con il contributo della Regione Lazio

con il patrocinio di Società Italiana di Musicologia

Convegno internazionale di studi

Patrica (FR), Istituto dei Missionari del Preziosissimo Sangue

24-25 settembre 2005

Sommario degli Atti

Programma e resoconto

sabato 24 settembre 2005

ore 10.00: Saluti introduttivi

ore 10.30: presiede Marina Marino

  • Cesare Marinacci, Itinerari della musica sacra
  • Pio Di Meo, La legislazione musicale sacra ai tempi di Refice
  • Giuseppe Capone, Rapporti personali fra Licinio Refice e Lorenzo Perosi
  • Valentino Miserachs Grau, Licinio Refice e la Cappella Liberiana nel '900

ore 16.00: presiede Paologiovanni Maione

  • Michele Colagiovanni, L'epistolario di Licinio Refice
  • Giuseppe Marchetti, - Giovanni Valle, I manoscritti delle 35 liriche di Licinio Refice
  • Antonio D'Antò, La Missa “Cantate Domino canticum novum” di Licinio Refice (1912)

ore 21.30: Concerto

 

domenica 25 settembre 2005

ore 10.00: presiede Agostino Ziino

  • Rita Carpentieri, Lo Stabat Mater (1916) di Licinio Refice
  • Raoul Meloncelli, La musica sacra di Gabriel Fauré nel panorama musicale francese dell'ultimo Ottocento

ore 11.30: Tavola rotonda sullo stato attuale della musica sacra
Moderatore: Camillo Savone
Interventi di Domenico Bartolucci, Giovanni Carli Ballola, Pablo Colino, Vincenzo De Gregorio, James Goettsche, Massimo Palombella, Gino Stefani

 

Comitato scientifico: Antonio D'Antò - Paologiovanni Maione - Marina Marino - Giovanni Valle - Agostino Ziino
Comitato organizzatore: Associazione Pro Loco Patrica (FR), Associazione O.M.A.


Resoconto

Si è svolto a Patrica (FR), il 24 e 25 settembre, il Convegno internazionale di studi “Licinio Refice e la musica sacra del primo Novecento”, organizzato con il contributo della Regione Lazio ed il patrocinio della Società Italiana di Musicologia. Il convegno di Studi è giunto come ideale coronamento dell'anno reficiano che ha visto promosse numerose iniziative da parte delle istituzioni coinvolte, tra cui la Pro Loco di Patrica distintasi per l'attivismo con cui ha voluto contribuire al riconoscimento del grande compositore patricano. Similmente può dirsi per il Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma, ove Licinio Refice insegnò per diversi anni: tra le altre cose, in occasione dei lavori di restauro della sede, l'Istituto ha intitolato all'illustre musicista la sala principale in una solenne cerimonia d'inaugurazione alla presenza di alte eminenze vaticane.

Le celebrazioni per il cinquantenario della scomparsa vogliono dare un decisivo contributo alla riscoperta di un grande musicista dall'originale idioma, autore di riferimento nella musica sacra del '900 eppure spesso ingiustamente trascurato.

L'argomento “musica sacra” inoltre si arricchisce di riferimenti storici e di costume ad un'epoca di transizione, travagliata e stimolante, che coincide in buona parte con la vita di Refice (1883-1954) ma che in fondo allunga le sue propaggini anche all'oggi, con i rivolgimenti che hanno caratterizzato la musica liturgica e la stessa Cappella Sistina negli ultimi anni; l'argomento di partenza ha offerto lo spunto per un dibattito più generale sulla Musica Sacra, dall'epoca di forte transizione in cui è vissuto Refice ad oggi, in cui si avverte con forza la necessità di una ridefinizione di ambiti, competenze ed estetica. A questo proposito tra gli invitati alla tavola rotonda figuravano personalità di assoluto rilievo tra cui Domenico Bartolucci, Giovanni Carli Ballola, Pablo Colino, Massimo Palombella, Vincenzo De Gregorio, James Goettsche, Gino Stefani e il grande soprano Renata Scotto – appassionata interprete delle musiche di Refice - che, non potendo intervenire come promesso, ha comunque gratificato la manifestazione mandando i suoi auguri più sentiti attraverso Agostino Ziino.

Dopo i saluti istituzionali, ha preso la parola Marina Marino, docente presso il Conservatorio “L.Refice” di Frosinone e presidente di turno che ha introdotto i lavori del mattino. Il primo intervento è stato affidato a Cesare Marinacci, docente presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra, che ha presentato una relazione dal titolo “Itinerari della Musica Sacra”. L'esposizione ha offerto un excursus storico introduttivo, indagando anche la triade terminologica religioso-sacro-liturgico, indicando come alcune figure di riferimento l'abbiano interpretata più o meno personalmente. L'accenno anche ai diversi interventi pontifici in materia ha messo in rilievo come le problematiche estetico-funzionali influenzino il fare compositivo, aprendo ipoteticamente la strada alla tavola rotonda conclusiva sullo stato attuale della Musica Sacra.

