Bergamo, Biblioteca Civica "Angelo Mai"

24-26 ottobre 2008

Programma, abstract e resoconto

Venerdì 24 ottobre 2008, ore 9.30

Indirizzi di saluto:

  • Enrico Fusi, Assessore alla cultura, spettacolo e turismo del Comune di Bergamo
  • Guido Salvetti, Presidente della Società Italiana di Musicologia

Sala Tassiana, presiede Paologiovanni Maione

  • Marie-Louise Catsalis, Legitimate orphans. Abstract.
  • Roberto Scoccimarro, Una sconosciuta fonte per lo studio degli Intermezzi: Chiarchia e Retella, di compositore anonimo. Abstract.
  • Claudio Bacciagaluppi, Dignas laudes resonemus di Pergolesi e il mottetto napoletano del primo Settecento. Abstract.
  • Francesco Carreras – Francesco Nocerino, I fabbricanti di strumenti a fiato a Napoli nel Settecento e Ottocento. Abstract.
  • Marina Marino, Musica e Spettacolo nel Diario napoletano di Carlo de Nicola (1798-1825). Abstract.

Sala Papa Giovanni XXIII, presiede Paola Besutti

  • Peter S. Poulos, A Late Sixteenth-Century Endowment for Music at the Cathedral of Genoa. Abstract.
  • Edite Rocha, Manuel Rodrigues Coelho's Flores de Música: Considerations about the inégalité. Abstract.
  • Alberto Mammarella, Macro e micro strutture de Il Primo Libro de Madrigali di Ippolito Sabino (1570). Abstract.
  • Marco Giuliani, I testi per musica di Carlo Milanuzzi da Santa Natoglia. Abstract.
  • Domenico De Cesare, Il Graduale 11 dell'Archivio diocesano di Ruvo di Puglia. Abstract.

 

Venerdì 24 ottobre 2008, ore 15.00

Sala Tassiana, presiede Francesca Seller

  • Elena Abbado, Rossini e il Teatro del Cocomero di Firenze: novità drammaturgiche emerse dagl'inediti documenti dell'Accademia. Abstract.
  • Irene Bottero – Ugo Piovano, La vocalità di Meyerbeer e i problemi nella diffusione delle sue opere in Italia. Abstract.
  • Arianna Frattali, La drammaturgia per musica di Luisa Bergalli: l'Agide e l'Elenia. Abstract.
  • Angela Buompastore, Francesca Nava d'Adda ed Eugenia Appiani, due modi di essere compositrici a metà Ottocento. Abstract.
  • Matteo Mainardi, «Non possiamo andare a teatro, dunque divertiamoci in chiesa»: un'analisi della contaminazione tra profano e sacro nel repertorio organistico italiano del XIX secolo. Abstract.
  • Inmaculada Matía Polo, La literatura de viajes en José Inzenga: Impresiones de un artista en Italia (1876). Abstract.

Sala Papa Giovanni XXIII, presiede Agostino Ziino

  • Elsa De Luca, Il canto dell'Exultet nell'antica liturgia beneventana. Abstract.
  • Massimiliano Lopez, Trasformazione dei criteri di organizzazione delle relazioni testo/musica nella prima polifonia profana: i mottetti del codice H 196 di Montpellier. Abstract.
  • Elena Bugini, Annotazioni sull'iconografia musicale di fra' Giovanni da Verona. Abstract.
  • Francesco Rocco Rossi, Polonia-Spagna-Italia: il percorso della teoria della Coniuncta nel XV secolo e la ricezione italiana del cromatismo extra manum nel Liber Musices della Biblioteca Trivulziana di Milano. Abstract.
  • Giuseppe Fiorentino, Relazioni musicali tra Italia e Spagna nella prima metà del XVI secolo: l'anomalia delle pavane ternarie. Abstract.



Venerdì 24 ottobre 2008, ore 19.30

Basilica di Santa Maria Maggiore: Concerto di musica vocale. Esecuzione di mottetti a 1 e 2 voci e basso continuo
Lavinia Bertotti soprano, Vincenzo Di Donato tenore, Vania Dal Maso b.c.

 

Sabato 25 ottobre 2008, ore 9.30

Sala Tassiana, presiede Licia Sirch

  • Jan Herlinger, Singing exercises from a Bergamo convent. Abstract.
  • Linda Page Cummins, The Bergamo Redaction of Divina auxiliante gratia. Abstract.
  • Luigi Collarile, Dans la Bibliothèque du Roy. Aspetti della ricezione in Francia di musica sacra di Giovanni Legrenzi. Abstract.
  • Fabrizio Capitanio, I fondi musicali storici della Biblioteca Donizetti di Bergamo: cappella di S. Maria Maggiore, Piatti-Lochis, Istituto Musicale. Abstract.
  • Marcello Eynard – Paola Palermo, La biblioteca musicale di Gianandrea Gavazzeni donata alla Civica Biblioteca A. Mai di Bergamo: annotazioni, appunti e riflessioni. Abstract.

Sala Papa Giovanni XXIII, presiede Teresa M. Gialdroni

  • Vania Dal Maso, «La buona maniera di cantare… come regolatamente si deue». Indagine sulla prassi del diminuir tra Cinque e Seicento. Abstract.
  • Tiziana Affortunato, Le cantate di Carlo Caproli (1614-1668): eterogeneità testuale e stilistica. Abstract.
  • Mariateresa Dellaborra, «Qual bellissima imago»: arie e cantate del XVIII secolo in due manoscritti pavesi. Abstract.
  • Giulia Giovani, Le fonti a stampa della cantata da camera: il caso romano. Abstract.
  • Maria Rosaria Cannatà, Peter Arnold Heise: un genio restituito alla memoria. Abstract.

 

Sabato 25 ottobre 2008

Salone Furietti

ore 14.30
:
Assemblea annuale dei soci della SIdM
Nel corso dell'assemblea Licia Sirch, con Emilia Groppo e Gabriele Gamba del CILEA, presenterà il progetto BAMI (Biblioteca Aperta Milano)

ore 17.00:
Problemi e prospettive delle biblioteche musicali nei Conservatori e nelle Università
Tavola rotonda a cura di Guido Salvetti.
Documento di riferimento.

 

Domenica 26 ottobre 2008, ore 9.30

Sala Tassiana, presiede Bianca Maria Antolini

  • Alessandro Mastropietro, I Trii a due violini e violoncello del giovane Boccherini: cornice storica, stile, filologia delle fonti a stampa. Abstract.
  • Anthony Hart, Who was Dr Charles Burney's mysterious Monsignor Reggio?. Abstract.
  • Alessandro Lattanzi, Il nuovo catalogo tematico delle opere di Luigi Gatti, 1740-1817. Abstract.
  • Leonardo Miucci, I concerti per pianoforte e orchestra di W. A. Mozart: le trascrizioni di J. N. Hummel. Abstract.
  • Gaia Bottoni, La ricezione delle opere per tastiera di Bach in Italia tra Otto e Novecento e l'edizione di Pittarelli-Santinelli del Clavicembalo ben temperato (Libro I). Abstract.

Sala Papa Giovanni XXIII, presiede Roberto Giuliani

  • Tommaso Colafiglio, Dalle teorie compositive di Slonimsky ad una nuova impostazione dell'armonia. Abstract.
  • Marco Moiraghi, Il repertorio concertistico dell'Amar-Quartett e il suo ruolo nella diffusione della musica contemporanea (1921-1929). Abstract.
  • Gabriel Ferraz, Heitor Villa-Lobos and Getúlio Vargas: Indoctrinating Children through Music Education. Abstract.
  • Alberto Fassone, Alcuni aspetti del pensiero estetico di Carl Dahlhaus nel loro rapporto con l'ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson. Abstract.

