto due anni più tardi condurranno al capolavoro della Francesca da Rimini.

Parlando de La via della finestra: antidoto all’apocalisse o risposta ad un impegno morale?, CARLO TODESCHI ha trattato del comico nell’opera di Zandonai e delle occasioni esterne che hanno propiziato questo lavoro maturato in tempo di guerra. In particolare, il relatore si è impegnato a esporre la genesi e la complessa vicenda compositiva di questa che è una delle opere meno eseguite di Zandonai, evidenziando come essa si presenti non solo come un tentativo storico di proporre un teatro musicale comico sotto forma di una personale rielaborazione della grande scuola italiana sette-ottocentesca, ma anche come un momento di sollievo rispetto al pesante clima generale che si respirava alla fine del primo conflitto mondiale, nonché come un riposo della mente dopo l’impegno massimo della Francesca da Rimini di poco precedente.

La sessione del pomeriggio, dal titolo «Linguaggio musicale e aspetti drammaturgici», è stata moderata da Jürgen Maehder ed ha visto in apertura il discorso di GUIDO SALVETTI che ha parlato di Tradizione italiana, influssi francesi e tedeschi nelle opere del primo Zandonai, avente come obiettivo di esaminare la documentazione oggi disponibile sull’argomento. Dopo alcune annotazioni rispetto alla prudenza necessaria nel trattare le fonti secondarie e le stesse dichiarazioni dell’autore, è stata sottolineata la vastità dell’orizzonte culturale rispetto al quale Zandonai ha compiuto le sue scelte. Un approccio critico ha anche guidato la discussione sull’orientamento stilistico di tali scelte, troppo spesso liquidate con definizioni sommarie e sostanzialmente fuorvianti come liberty, floreale e post-verista. A questo scopo risulta preziosa una rilettura delle tre opere che precedono Francesca da Rimini (Il grillo del focolare, Conchita e Melenis), al fine di individuarne le scelte drammaturgiche, determinanti nel collocare Zandonai nel variegato e contraddittorio mondo musicale dell’Europa del suo tempo.

DAVID ROSEN ha quindi offerto delle suggestive Osservazioni sulla musica diegetica nelle opere giovanili di Zandonai.

La musica diegetica ha un ruolo importante in questi lavori perché, più che avere funzione ambientativa, provoca risposte da parte dei personaggi. In Zandonai alcuni di questi esempi non soltanto sono inusuali, ma appaiono in qualche caso senza precedenti. L’analisi degli inserti diegetici è stata condotta principalmente su Il grillo del focolare, ma a questo si sono alternate, in un percorso di continui rimandi, battute tratte da L’uccellino d’oro, da Conchita e da Melenis. Il Grillo contiene un numero molto maggiore di musica diegetica di quanto non sia previsto nella novella di Dickens da cui è tratto, anche se taluni esempi sono derivati dalla commedia in tre atti Le Grillon du foyer di Ludovic de Francmesnil con musica di scena di Massenet, che aveva avuto la prima esecuzione all’Odéon nel 1904.

Con la tesi Una tappa fondamentale nel cammino compositivo di Zandonai: Conchita, EMMANUELLE BOUSQUET è entrata nel mondo di quest’opera-chiave del primo Zandonai attraverso la considerazione dei fattori culturali che hanno reso possibile l’avvento sui palcoscenici lirici di un soggetto di rottura che si affiancava alla Carmen e delle fasi alterne della sua fortuna, tra i successi italiani e americani del primo periodo e la visione più disincantata della prima parigina del 1929, quando ormai erano mutate le condizioni perché questo lavoro fosse accettato senza problemi. La crisi dell’opera lirica tra le due guerre e il nazionalismo rampante spiegano in parte questo calo di successo. L’analisi della genesi dell’opera mette in mostra i caratteri di modernità voluti dal compositore e che appaiono nei temi privilegiati della donna e della natura: una modernità che anticipa già le preoccupazioni artistiche delle future opere zandonaiane.