L'intervento di Pio di Meo, docente presso il Conservatorio “L.Refice”, dal titolo “La legislazione musicale sacra ai tempi di Refice” prosegue idealmente il discorso riferendosi ad un ambito più circoscritto. Come egli stesso ha sottolineato, risulta particolarmente interessante conoscere gli interventi ufficiali della Chiesa in materia musicale ai tempi di Refice per comprendere meglio le condizioni, le opportunità o i vincoli con i quali il compositore si è dovuto confrontare nella sua sacra ispirazione e quali risposte abbia fornito nelle sue opere. Di Meo ha quindi sfogliato i numerosi interventi a sostegno delle iniziative ceciliane, dalle “improbabili” sanzioni per il canto di cattiva qualità fino al “Motu Proprio” di Pio X, documento pontificio ufficiale e riferimento obbligato dell'epoca.

La relazione “Rapporti personali tra Licinio Refice e Lorenzo Perosi” a cura di Don Giuseppe Capone si è soffermata nell'analisi anche emozionale di due grandi personalità, simili e contrastanti allo stesso tempo: Lorenzo Perosi, ben presto riconosciuto come il “nuovo Palestrina”, il cui casto ma fervido lirismo si impose come modello di riferimento ideale della musica sacra, e Licinio Refice, del quale invece si disse che se non fosse stato un ecclesiastico sarebbe potuto essere il più grande operista del suo tempo. Eppure anch'egli seppe infondere tanta della sua mistica sensibilità oltre che nella produzione più specificamente sacra, nelle cantate, nelle liriche ed anche nelle opere teatrali. Due artisti di grande e genuina ispirazione i cui punti di contatto, colti nella sincera e totale consacrazione alla propria missione artistica e spirituale, spesso sopravanzano le divergenze idiomatico musicali che li hanno visti attori, non sempre consapevoli, di eventi talvolta a loro lontani. Un vivo ritratto ha offerto anche l'intervento di Valentino Miserachs Grau, Preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma. Fondato nel 1910 da San Pio X ed auspicato fin dal suo Motu Proprio del 1903 come istituzione di riferimento nel mondo, vide Refice tra i suoi docenti per quasi quarant'anni. Ancora è vivo il ricordo tra le aule della scuola della sua fiera poetica, del suo forte temperamento che più di una volta gli procurò attriti con le istituzioni. Così come è vivo l'insegnamento lasciato come maestro della cappella Liberiana, carica che pure vede in Miserachs un ideale, devoto ed affezionato successore. Nella relazione “Licinio Refice e la Cappella Liberiana nel '900” dunque viene tracciato un coinvolgente per quanto sublimato ricordo di una vita artistica spesa al servizio della conservazione, del rinnovamento e della diffusione della tradizione musicale sacra, speziato anche da una serie di aneddoti che testimoniano una volta ancora un certo anticonformismo, spesso frainteso, ma ancor di più la grande generosità intellettuale del musicista patricano.

Nel pomeriggio Paologiovanni Maione ha presieduto la sezione dedicata in particolare agli scritti ed alle composizioni di Licinio Refice, sottolineando nel suo intervento d'apertura come anche una certa musicologia, pur prestigiosa ed istituzionale, stenti ancora a riconoscere, o per lo meno ad approfondire, l'opera reficiana relegando forse troppo sbrigativamente il compositore nel limbo degli epigoni.

Don Michele Colagiovanni, dei Missionari del Preziosissimo Sangue, ha presentato la relazione: “L'epistolario di Licinio Refice”, una preziosa testimonianza di vita, da lui pazientemente raccolta nella sua attività di appassionato storico e collezionista di documenti riguardanti il compositore di Patrica. Anche un'accennata analisi grafologica sottolinea l'impeto con cui il musicista esprimeva le proprie idee tanto da sovvertire anche le regole di scrittura: utilizzando costruzioni personali, sottolineature e segni d'interpunzione come un vero repertorio agogico musicale, egli si esprimeva in musica anche con le parole…

Segue la relazione “I manoscritti delle 35 liriche di Licinio Refice”. Si tratta di un lavoro nato dalla collaborazione di Giuseppe Marchetti e Giovanni Valle che stanno riportando alla luce un corpus di composizioni destinate spesso dallo stesso autore a rimanere inedite, eppure forse proprio per questo più fedele diario e specchio sincero dell'animo del compositore. L'ascolto guidato delle prime incisioni assolute effettuate da Laura Celletti, Maria Carmela Conti e Giovanni Valle ha evidenziato l'originalità del linguaggio e delle immagini poetiche. Emerge come la composizione delle liriche rappresenti un momento di riflessione personale da dedicare agli affetti ed alla poesia dell'anima ritrovata spesso tra le verdi colline della sua Patrica.