 

Comitato Convegni SIDM
Paologiovanni Maione (responsabile)
Teresa M. Gialdroni
Francesca Seller
Agostino Ziino


Abstract

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Elena Abbado

Rossini e il Teatro del Cocomero di Firenze: novità drammaturgiche emerse dagl'inediti documenti dell'Accademia

L'imminente riapertura del seicentesco e glorioso Teatro Niccolini, già Teatro del Cocomero, dopo ben 13 anni di completo abbandono, ha ispirato questa relazione e ad essa è dedicata.
Le ricerche da me svolte nel 2006-2007, inizialmente interessate a sondare la ricezione delle opere giovanili di Rossini nel Granducato di Toscana, dopo i grandi successi de' L'italiana in Algeri e di Cenerentola, si sono concentrate su una delle prime farse: L'occasione fa il ladro del 1812, nella sua prima rappresentazione fiorentina avvenuta nel 1825 in questo teatro. La relazione ha assunto, in seguito, la forma di uno spaccato di vita musicale granducale, ma allo stesso tempo ha costituito il primo studio prettamente musicale sull'attività di questa prestigiosa istituzione teatrale fiorentina.
Le notizie pubblicate sulla messinscena sono minime e, come ho intenzione di dimostrare nel mio intervento, spesso fuorvianti; dovute probabilmente alle lacune nel fondo archivistico e alle innumerevoli vicende che il teatro ha attraversato nella sua travagliata storia.
Dalla sua fondazione, nel 1652, il Cocomero divenne punto di riferimento artistico e culturale cittadino. La successiva costruzione della più capiente Pergola, in prossimità dello stesso, in seguito alla scissione di una parte degli accademici, non impedì che il Cocomero rimanesse per tutto il corso del Sette-Ottocento tra le sale più prestigiose.
Insieme, i due teatri rimasero, per volontà Granducale, i più importanti di Firenze. Dividendosi i generi di spettacolo, furono lasciati alla Pergola opere di “primo livello” mentre, appannaggio del secondo, solo le burlette per musica.
Non fu così per L'occasione fa il ladro, programmata per la stagione di autunno del 1825. Dimostrerò che la messinscena, riportata sia nella Drammaturgia rossiniana sia in altre pubblicazioni, non ebbe mai luogo e che al suo posto fu rappresentata una Cenerentola, inedita alle cronache e a tutti gli effetti opera di “primo livello”.
Verrà presa in considerazione anche la copia della partitura de L'occasione fa il ladro presente a Firenze, in relazione con la mancata rappresentazione e le eventuali ipotesi sul suo utilizzo.
Questo intervento rappresenta solo l'inizio di una serie di aggiornamenti e cambiamenti della drammaturgia rossiniana relativa ai teatri del Granducato di Toscana.


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Tiziana Affortunato

Le cantate di Carlo Caproli (1614-1668): eterogeneità testuale e stilistica

Tra i compositori romani di cantate da camera attivi tra gli anni '40 e '60 del XVII secolo, Carlo Caproli (Roma, 1614-1668) – detto anche Carlo 'del Violino' per la qualità delle sue esecuzioni – era noto ai teorici coevi, come scrive Antonio Berardi nei Ragionamenti musicali (1681) anteponendolo a Giacomo Carissimi, Francesco Tenaglia e Luigi Rossi, per l'eleganza della sua vena melodica. Organista, violinista e maestro di cappella di varie chiese romane e al servizio presso importanti famiglie romane quali i Pamphilj, i Barberini, gli Orsini, è oggi ricordato quale autore de Le Nozze di Teti e di Peleo, la comèdie italienne su testo dell'abate Francesco Buti che a Parigi conobbe ben nove rappresentazioni tra i mesi di aprile e giugno del 1654. Nel 1913, grazie all'entusiasmo di Henri Pruniéres è pubblicato un primo parziale elenco delle opere del musicista romano. La peculiarità del suo corpus di composizioni, consistente quasi esclusivamente in circa cento brani vocali, suddivisibile a grandi linee in “ariette corte” e in composizioni “a più parti”, è meritevole di attenzione quale documento storico di un preciso periodo di evoluzione del genere cantata. Disseminata in raccolte miscellanee manoscritte in biblioteche italiane ed estere, tale produzione conferma una fase di sperimentazione del genere in questione, le cui caratteristiche principali, quali i frequenti cambi ritmici, e i passaggi dagli stili ariosi a quelli recitativi, rendono le composizioni multisezionali un unicum alieno da griglie formali; la molteplicità di soluzioni musicali si riflette inoltre in peculiari scelte e trattamento dei testi.
Fine del mio intervento è illustrare le modalità di incontro tra il musicista e i testi poetici, la paternità dei quali non è quasi mai dichiarata nelle fonti musicali, in tre percorsi: 1) documentario, grazie al reperimento di documenti archivistici che consentono di ampliare il numero delle attribuzioni testuali; 2) formale, attraverso un'analisi della polimetricità di singole cantate, in cui sono ravvisabili schemi formali arcaici, quali la ballata, il madrigale e la villanesca; 3) stilistico, indagando il contenuto dei testi musicati. La tematica pervasiva dell'amore non corrisposto, è interpretabile quale cliché letterario che conferma la fruizione e destinazione elitaria delle cantate. A conferma di tale tesi è un ristretto numero di cantate di Caproli il cui contenuto testuale, esulando dalla tematica amorosa, rivela la compresenza di questa con altre cantate di argomento spirituale, storico, o satirico. Quest'ultimo aspetto in particolare, esemplificato in una Serenata presente quale unicum in un manoscritto a Venezia, suggella come manifesto ideale una poetica che ironizza se stessa, e che il compositore sottolinea con i mezzi a sua disposizione in un'epoca in cui la ricerca supera la standardizzazione formale.


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Claudio Bacciagaluppi

Dignas laudes resonemus di Pergolesi e il mottetto napoletano del primo Settecento

Il mottetto Dignas laudes è stato finora poco considerato negli studi pergolesiani, senza dubbio per le difficoltà di ricostruzione del testo. Un frammento della partitura autografa era infatti rimasto inaccessibile per vari anni, e le copie conosciute presentavano notevoli varianti nel testo verbale e musicale. Oggi è possibile un raffronto e una valutazione delle fonti per risanare le lacune dell'autografo e ricostruire il testo della versione che si presume più antica. Accanto alla prima versione si conoscono infatti due altre redazioni differenti. A partire dallo spoglio delle fonti attualmente accessibili non è però possibile determinare con certezza la loro autenticità.
Al di là delle questioni filologiche, Dignas laudes si presenta come un tipico esempio di un genere che appare specificamente partenopeo. Consapevoli delle difficoltà terminologiche, proponiamo per praticità l'etichetta di “mottetto napoletano”. Un tutti iniziale, solitamente a cinque o a otto voci, viene ripetuto, a volte variato, al termine della composizione, inquadrando una serie di recitativi e arie col da capo che lasciano passare in rivista i solisti, riuniti eventualmente in duetti o terzetti. L'accompagnamento è orchestrale, spesso arricchito dai fiati. Il testo cantato segue la tradizione del mottetto seicentesco: latino, ma in metrica italiana, è di argomento devozionale, mariano o agiografico, e presenta solo vaghi ricordi scritturali. Le notevoli dimensioni di queste opere non lasciano ipotizzare un utilizzo in sostituzione di brani del proprium missae, come il mottetto veneziano o tedesco. L'assenza dell'alleluia finale le rende inadatte a sostituire il graduale. Troppo vaste per servire da offertori, i maestri di cappella boemi e tedeschi ne estraevano spesso a questo scopo il solo coro d'apertura. Il contesto appropriato sarà dunque quello di occasioni festive meno rigidamente codificate, come ad esempio le Quarantore. Il fatto che le uniche fonti per molti mottetti napoletani si trovino fuori d'Italia lascia supporre che il genere fosse particolarmente coltivato nella cappella reale, il cui archivio musicale è perduto. Come Antra, valles di Domenico Scarlatti, recentemente edito da Dinko Fabris, così anche Dignas laudes potrebbe essere stato presentato dal suo autore come prova qualificante, o come ringraziamento, per il proprio ingresso a palazzo.