L’esteso intervento di ROGER PARKER con il quale si chiudeva la giornata (Conchita - Linguaggio musicale e contesto storico) ha ripercorso attraverso i repertori della stampa d’epoca la fortuna di quest’opera al suo primo apparire nel 1911 a Milano e nella sua prestigiosa uscita londinese dell’anno successivo. La critica riconobbe all’opera punti di forza e di debolezza; ma paradossalmente l’orchestrazione e i caratteri ritmici, che costituiscono la modernità della scrittura zandonaiana e la avvicinano per certi aspetti all’avanguardia, si ritorsero spesso nell’accusa di aver scritto una “sinfonia con voci obbligate” che non incarna l’autentica “anima italiana”. Per le palesi problematicità del libretto, è opportuno scindere l’analisi e la valutazione musicale dal contenuto e dall’ideologia sottesa. Zandonai, peraltro, sembra essersi distanziato dallo spirito del libretto, e il carattere ‘realistico’ di alcuni passaggi va considerato sotto il solo profilo compositivo.

La sessione di sabato 10 settembre («Opere sulla scena»), tenutasi negli spazi del Museo Civico e presieduta da David Rosen, ha visto l’iniziale intervento di Saverio Porry Pastorel che ha discettato sul tema Forma, luce e suono in tre opere strumentali di Riccardo Zandonai. La tesi sostenuta da Porry suggerisce un accostamento tra la vibrazione sonora peculiare del linguaggio musicale zandonaiano e le vibrazioni della luce esplorate dalla pittura divisionista di Giovanni Segantini. Attraverso tre testi emblematici dello strumentalismo zandonaiano (il Quartetto in sol maggiore, la Serenata medioevale e la suite Primavera in Val di Sole), il relatore ha seguito il sorgere e lo svilupparsi di tale peculiarità sonora, ponendo particolare accento sui rapporti tra suono e forma musicale. Il percorso del compositore è stato illustrato evidenziando gli stilemi ricorrenti nelle partiture e seguendo la loro evoluzione dai primi tentativi di coniugare la propria idea sonora con una struttura formale tradizionale fino alla ricerca di una forma musicale nata direttamente dal suono.

Ha fatto seguito MARIA IDA BIGGI, che ha affrontato alcune problematiche inerenti alla scenografia (Giuseppe Palanti, scenografo e costumista per Zandonai). La ricerca ha teso a indagare i rapporti tra il compositore trentino e la realizzazione scenica delle sue opere giovanili, e in particolare le sue idee in fatto di messa in scena e gli eventuali rapporti con Palanti e altri artefici della componente visiva dei suoi spettacoli. L’immagine del pittore e scenografo milanese risalta come quella di un artista versatile, che si applica con eclettismo stilistico alle arti decorative, alla grafica e alla scenografia per il Teatro alla Scala e per l’editore Ricordi. Proprio negli anni in cui lavorava per Conchita e Melenis, Palanti era un artista apprezzato dalla borghesia imprenditoriale e finanziaria milanese ed esponente delle correnti più in voga legate allo stile Liberty e in perfetta sintonia con quanto avveniva nel panorama artistico internazionale.

Ha concluso la sessione e l’intero convegno KII-MING LO, con la tesi Antirealistic Tendencies in Early 20th-Century Italian Opera. L’opera italiana tradizionale del XIX secolo non prevedeva un approccio realistico dell’allestimento; da qui la necessità di organizzare la partitura in una chiara struttura drammaturgica alla quale era funzionale anche una canonica divisione di ruoli dei cantanti. Questa impostazione viene superata con il teatro wagneriano e la generale tendenza dell’opera europea a far corrispondere tempo scenico e tempo narrativo. All’estetica realista si contrapporranno il simbolismo in Francia, il riemergere del genere favolistico in Germania e il recupero della tradizione della Commedia dell’Arte in Italia. Il revival internazionale di Turandot è collegato al successo dell’opera di Busoni e Reinhardt a Berlino (1905), portata negli Stati Uniti da Mahler. Sviluppando la teoria dell’opera antirealistica, Busoni mette in crisi tutta la drammaturgia basata sull’illustrazione psicologica. Negli stessi anni la produzione russa mostra analoghi orientamenti: in Ljubov k trëm apelsinam di Prokof’ev entra non solo l’elemento fiabesco, ma anche un tocco di surrealismo e una nuova concezione del rapporto con il pubblico.