La prima giornata si è chiusa con la relazione di Antonio D'Antò, compositore ed anch'egli appassionato divulgatore delle composizioni del musicista di Patrica: “La Missa 'Cantate Domino canticum novum' di Licinio Refice”, un lavoro emblematico del 1912 che causò al giovane sacerdote da poco diplomato al conservatorio un vero e proprio incidente diplomatico con le gerarchie vaticane che giudicarono il lavoro troppo incline alla drammaturgia. L'interessante approfondimento di D'Antò ha messo in luce effettivamente alcuni passi incriminati ed additati come eccessivi cromatismi. Tuttavia dall'analisi di quest'opera giovanile emerge comunque una scrittura subito sapiente, che se talvolta tende verso alcuni moduli linguistici ed “intemperanze” tali da legittimare alcune critiche di “wagnerismo”, lungi dall'essere scelte di maniera invece testimoniano un profondo studio dei diversi procedimenti compositivi dalla tradizione alla modernità messi al servizio di una profonda ispirazione.

Le due relazioni del pomeriggio hanno preparato gli ascoltatori al grande concerto serale svoltosi nell'attigua chiesa di S. Francesco, con le Liriche seguite dalla Missa “Cantate Domino canticum novum”.

I lavori di domenica 25 settembre hanno visto come presidente Agostino Ziino, docente presso l'Università di Tor Vergata in Roma. Rita Carpentieri ha presentato la sua relazione su: “Lo Stabat Mater di Licinio Refice”, un'altra composizione giovanile presentata a Roma il 10 maggio 1917 al teatro Augusteo sotto la direzione dello stesso autore ed eseguita nella sua veste originale l'ultima volta al Teatro Adriano di Roma il 1 dicembre 1940. Opera esistente in una doppia versione con orchestra e pianoforte solo, sviluppa con profonda partecipazione i due temi principali, quello del dolore della Vergine, punto di partenza spirituale, e quello del dolore umano che appare sottolineato dalla musica quasi ad esprimere l'intenso desiderio dell'anima di elevarsi fino al martirio in un'unica offerta per espiare e redimersi.

Gli interventi si concludono con la relazione di Raoul Meloncelli, già docente presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra nonché presso l'Università “La Sapienza” di Roma, “La musica sacra di Gabriel Fauré nel panorama musicale francese dell'ultimo Ottocento”, che ci ha portati al di fuori dell'Italia per ribadire l'internazionalità dell'argomento Musica Sacra ma con un “effetto ciclico” che ci riconduce alla fine dell'800, periodo di grandi transizioni in cui ha inizio la vita di Licinio Refice. Due figure, quelle di Fauré e Refice, che mostrano anche diverse affinità di linguaggio, che appaiono talvolta simmetriche: quasi esclusivamente conosciuto per la musica sacra il musicista italiano, a dispetto di una notevole varietà della sua opera, quasi esclusivamente conosciuto per la musica profana il compositore francese, a fronte invece di una originale produzione sacra, legata in massima parte al ventennale servizio come organista e maestro di cappella presso la chiesa della Madeleine a Parigi. Altra curiosa affinità tra Refice e Fauré è rappresentata dalle critiche espresse al loro personale idioma sacro. Refice per la già citata Messa del 1912, Fauré per la prima esecuzione, nel 1888, del Requiem. Ambedue infine ingiustamente sottovalutati tanto che mi sembra opportuno riservare anche a Refice la frase dedicata da Marcel Proust proprio a Fauré: “I veri ingegni sono come le stelle, la loro luce impiega tanto tempo a giungere fino a noi che quando finalmente arriviamo a scorgerla l'astro è già spento da tempo”.

La vivace tavola rotonda conclusiva ha visto coinvolti, oltre ai relatori invitati, Giancarlo Tammaro, Annabella Rossi e Gabriele Pizzuti. Partendo comprensibilmente dalla semplice constatazione del generale livellamento in senso negativo del repertorio musicale sacro e della tradizione musicale a vantaggio di prodotti scarsamente rappresentativi sono emerse posizioni forse solo apparentemente contrastanti. Gabriele Pizzuti ha esposto la sua personale esperienza come maestro di cappella presso la cattedrale di Segni. Egli riesce a conciliare le particolari esigenze liturgiche con la scelta di un repertorio comunque di qualità che comprenda autori classici e moderni. In un certo senso si sottolinea come la situazione carente di molte cappelle sia un fenomeno dovuto ad un atteggiamento spesso semplicemente superficiale e sbrigativo degli interpreti coinvolti nelle celebrazioni e dunque migliorabile con un percorso convergente guidato dal buon senso. Più pessimista la posizione di Camillo Savone, moderatore della tavola rotonda, che presentando anche la sua esperienza ha dipinto una situazione molto più complessa e varia con cui misurarsi che spesso porta al paradosso di dover uscire dalla “chiesa” per poter eseguire il grande repertorio sacro. Ancor più estrema la posizione di Gino Stefani, che con la disincantata vis polemica che lo contraddistingue ha seriamente dilatato i termini della questione chiedendosi quanto di tutto il confronto fatto da addetti ai lavori davvero interessi ai fruitori dell'azione liturgica, se i termini del problema sono ben posti, se si rischia di cadere nel facile errore di considerare la questione troppo dal punto di vista musicale e meno da quello sociale e contingente. Ai fedeli interessa davvero che durante le celebrazioni si esegua Palestrina o Canzonissima? o meglio(!) ai fedeli interessa davvero che si “esegua”? esiste davvero un problema sulla musica in chiesa?

Cesare Marinacci