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Irene Bottero - Ugo Piovano

La vocalità di Meyerbeer e i problemi nella diffusione delle sue opere in Italia

Giacomo Meyerbeer (1791-1864) fu l'operista più importante fra quelli attivi a Parigi fra il 1830 ed il 1860 e, in pratica, può essere considerato il creatore vero e proprio del grand opéra, un genere iniziato da Rossini col Guillaume Tell (3 agosto 1829) e diventato in breve l'emblema stesso dell'Ancien Régime e il principale antagonista dell'opera italiana.
Meyerbeer, la cui formazione aveva un respiro internazionale essendosi svolta fra Germania e Italia, scrisse quattro opere per il grand opéra: Robert le diable (21 novembre 1831), Les Huguenots (29 febbraio 1836), Le Prophéte (16 aprile 1849) e L'africaine (28 aprile 1865, postuma), tutte su libretto di E. Scribe, la prima con Delavigne, la seconda con Deschamps e l'ultima con Fétis.
Il suo successo a Parigi è testimoniato dall'incredibile numero di repliche che, prima della fine del secolo, superarono il migliaio. Le sue opere ebbero anche un'ampia diffusione nei principali teatri europei, soprattutto a Londra, e a New York. Più difficoltosa fu invece la recezione in Italia, ostacolata soprattutto dalle caratteristiche peculiari del genere parigino, troppo sfarzoso per la media dei teatri italiani. Le sue opere furono eseguite prima a Firenze, grazie a Lanari e solo L'Africana a Bologna quando l'impresario fiorentino era ormai morto e per l'interessamento diretto di Mariani. Le difficoltà incontrate da Meyerbeer in Italia sono ben evidenziate negli allestimenti scaligeri:

Roberto il Diavolo (5): 1846, 1861, 1870, 1873, 1886,
Gli Ugonotti (11): 1857, 1859, 1864, 1869, 1870, 1877, 1882, 1884, 1892, 1899, 1962
Il Profeta (5): 1855, 1856, 1863, 1875, 1884
L'Africana (5): 1866, 1871, 1878, 1888, 1910

A parte L'Africana, tutte le altre opere furono date con ritardo (Gli Ugonotti addirittura 20 anni dopo la prima parigina) e non senza tagli e modifiche. La loro affermazione non fu mai pari a quella delle opere di Verdi o anche di altri operisti italiani e, soprattutto, sparirono rapidamente dal cartellone alla fine dell'Ottocento.
Il motivo va soprattutto cercato nelle particolare vocalità utilizzata da Meyerbeer, che fonde insieme le caratteristiche belcantistiche di Rossini con quelle del canto di forza che si affermò in Italia soprattutto con Verdi, Donizetti e Pacini. Fu il tenore Gilbert Duprez che eseguendo per primo di forza i ruoli di Arnoldo e Raoul, scritti originariamente per Adolphe Nourrit, esponente principe del tenorismo di grazia, spinse Meyerbeer a creare questo particolare tipo di vocalità.
Un attento esame delle partiture di Meyerbeer mostra come per tutti i tipi di voce avvenga un fenomeno analogo. Va però detto come le cronache dell'epoca e le prime incisioni discografiche permettano anche di notare come, in realtà, gli interpreti eseguissero solo in parte i difficili vocalizzi previsti da Meyerbeer. Basti per tutti l'esempio di Francesco Tamagno, principale interprete di Meyerbeer in Italia, che semplificava drasticamente le parti eliminando tutti gli elementi belcantistici e mettendo in risalto solo quelli di forza.
Anche oggi, dopo 150 anni, e in piena riscoperta delle pratiche vocali del passato è molto difficile trovare dei cantanti che siano in grado di eseguire in modo completo e soddisfacente i ruoli originali di Meyerbeer e questo spiega le difficoltà che le sue opere incontrano ad entrare nei cartelloni dei teatri principali.


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Gaia Bottoni

La ricezione delle opere per tastiera di Bach in Italia tra Otto e Novecento e l'edizione di Pittarelli-Santinelli del Clavicembalo ben temperato (Libro I)

Manca a tutt'oggi una ricognizione completa dell'attività editoriale italiana che, tra Otto e Novecento, ha stampato e divulgato le opere per tastiera di J. S. Bach; il presente studio si propone di colmare tale lacuna offrendo un quadro dettagliato del coinvolgimento dell'opera bachiana nel processo di crescita musicale italiano. La ricerca presenta un elenco completo delle composizioni per tastiera di Bach pubblicate dal 1843, anno in cui appare per la prima volta il nome del compositore nei cataloghi di Casa Ricordi, sino al primo quarantennio nel Novecento, comprese le composizioni inserite in antologie o metodi per tastiera. Lo studio ricostruisce dunque le fasi di realizzazione della prima edizione italiana del Libro I del Clavicembalo ben temperato, stampata a Roma nel 1844 presso la litografia di Pittarelli e Santinelli. Prima si forniscono le informazioni importanti sul dedicatario dell'opera, Ludwig Landsberg, necessarie a chiarire l'ambiente e il contesto in cui venne realizzata l'edizione: in particolare, i rapporti del musicista tedesco con la vita musicale della Roma ottocentesca e la creazione della “Biblioteca Lansberghiana”. L'analisi prosegue quindi con un lavoro di collazione dell'edizione romana e delle prime edizioni degli editori: Simrock, Nägeli e Hoffmeister & Kühnel (pubblicate tutte nel 1801). Dalla collazione, emerge l'analogia delle scelte di redazione operate per la copia stampata da Pittarelli-Santinelli e da Johann Nikolaus Forkel, quest'ultimo revisore dell'edizione Hoffmeister & Kühnel di Lipsia: per alcuni preludi la selezione si orienta sulle versioni abbreviate e più semplici, corrispondenti a una concezione pre-1722 dell'opera, e conformi a quelli presenti nel Klavierbüchlein vor Wilhelm Friedemann. Alla luce di questa analisi è possibile affermare che gli editori romani abbiano utilizzato come fonte l'edizione revisionata da Forkel, probabilmente fornita loro dal “Chevalier Landsberg”.
Lo studio è corredato infine da due appendici: nella prima si fornisce un elenco completo delle composizioni bachiane pubblicate in Italia dal 1843 al 1946, sia in forma monografica che come brani inseriti in collane; nella seconda si fornisce lo schema riassuntivo dei risultati della collazione tra le prime edizioni del Clavicembalo ben temperato (Libro I).


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Elena Bugini

Annotazioni sull'iconografia musicale di fra' Giovanni da Verona

La relazione proposta si sostanzia delle principali acquisizioni della prima sezione del dottorato di ricerca di chi scrive: intitolato Il significato della musica nell'opera intagliata ed intarsiata di fra' Giovanni da Verona e regolato da una convenzione di co-tutela tra l'Université “François Rabelais” di Tours e l'Università degli Studi di Torino, esso è stato discusso presso il Centre d'Études Supérieures de la Renaissance di Tours il 15 settembre 2007.
Giovanni da Verona, il miglior rappresentante della tarsia olivetana tra fine XV ed inizi XVI secolo, coinvolse nelle sue rappresentazioni un significativo repertorio di frammenti e strumenti musicali di singolare lucidità ottica. L'intervento si misura con la mise au point dell'iconografia musicale di questo lignarius opifex così come emerge dall'analisi dell'incunabolo delle sue sopravvivenze: il coro di Santa Maria in Organo a Verona, intagliato ed intarsiato tra 1494 e 1499 per valorizzare la Madonna Trivulzio di Andrea Mantegna.


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Angela Buompastore

Francesca Nava d'Adda ed Eugenia Appiani, due modi di essere compositrici a metà Ottocento

Dopo la morte del primo marito, l'architetto Luigi Cagnola, Francesca Nava d'Adda (1794-1877) inizia la sua attività musicale che la vedrà autrice di alcuni brani di musica sacra e soprattutto di musica strumentale, in particolare duetti e trii. Pubblicati da Luigi Scotti, editore della nobiltà milanese, e da Giovanni Canti, i brani che compongono il catalogo dei suoi lavori risalgono ad un periodo compreso fra la metà degli anni '30 e gli anni '70 dell'Ottocento. Di genere diverso sono i lavori di Eugenia Appiani, figlia di Giuseppina Appiani, nota amica di Donizetti, Bellini e Verdi. Conosciuta presso il mondo musicale dell'epoca sin da giovinetta come dotata pianista e compositrice, pubblicò tutti i suoi lavori presso Ricordi, tranne uno edito da Canti. Le sue composizioni, principalmente pianistiche, sono variazioni, fantasie e scherzi su motivi di opere di Verdi, Meyerbeer e Bellini la cui pubblicazione avvenne complessivamente intorno agli anni '50-'60 dell'Ottocento.
Unite dalla frequentazione di circoli privati milanesi e non (la Nava d'Adda è segnalata, per esempio, presso le accademie di casa Branca e Noseda a Milano, la Appiani a Genova presso Carlo Andrea Gambini), le due compositrici si collocano invece agli antipodi riguardo alla loro produzione musicale. La Nava d'Adda appare maggiormente interessata alle forme cameristiche classiche, il Trio con pianoforte in particolare, come accade per esempio nel caso di altri dilettanti dell'epoca, basti pensare al conte Cesare di Castelbarco e al suo Trio con pianoforte op. 45 oppure ai tre Trii di Gambini op. 54, 62 e 64. La Appiani, allieva per la composizione di Pasquale Bona, si orienta invece verso brani per voce e pianoforte, come fa Giulio Litta, autore di diverse romanze per canto e pianoforte, e verso tutta quella messe di composizioni che intrattengono saldissimi legami con il melodramma, rientrando con le sue fantasie e melodie variate nello sterminato complesso di parafrasi operistiche ottocentesche. La scelta di occuparsi di questo genere di repertorio dovette essere influenzata dall'atmosfera cultural-musicale che si respirava in casa Appiani, una casa nella quale fu ospitato Gaetano Donizetti nel periodo in cui stava componendo la Linda di Chamounix e in cui si intratteneva corrispondenza con Giuseppe Verdi.
Attraverso l'osservazione e l'analisi di alcune delle composizioni di queste due dilettanti e dal confronto con i lavori di altri autori coevi, si ha dunque una visione globale delle esperienze compositive di tipo strumentale intorno alla metà dell'Ottocento: dalle composizioni più vicine all'ambito operistico a quelle che tendono ad allontanarsene proiettandosi verso il terreno classico e mescolandolo con alcuni spunti provenienti dal romanticismo tedesco.


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Maria Rosaria Cannatà

Peter Arnold Heise: un genio restituito alla memoria

Il lavoro di ricerca si propone di rivalutare la figura di Peter Arnold Heise, compositore danese vissuto fra il 1830 ed il 1879 ed appartenente alla folta schiera delle grandi personalità trascurate della storia della cultura.
Pur inserendosi pienamente nella cornice del Romanticismo, il musicista presenta aspetti di spiccata individualità: in tutta la sua produzione, la profonda cultura musicale internazionale (studiò in Germania con Moritz Hauptmann) si fonde con le sonorità precipue del suo territorio di origine.
La sua imponente produzione si concentra prevalentemente sulla musica vocale da camera (circa trecento Lieder) sebbene il catalogo delle sue opere annoveri un'opera teatrale (Drot og Marsk), numerose musiche di scena (fra cui Palnatoke di A. Oehlenschlager e La figlia del Pasha su testo di H. Hertz ), un'ouverture e una Sinfonia in re minore, diverse cantate, un quintetto con pianoforte, sei quartetti, un trio con pianoforte, ecc.
L'interesse per l'opera di questo autore è stato suscitato dal ciclo Dyveke's lieder, opera della maturità composta su testi di H. Drachmann. Il ciclo pur ascrivendosi formalmente al filone romantico di ascendenza schumanniana, presenta esiti di spiccata originalità da un punto di vista armonico nonché formale. Tratti distintivi sono l'estrema accuratezza dello stile accordale, la potente capacità di penetrazione del testo, l'impatto drammatico sortito dalla ricerca di forti contrasti, le peculiari atmosfere sonoriali ottenute anche mediante l'apporto di elementi popolari. Il rapportarsi con l'elemento letterario risulta essere, in particolar modo, un punto nodale della sua ricerca musicale. Il suo criterio di scelta dei testi fu volto a privilegiare la letteratura nazionale contemporanea, e a proporre poeti e scrittori con i quali condivideva rapporti di amicizia (Andersen, Hostrup, Hauch, Drachmann), sebbene non disdegnasse escursioni nella letteratura internazionale (Goethe, Shakespeare).
La ricerca ha presentato innumerevoli difficoltà, riconducibili alla carenza storiografica, ed all'assenza di traduzioni degli unici, rari contributi redatti unicamente in lingua danese.


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Fabrizio Capitanio

I fondi musicali storici della Biblioteca Donizetti di Bergamo: cappella di S. Maria Maggiore, Piatti-Lochis, Istituto Musicale

Le vicende storiche e i fondi musicali più importanti della biblioteca voluta e creata da Johann Simon Mayr nel 1806, a supporto delle nascenti Lezioni Caritatevoli di Musica di Bergamo: considerazioni e riflessioni sulla sua importanza musicologica e didattica, sull'incremento del patrimonio, sulla sua fruizione.


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Francesco Carreras – Francesco Nocerino

I fabbricanti di strumenti a fiato a Napoli nel Settecento e Ottocento

La produzione musicale partenopea ha ricevuto da sempre molta attenzione e numerosissimi sono gli studi che hanno affrontato i vari aspetti della vita musicale a Napoli, prendendo in considerazione sia compositori di fama consolidata che compositori cosiddetti minori.
Anche la produzione di strumenti musicali è da tempo oggetto di ricerche approfondite, riservate però solo ad alcune tipologie strumentali, quali quelle dei cembali, degli organi, dei mandolini e chitarre, mentre per gli strumenti a fiato assai rare sono state le ricerche specifiche.
Recenti studi e indagini d'archivio, in particolare le ricerche di Francesco Nocerino sul Settecento e primo Ottocento, e quelle sull'Ottocento di Francesco Carreras, hanno permesso di arricchire notevolmente le conoscenze, col ritrovamento di molti documenti inediti, l'individuazione di numerosi strumenti e la raccolta di dati biografici sui costruttori di strumenti a fiato attivi a Napoli nei secoli XVIII e XIX.
I risultati di questo lavoro, esposti in questa relazione, intendono tracciare un primo quadro esauriente delle attuali conoscenze sulla fabbricazione, e commercio, di strumenti musicali a fiato a Napoli.


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Marie-Louise Catsalis

Legitimate orphans

In The Imaginary Museum of Musical Works, Lydia Goehr highlights a problem for scholars, performers and audience of early modern music: «It mattered, but not that much, who composed the music. It mattered much more that the music satisfied […] the demands of the occasion» (1992:180). So many books, conferences and festivals have concentrated on the music of a single early modern composer – niche marketing in effect – in an attempt to restore 'air time' to a man (almost always) who has been undeservingly eclipsed by later composers. But in their own times composers occupied a humble position in the social hierarchy. As contemporary newspaper accounts show, patrons, royal dedicatees, and especially the occasion receive more attention than composers, who are mentioned rarely, if at all. Therefore, our way of thinking about, listening to, and programming music is anachronistic, skewed by romantic individualism.
I am currently editing two works for three voices, strings and continuo. Both are described as 'serenatas' on the frontespiece. One is then given the title Prologo a 3 voci and the other, Intermedio a 3 voci. They are found within the same manuscript, held in the Bibliothèque Nationale in Paris (Rès.Vma.945). The manuscript designates 'Signor Scarlatti'. The manuscript contains a third 'serenata a 3 voci' composed by 'Signor Bononcini'. These works are considered spurious: it is unknown which Scarlatti or Bononcini is meant, or what connection there is at all. However, given the period, authorship is less significant than what Roberto Pagano has described as the 'family workshop' (Pagano 1985/2006).
These, and other serenatas, deserve more attention than their orphan status has accorded them. I have recently edited and performed an anonymous Dialogo: Zefiro e Mergellina (see http://aaswebsv.aas.duke.edu/wlscm/Dialogo/Mergellina_e_Zefiro.html). Its manuscript is held in the Abbazia di Montecassino (5-F-15b), and is found midst one multi-voiced serenata by Severo di Luca and two by Alessandro Scarlatti. I consider the Dialogo a serenata by genre, not only by association, but also because its text has several markers which make genre definition unmistakable. These markers indicate a shared knowledge base, a 'community of readers', which is more meaningful than composer attribution. But, as a result, these performance conditions have compromised its ongoing appeal. Any thorough-going attempt to appreciate music of the seventeenth century would require us to reassess the performance history of the serenata.


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Tommaso Colafiglio

Dalle teorie compositive di Slonimsky ad una nuova impostazione dell'armonia

Questo lavoro di ricerca ha l'obiettivo di presentare un sistema alternativo di concepire il ragionamento armonico al fine di superare le problematiche riguardanti l'organizzazione delle note all'interno dello spazio temperato. Il lavoro si imposta su un trattato di Nicolas Slonimsky Thesaurus of Scales and Melodic Pattern che viene analizzato completamente e sul quale vengono proposte delle soluzioni pratiche di interpretazioni di tutta la dimensione delle divisioni possibili all'interno di una o più ottave. In più vengono scoperte alcune combinazioni melodiche possibili che Slonimsky stesso non ha contemplato nel suo trattato. Sulla base di ciò viene impostata la mia personale teoria mirata all'individuazione di alcune cellule melodiche che, organizzate in un certo modo, ci danno la possibilità di pensare tutte le possibili scale e costruzioni melodiche e armoniche all'interno dello spazio temperato. Questo lavoro esula da una semplice catalogazione di materiale melodico-armonico difficile da gestire sia in fase compositiva che analitica ma propone una soluzione dinamica per superare il problema della molteplicità di possibili combinazioni armonico-melodiche e di una chiara impostazione dell'armonia, superando i problemi della tonalità, serialità, scrittura cellulare, composizione algoritmica.
Il lavoro si avvale di un software di riferimento da me realizzato utile per i seguenti punti:

  1. Catalogazione e ricostruzione in maniera digitale del trattato di Slonimsky.
  2. Catalogazione di tutte le scale tradizionalmente intese in tutte le ottave.
  3. Generazione di profili melodici ottenuti secondo la mia teoria di organizzazione armonica.
  4. Generazione di contrappunti da due a 4 voci utilizzando un particolare sistema di sincronizzazione di generazione.
  5. Possibilità di generazione di contrappunti fino a 8 voci indipendenti.
  6. Generazione di accordi indipendenti.
  7. Generazione di melodia su strutture accordali secondo un particolare sistema di sincronizzazione di generazione.
  8. Sistema di partitura numerica su foglio di Excel integrato per generazione di composizioni.

 


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Luigi Collarile

Dans la Bibliothèque du Roy. Aspetti della ricezione in Francia di musica sacra di Giovanni Legrenzi

La produzione musicale sacra di Giovanni Legrenzi conosce un'importante circolazione in Francia già prima della morte del compositore o negli anni subito successivi. Esistono infatti diverse fonti manoscritte francesi redatte tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento che, accanto a opere descritte da raccolte a stampa (in particolare dall'op. 6), contengono una serie di composizioni inedite, che testimoniano dell'importanza dei canali con i quali questa produzione abbia attraversato le Alpi.
Principale interesse di questo intervento è innanzitutto quello di presentare questo nucleo di manoscritti, alcuni dei quali del tutto sconosciuti alla letteratura specifica legrenziana, mettendo in luce alcuni aspetti del contesto nel quale sono stati redatti. Emergono così le trame di una ricezione complessa, che coinvolge diversi personaggi orbitanti nella sfera della cappella reale, in particolare André Danican Philidor e Sébastien de Brossard. L'importanza di queste fonti è però legata soprattutto al repertorio che trasmettono, in grado di mettere in luce una parte ancora inedita dell'attività compositiva di Legrenzi, riconducibile con ogni probabilità al periodo veneziano del compositore.


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Vania Dal Maso

«La buona maniera di cantare… come regolatamente si deue». Indagine sulla prassi del diminuir tra Cinque e Seicento

La ricerca riguarda la prassi esecutiva delle diminuzioni e dei passaggi, assumendo il Secondo libro delli motetti (Venezia, 1614-1615) di Bartolomeo Barbarino da Fabriano detto il Pesarino quale punto di riferimento. Nel libro, Barbarino propone per ciascuno dei venticinque mottetti una versione semplice, e una “passaggiata”. Si tratta di un caso singolare, che permette di studiare la prassi del diminuir da una nuova prospettiva.
Nell'intento di inquadrare l'opera di Barbarino la mia relazione ripercorre le dichiarazioni di teorici e compositori riguardo l'argomento passaggio e gli aspetti musicali, stilistici, e tecnici correlati. Dopo il riesame delle questioni concernenti i passaggi (collocazione del passaggio nella composizione e rispetto la parola, comprensibilità del testo, sillabazione, vocali che possono essere “passaggiate”, quali figure si possono diminuire, quantità di passaggi, varietà ritmica e melodica, scelta del passaggio per la voce, altri abbellimenti: accenti, grazie, groppetti, tremoli) e ai suggerimenti di prassi esecutiva per i cantanti (raccomandazioni varie, tempo e misura, pronuncia e articolazione, improvvisazione, polifonia), saranno prese in considerazione le modalità di condotta di Barbarino. Le fonti esaminate sono quelle che riportano testimonianze in materia. La loro tipologia è varia: dalle raccolte di diminuzioni, ad altri libri di composizioni “passaggiate”, al Discorso della voce di Camillo Maffei, ai trattati teorici, tra cui la Prattica di musica di Lodovico Zacconi. Destinatari delle raccomandazioni sono i musici prattici, gli esecutori vocali e strumentali.
Servirsi de Il Secondo libro delli motetti per indagare il modo in cui l'autore ha applicato passaggi e diminuzioni ai suoi stessi mottetti, ci può condurre ad afferrare il significato che poteva avere per lui il «formare la diminutione come regolatamente si deue», e a verificare se e di quanto si sia discostato dalle prescrizioni dei teorici.
Anche se Barbarino si attende che «quelli che hanno contrapunto & dispositione, […] da loro medesimi potranno formare i passaggi, e l'altre circonstantie che si richiedono per la buona maniera di cantare», lo studio accurato dei suoi mottetti in duplice versione potrà permettere una più precisa messa a fuoco sull'imprescindibile prassi esecutiva realizzata attraverso l'aggiunta di passaggi, grazie e vaghezze.


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Domenico de Cesare

Il Graduale 11 dell'Archivio diocesano di Ruvo di Puglia

Il contributo è incentrato sul Graduale 11 dell'Archivio diocesano di Ruvo di Puglia, un manoscritto in canto fratto redatto probabilmente nel XVII secolo. L'ultimo terzo del codice, forse non derivato interamente da uno stesso antigrafo, è un Kyriale di circa sessanta carte, opera di due diversi copisti. Il codice è ricco di spunti di ricerca. Tra questi, il contributo intende evidenziare i brani di un Ordinarium Missae a due voci in canone. Nessuna delle intonazioni di questa Messa in canone – Kyrie, Gloria (in cui manca l'intonazione per il celebrante), Credo, Sanctus, Agnus Dei – trova riscontro nei più diffusi repertori. La più antica testimonianza conosciuta, relativa ai brani dell'Ordinarium da eseguire a canone, è il celebre Credo contenuto nei due kyriali seicenteschi di Molfetta e Gaeta.
Nonostante la melodia di questo nuovo Credo sia differente da quella di Molfetta-Gaeta, ci sono elementi che inducono a ipotizzare una forte parentela tra questi repertori, dalla vicinanza geografica tra le cattedrali di Molfetta e di Ruvo, alle analogie tra le notazioni impiegate.
Ciò porta anche a riflettere sulla prassi compositiva dei brani della Messa, con un occhio attento al grado di prescrittività del mensuralismo, indispensabile per approcciarsi non solo allo studio di ognuno dei brani del Kyriale, ma allo studio del fenomeno del canto fratto in generale.
L'indiscutibile importanza del codice apre quindi nuovi orizzonti di ricerca nell'ambito degli studi sul canto fratto, un campo la cui giovinezza non può più essere usata come scusa per tacere su alcune problematiche apparentemente secondarie: è vero infatti che la scoperta di nuove melodie e le riflessioni sulla notazione, sulla prassi esecutiva e sulle modalità della trasmissione, costituiscono una tentazione irresistibile per qualsiasi musicologo o filologo. È necessario, però, riflettere sul fatto che un testimone così interessante fosse finora noto solo a pochissimi musicisti e sulle conseguenze che da questo fatto derivano.


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Elsa De Luca

Il canto dell'Exultet nell'antica liturgia beneventana

L'Exultet è il canto con cui il diacono, dall'alto dell'ambone, benediceva il cero pasquale e annunciava ai fedeli la resurrezione di Cristo durante la veglia pasquale nella notte del Sabato Santo. La relazione ha per oggetto l'analisi paleografica e musicale alla quale sono stati sottoposti oltre quaranta testimoni dell'Exultet in scrittura beneventana, tra questi, si segnalano in particolare i ventisette rotoli dell'Exultet che, pur essendo stati ampiamente studiati dagli storici dell'arte figurativa a causa del singolare e caratteristico corredo iconografico, caratterizzato dalla curiosa inversione delle immagini rispetto al testo, non sono altrettanto ben conosciuti nei loro aspetti più prettamente musicali e paleografici. L'unico studio monografico condotto sull'argomento, da Thomas Forrest Kelly, si rivela adeguato ad un primo approccio generale alla materia e contiene tra l'altro alcune vistose imprecisioni. Nella presente ricerca sono state per la prima volta individuate e delineate le fasi di sviluppo ed evoluzione della melodia dell'Exultet nel tempo. Sono stati analizzati dapprima i testimoni più antichi scritti in notazione beneventana in campo aperto, tràditi non solo dai rotoli ma anche da codici provenienti dalle aree italo- meridionali e dalmate di influenza beneventana. Si è riconosciuto un primo strato nella tradizione musicale del canto, caratterizzato dalla prevalente cantillazione su una corda di recita e dall'adozione di formule melodiche standard, sottoposte a precise e ben individuate regole di adattamento al testo, che veniva esaltato nelle sue caratteristiche formali e accentuative dalla notazione musicale. L'adozione nel 1058 della nuova versione franco- romana del testo della praefatio, cioè la seconda parte del canto dell'Exultet, non ha prodotto alcun cambiamento dal punto di vista musicale, la collazione dei testimoni ha permesso di dimostrare senza ombra di dubbio come in questa prima fase ci sia stata una pacifica convivenza della tradizione musicale beneventana e di quella testuale franco-romana, e tutto ciò a differenza di quanto si era affermato nei precedenti studi. A questo primo strato nella tradizione melodica, segue cronologicamente una fase di progressiva disgregazione della sorprendente omogeneità caratteristica del primo periodo. In questa seconda fase la melodia dell'Exultet conserva ancora una struttura prevalentemente formulare basata su corda di recita, ma è caratterizzata da una evidente dilatazione melodica e non si può più riconoscere un'unica melodia-tipo intonata ovunque nello stesso modo. Si individuano invece delle specifiche tradizioni locali che si riverberano poi anche nei manoscritti di epoca successiva prodotti nelle stesse aree, manoscritti che adottano col tempo anche con nuovi sistemi notazionali, e nei quali si possono persino riconoscere, poste su tetragramma, melodie precedentemente scritte con i neumi beneventani.


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Mariateresa Dellaborra

«Qual bellissima imago»: arie e cantate del xviii secolo in due manoscritti pavesi

Due manoscritti conservati nella Biblioteca universitaria di Pavia tramandano arie e cantate a una e due voci del xviii secolo: Aldini 423 e Ticinesi 696. Il primo di 96 carte numerate contiene tredici cantate di cui sei per soprano, due per mezzo soprano e quattro per contralto; ventotto arie per soprano e due duetti per due soprani con basso continuo. Fra molte anonime, quattro cantate di Alessandro Scarlatti (oggetto di un'edizione moderna a cura di Giampiero Tintori, 1958), due a voce sola con strumenti o con il solo basso continuo di Giovanni Bononcini, una di Tommaso Carapella, una di [Flavio Carlo] Lanciani, due di [Francesco] Gasparini una di Severo de Luca, una di Carlo C. [Capellini ? Caprioli?] e una di «Menghino» [Domenico Nanini?].
Un'indagine preliminare ha consentito di collocare il repertorio tra la fine del xvii e la prima metà del xviii secolo e di ascriverlo con tutta probabilità all'area romana. Uno studio più approfondito deve invece giungere a investigare più precisamente la provenienza e la destinazione di un siffatto documento oltre ad avanzare nuove ipotesi di attribuzione e ad analizzare i testi poetici e musicali. Analogo esame, forse ancora più complesso considerato il totale oblio in cui è caduta la raccolta, deve essere svolto anche per il Ticinesi 696. Il manoscritto si compone di 195 carte numerate, è compilato da più copisti e comprende complessivamente 67 brani musicali (indicizzati nella «Tavola di tutte le arie e cantatte [sic] che si trovano nel presente»), tre dei quali soltanto recano il nome dell'autore: due cantate per soprano e basso continuo di Giovanni Bononcini (non inserite nei repertori) e una sconosciuta cantata per soprano e basso continuo di Francesco Antonio Mamiliano Pistocchi (detto Pistocchino). Le restanti composizioni, tutte adespote per la parte sia musicale che testuale, sono in parte presenti, ma sempre anonime, anche in altre raccolte dell'epoca. Dal confronto con questi repertori sarà possibile formulare ipotesi di datazione e, auspicabilmente, di attribuzione. Le rimanenti pagine del manoscritto contengono arie per soprano (42), per contralto (15), per tenore (3) e basso continuo; un duetto per soprano e contralto e un duetto per soprani. Ventiquattro brani sono accompagnati da più strumenti e alcuni prevedono l'accompagnamento di un organico strumentale inconsueto.


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Marcello Eynard – Paola Palermo

La biblioteca musicale di Gianandrea Gavazzeni donata alla Civica Biblioteca A. Mai di Bergamo: annotazioni, appunti e riflessioni

Con questa relazione intendiamo presentare le musiche a stampa, prevalentemente otto-novecentesche, appartenute al maestro Gianandrea Gavazzeni (1909-1996) e donate dai discendenti alla Civica Biblioteca A. Mai di Bergamo nel mese di novembre 2007.
Si tratta in prevalenza di musiche legate al repertorio operistico, sinfonico e strumentale in genere. Non mancano edizioni, soprattutto straniere, di rara reperibilità.
Il grande valore di questa biblioteca sta nei numerosi appunti, aggiunte, tagli, correzioni e annotazioni in genere, presenti nei volumi, che ci palesano la sua attività di studio e la sua personale impronta sulle composizioni affrontate, soprattutto in vista dell'esecuzione.
Questi elementi costituiscono, a nostro avviso, importanti spunti per ulteriori riflessioni sulla personalità del grande direttore d'orchestra, anche alla luce dei suoi scritti già noti.


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Alberto Fassone

Alcuni aspetti del pensiero estetico di Carl Dahlhaus nel loro rapporto con l'ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson

Il problema dell'identità dell'opera musicale è stato affrontato da Carl Dahlhaus in numerosi saggi degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso muovendo dall'orizzonte (di messa in discussione radicale) dell'Avanguardia del secondo Novecento, e dibattuto, nell'ambito della discussione sullo storicismo, con un ricorso al concetto di “tradizione”, di una tradizione la cui continuità o discontinuità costituisce il fondamento dell'identità stessa delle opere. Da questo punto di vista, Dahlhaus prende le distanze dall'ontologia dell'opera d'arte gadameriana, nella quale l'idea di una “mortalità” delle opere non trova assolutamente posto: la “presenzialità” dell'arte ha per Gadamer sempre il carattere della parusìa, il legame fra arte e religione rimane per il filosofo costitutivo dell'esperienza artistica.
La forza (dunque l'autorità) che Dahlhaus riconosce alla “tradizione” nel costituirsi dei giudizi estetici (da interpretarsi come razionalizzazioni a posteriori) che fungono da linea-guida anche nella prassi empirica degli storici, non è tuttavia meno grande che in Gadamer: «nessuno storico», osserva Dahlhaus, «ha il potere di capovolgere il giudizio pronunciato dai secoli passati – può tentare di farlo, la previsione che l'esperimento fallisca non costituisce tuttavia un rischio». Dahlhaus oscilla fra la posizione che potremmo definire dello storicismo malinconico e quella che riconosce, in consonanza con un punto importante della teoria estetica della formatività di Luigi Pareyson, che «la distanza interna ed esterna» (nel caso specifico della musica del Medioevo) può portare ad una «contemplazione estetica 'sentimentale'», sorta di proiezione «dell'esotismo nella dimensione del tempo». In un altro saggio fondamentale, incentrato sul rapporto fra Musica e testo (1979), Dahlhaus si rifà all'ontologia dell'opera musicale di Thrasybulos G. Georgiades (1907-1977), confrontandosi così indirettamente con quella di Gadamer e pervenendo ad una posizione che coincide perfettamente con quella sostenuta da Luigi Pareyson nella sua Estetica. Teoria della formatività (1950-54).


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Gabriel Ferraz

Heitor Villa-Lobos and Getúlio Vargas: Indoctrinating Children through Music Education

The prominent Brazilian composer Heitor Villa-Lobos played a fundamental role as a music educator in Brazil from 1930 to 1945. During that period he worked in partnership with Getúlio Vargas's regime, which unfolded into a dictatorship in 1937. Major concerns of Vargas's populist government were to educate youth, create cultural unity among races and social classes through nationalistic discourse, and the importance of the family in the formation of people's personalities. Nationalistic ideals were at the core of the music education system implemented by Villa-Lobos, who intended to instill the spirit of the motherland in children from different social classes and races. Villa-Lobos used music education to ensure that children grew up praising the political, social and cultural aspects of Brazil, forming a unified nation. Furthermore, these children would disseminate brasilidade within their families, becoming in essence virtual emissaries of the nationalist ideology. In this light, Villa-Lobos's music education system represented a miniature version of what Vargas envisioned for Brazil as a whole. This paper will explore how Villa-Lobos reflected Vargas's ideologies, promoting the regime and contributing to the formation of Brazilian cultural unity.


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Giuseppe Fiorentino

Relazioni musicali tra Italia e Spagna nella prima metà del XVI secolo: l'anomalia delle pavane ternarie

Il repertorio spagnolo di musica strumentale del Rinascimento si caratterizza per la presenza di alcune pavane anomale scritte con un ritmo ternario invece che con il ritmo binario tipico di questa danza. Le pavane ternarie, la maggior parte delle quali si basa nel celebre schema armonico di “follia”, si trovano nelle raccolte di musica per vihuela di Luís Milán (1556), Enríquez de Valderrábano (1547), Diego Pisador (1552), e nella raccolta di musica per tastiera di Luis Venegas de Henestrosa (1557).
A causa dell'anomalia ritmica delle pavane ternarie, esiste una certa confusione negli studi musicologici che si sono occupati del repertorio di danze strumentali spagnole; inoltre, gli interpreti di musica antica potrebbero avere dei dubbi sul tempo e la coreografia più appropriati per l'esecuzione di questi brani. L'analisi delle pavane ternarie spagnole e la comparazione con il repertorio strumentale e vocale italiano coevo, ha permesso di risolvere il problema dell'anomalia di questi temi: tutte le pavane ternarie sono in realtà delle gagliarde di origine italiana, e durante il processo di trasmissione di questo repertorio furono confusi li nome “pavana” con li nome “gagliarda”. Tutti i dati raccolti nel corso della mia ricerca indicano che la trasmissione delle pavane-gagliarde e la relativa confusione terminologica si produssero negli anni '30 del XVI secolo, nell'ambito della corte di Fernando d'Aragona, duca di Calabria e vicerè di Valencia. Le relazioni dinastiche tra il duca di Calabria (figlio di Federico I, ultimo Re aragonese di Napoli) e gli Este di Ferrara, permettono di spiegare il ruolo che ebbe la corte di Valencia nell'introduzione in Spagna di temi musicali originari dell'Italia del nord.
Con i dati presentati in questa relazione, d'interesse tanto per i musicologi come per gli interpreti di musica antica, oltre a spiegare l'origine delle pavane ternarie e descrivere l'ambiente culturale italianizzante della corte valenciana, intendo apportare una piccola contribuzione a la ricostruzione delle relazioni musicali tra Spagna e Italia nella prima metà del XVI secolo.


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Arianna Frattali

La drammaturgia per musica di Luisa Bergalli: l'Agide e l'Elenia.

Luisa Bergalli è attiva a Venezia tra il 1703 e il 1779 come poetessa d'Arcadia, drammaturga, traduttrice e impresaria teatrale. Allieva di Apostolo Zeno, concentra la sua produzione letteraria di maggior peso prima del matrimonio, nel 1738, con Carlo Gozzi, dopo il quale si dedicherà, insieme al marito, all'impresariato del Teatro Sant'Angelo e all'attività di traduttrice. Obiettivo dell'intervento è collocare i due principali drammi per musica della Bergalli, l'Agide e l'Elenia (composti tra il 1725 e il 1730), nel contesto della “riforma” del melodramma auspicata da Zeno verso un teatro più tragico nei contenuti e disciplinato nella forma. Alla luce di questo ripensamento del libretto che toccherà con Metastasio le sue punte più alte, i due drammi per musica presentano, infatti, numerosi elementi di novità che li collocano precocemente nell'ambito del melodramma “riformato”. Già nell'Agide re di Sparta, andato in scena al Teatro Giustinian di San Moisé per volontà dello stesso Zeno (che cedette all'allieva la propria commissione), sono seguite le norme d'arte affermate dal maestro: conformità dei caratteri, unità dell'azione, eliminazione o almeno riduzione dell'inverosimile, scelta di personaggi eroici. L'Elenia, che conquistò le scene del Teatro Sant'Angelo cinque anni dopo questa prima prova drammatica, da essa non appare molto dissimile, pur procedendo con maggiore sicurezza e confermando quel senso di fierezza muliebre già così presente nei personaggi femminili dell'Agide. Pur essendo comunque presenti nei due drammi alcune infrazioni all'unità di luogo e al criterio di verosimiglianza, dal punto di vista metrico la versificazione appare conforme al nuovo stile, nei recitativi come nei pezzi chiusi. La poetessa si cimenta, infatti, nella rima agile e melodiosa delle arie in chiusura di scena (predilette da Zeno) dimostrando padronanza dei metri anacreontici. Dall'analisi drammaturgica e retorico-stilistica dei due libretti, emerge una Bergalli sensibile ritrattista del mondo delle passioni femminili, ma anche attenta osservatrice dei conflitti maschili, in una panoramica di eroi e di eroine che, sullo stesso piano, sperimentano una catarsi senza catarsi, pienamente giustificata dalla levità del verso musicato.


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Giulia Giovani

Le fonti a stampa della cantata da camera: il caso romano

Il repertorio di cantate da camera è legato a migliaia di fonti manoscritte ma, tra il 1620 (anno della pubblicazione delle Cantade et arie di Alessandro Grandi) ed il 1750 (anno approssimativo di decadenza del genere, in Italia) furono realizzate, nel territorio nazionale, almeno 126 edizioni che provano una parallela, per quanto minore, diffusione del genere tramite la stampa. Spesso trascurata a causa della sua esiguità numerica, l'osservazione del fenomeno editoriale legato alla cantata è necessaria ad una corretta ricostruzione della fenomenologia di diffusione del genere.
Le città principalmente coinvolte da questo fenomeno sono quelle del nord Italia (Bologna e Venezia in particolare), con un fiorente mercato editoriale, non esclusivamente musicale. Scendendo lungo la penisola, il numero di edizioni diminuisce progressivamente tanto che nella città di Roma se ne contano soltanto quattro, provenienti da due stamperie tra le più in vista nel panorama editoriale cittadino.
Partendo dall'analisi dell'intera produzione nazionale, il presente intervento vuole concentrarsi sulle edizioni romane che costituiscono un caso particolare in quanto, collocate in spazi temporali tra loro distanti, rappresentano due momenti diversi di diffusione del genere. Le cantate stampate da Robletti, infatti, risalgono agli anni '20 del Seicento e costituiscono tra le prime testimonianze editoriali del repertorio (le Cantate ed ariette di Giovanni Battista Fasolo sono del 1627; le Cantate diverse di Domenico Crivellati del 1628) mentre quelle prodotte da Mascardi (le opere prime di Frangesco Gasparini, del 1695, e Tommaso Bernardo Gaffi, del 1700) rispondono perfettamente ai canoni formali tipici del genere oramai affermatosi.


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Marco Giuliani

I testi per musica di Carlo Milanuzzi da Santa Natoglia

Le recenti manifestazioni di sistematico recupero storico-musicologico del Seicento musicale, appaiono spesso più allo stato di intenzione che di concreta attuazione, se si considera l'edizione e la conoscenza del repertorio vocale a stampa di questo periodo.
Complice senza dubbio la crisi del libro musicale, la carenza di carta di qualità ma anche un'obiettiva scarsità di lavori di ricerca su singoli autori, sulle istituzioni musicali e sul proliferare di forme tra le più contaminate della storia, resta importante e prioritario procedere ad una conoscenza non superficiale del repertorio effettivamente sopravvissuto e dei protagonisti che ci hanno tramandato le proprie composizioni.
Una figura non secondaria della prima metà del Seicento, forse in parte oscurata dalla coeva attività di Monteverdi con il quale si evidenziano rapporti non occasionali, ma parallela e parimenti intensa nella sua duplice dimensione sacra e profana è quella di Carlo Milanuzzi da santa Natoglia (ora Esanatoglia di Macerata), il cui catalogo compositivo comprende almeno 23 numeri d'opus.
La relazione dello scrivente si sofferma brevemente sulla produzione profana del musicista marchigiano di cui si danno esempi a campione di brani dei dieci libri di Scherzi più noti, ma si occupa in particolare della singolare attività poetica del compositore, del quale si è finalmente a conoscenza anche attraverso una rarissima edizione delle sue Rime articolata in quattro parti pervenutaci completa.
Il rarissimo esemplare dell'ARPA AMOROSA tocca con Poetica mano da Carlo Milanuzii da Santa Natoglia che uscì a Venezia nel 1625, ci offre l'opportunità di comparare in sinossi l'attività poetica e quella musicale del Milanuzzi e soprattutto ci consente di attribuire la paternità molti brani vocali.
In questo volume si ritrovano infatti vari esempi di poesie finite in musica nei successivi libri di Scherzi del Milanuzzi, oltre ad offrire un panorama non mediato delle scelte metrico-rimiche e stilistiche del compositore, sul quale si squarcia finalmente un velo di indeterminatezza circa i gusti, le modalità di circolazione e di produzione lirica per musica nella prima metà del Seicento.


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Anthony Hart

Who was Dr Charles Burney's mysterious Monsignor Reggio?

In 1770 the English historian and musician Dr Charles Burney (1726-1814) embarked on a journey which would take him to France and Italy. The objective of this journey was to collect information for his book The History of Music. During his visit he met many musicians, attended numerous concerts and made the acquaintance of several composers. He also encountered many other nowadays less recognized musicians, in particular, one Monsignor Reggio. Burney was introduced to Reggio through members of the English nobility residing in Rome.
During his visit Burney kept a detailed journal of meetings and discussions. September 1770 sees Burney in Rome and we read in his journal:
Wednesday 26 Sept: «... to the prelate Monsignor Regio(sic) – who is likewise a pretty good composer and performer on the harpsichord and violoncello. He has got 2 or 3 delicate-toned harpsichords and a good library».
Later in his journal he speaks generally of Italian performers, discusses the state of Italian harpsichords, and admits being disappointed by the Italian harpsichord and harpsichord players. He again mentions Reggio.
«... The best Italian harpsichord which I met with for touch, was that of Signor Grimani at Venice; and for tone, that of Monsignor Reggio at Rome; ...».
In his final summing up of his visit to Rome he writes:
«… I am indebted for some curious compositions, and for the conversations of several persons in Rome, eminent for their skill in the art, and learning in the science of sound; among whom are the Marchese Gabriele, & Monsignor Reggio».
No contemporary or modern musicological sources mention any Monsignor Reggio. He was obviously well-known to the English nobility residing in Rome during this period and it would appear that he left a lasting impression on Burney and worthy of note in the published, edited version of his journal. But who was this mysterious prelate? Have any of his works survived?
Using clues provided by annotations on original manuscripts in the Santini Collection in the Diözensanbibliothek in Münster and other sources, it has been possible to trace Reggio's origins to a cadet branch of an 18th century Sicilian noble family. Through further references in the manuscripts a connection with Roman Nobility was also established. He has also been mentioned in connection with the sallotti and of the Roman intelligentsia during the Age of Enlightenment. Using this information a positive identification of Reggio has been established.
From the identification of Reggio's autograph in the original manuscripts, it has been possible to conclude that he was the owner of the five volumes of the keyboard sonatas of Domenico Scarlatti held in the Santini Collection, and scribe of many of the individual manuscripts within the volumes.


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Jan Herlinger

Singing exercises from a Bergamo convent

Bergamo, Biblioteca Civica “Angelo Mai” MS MAB 21 (olim S.IV.37), copied in 1487 in the Carmelite convent of Bergamo – long known only as the unique source of a prepublication version of Gaffurio's Practica musicae – has recently aroused increasing interest as a source for the Ars contrapuncti secundum Johannem de Muris, the Marchettan digest Divina auxiliante gratia, and the first book of the Berkeley Treatise. The discourse of medieval music theory unfolded, however, not only in major, widely disseminated texts like these but in much smaller texts, many of them unica. Sometimes just large enough to complete a page, sometimes large enough to fill several pages at the end of one of the quires of bifolios of which a book was made, such texts are all the more interesting for their often giving the appearance of having been jotted down unvarnished by a great deal of thought: a cluster of musica ficta rules; a summary of counterpoint precepts; aides-mémoire for finding the tenors of psalm tones. MAB 21 is rich in such texts: among those dealing with music fundamentals, mode, counterpoint, and mensuration is a collection of singing exercises (ff. 95v-100r) that open a rare window on musical practice at a medieval convent during its heyday. The present paper reviews these exercises; it is based on my own study of the manuscript, both at the library in Bergamo and through digital photographs, some of which will be shown.
Though medieval theorists generally advise against placing B flat and B natural in close proximity to each other, these exercises place the two inflections close together many times; moreover, direct progressions between B flat and B natural require the chromatic semitone, an interval medieval theorists generally prohibit in melodic contexts. A venture into the hexachord built on B flat shows that the doctrine of coniunctae (hexachords built on notes other than C, F, or G, and requiring accidentals other than B flat) was a part of singers' experience. The evidence of these exercises suggests that rules medieval theorists gave in their major treatises may not closely reflect medieval practice: the rules appear to be comparatively restrictive. Scholars of the present day, accordingly, may have to take a more highly nuanced approach to reading medieval theoretical texts.


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Alessandro Lattanzi

Il nuovo catalogo tematico delle opere di Luigi Gatti, 1740-1817

La vasta produzione di Luigi Gatti, ultimo Kapellmeister italiano a Salisburgo e diretto superiore di Leopold Mozart e Michael Haydn, era già stata oggetto di un'ampia ricognizione critica ad opera di Monika Gehmacher nel 1959. Da allora, i progressi nella catalogazione delle fonti musicali hanno reso indispensabile la redazione di un nuovo catalogo tematico, che ha condotto ad un sostanziale incremento delle opere conosciute e, parallelamente, all'identificazione di numerose composizioni spurie. La catalogazione musicale è stata affiancata da una sistematica ricognizione delle fonti archivistiche mantovane, che getta nuova luce sulla biografia del compositore negli anni anteriori al soggiorno salisburghese. Complessivamente, l'attività di ricerca è stata condotta in oltre 120 tra biblioteche e archivi di dodici paesi europei e si è protratta per oltre cinque anni, grazie al generoso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona.
La redazione del catalogo tematico, di cui è imminente la pubblicazione del primo volume (Libreria Musicale Italiana, Lucca), si colloca all'interno di una più ampia serie di iniziative promosse dal Conservatorio “Lucio Campiani” di Mantova, che comprende anche l'organizzazione di un convegno internazionale di studi, nonché una intensa attività concertistica e discografica.


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Massimiliano Lopez

Trasformazione dei criteri di organizzazione delle relazioni testo/musica nella prima polifonia profana: i mottetti del codice H 196 di Montpellier

Attraverso l'analisi dei 22 mottetti con autore attribuito o attribuibile presenti nel codice H 196 di Montpellier, repertorio di composizioni che permette di avere una sorprendente visione dell'intero XIII secolo, emerge un inedito e chiaro percorso di trasformazione dei criteri di associazione testo/musica nella prima polifonia profana di area francese. Risultano ben delineati, infatti, quelli che potremmo definire tre stadi: il primo, cronologicamente collocato dagli anni Venti alla metà del secolo, è rappresentato dagli autori della tarda lirica mediolatina (Guillaume d'Auvergne, le moine de Saint-Denis, Robert de Rains, Philippe le Chancelier), autori che si caratterizzano per il costante utilizzo degli strumenti retorici dell'allitterazione/assonanza. Il secondo stadio, cronologicamente identificabile con il terzo quarto del secolo e legato alla carismatica figura del trouvère Adam de la Halle, mostra un'innovativa attenzione per l'associazione tra aspetto fonico della rima e luoghi strutturali della composizione musicale. Lo stadio finale di questo sviluppo, rappresentato da autori del tardo XIII secolo come Pierre de la Croix e Richard de Fournival, spostano la loro attenzione su elementi di stretta pertinenza della sintassi musicale ponendo una forte correlazione tra frase musicale e frase testuale poliversuale (è questo, forse, uno dei meriti precipui e non noti delle innovazioni di Pierre de la Croix). Tale processo, chiaramente evidenziato dal dato qualitativo e quantitativo offerto dall'analisi musicale, risulta attraverso l'utilizzo di tre punti di osservazione:

  1. il rapporto verso/frase musicale
  2. il rapporto rima/frase musicale
  3. il rapporto tra accenti principali del verso e accenti melodici principali musicali.

Il codice H 196 di Montepellier diviene pertanto osservatorio privilegiato della trasformazione dei criteri di associazione tra testo e musica nella produzione mottettistica profana del XIII secolo. Tale condizione privilegiata è favorita da due importanti circostanze culturali:

  1. la lunga durata della compilazione del codice che, nell'arco dei suo ottant'anni abbondanti, viene a rappresentare una vetrina espositiva di più generazioni di compositori, ciascuna delle quali espressione di una tappa caratterizzante dell'evoluzione del linguaggio musicale del medioevo occidentale;
  2. la particolarità del momento storico che vede convivere da una parte la maturazione della lirica romanza attraverso l'esperienza degli ultimi trouvères e dall'altra l'ultima fase della lirica mediolatina.

 


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Matteo Mainardi

«Non possiamo andare a teatro, dunque divertiamoci in chiesa»: un'analisi della contaminazione tra profano e sacro nel repertorio organistico italiano del XIX secolo

L'analisi della musica per organo pubblicata in Italia (e in modo particolare a Milano) nel corso del XIX secolo ci aiuta a descrivere come, anche attraverso il repertorio liturgico, la musica melodrammatica si diffondesse a livello popolare. La partecipazione alla messa domenicale infatti rappresentò nella cattolica Lombardia austriaca (e anche nell'Italia postunitaria) un'abitudine condivisa dalla maggioranza della popolazione, sia cittadina quanto – e soprattutto – dei centri minori e di campagna: in questo modo la musica melodrammatica poteva raggiungere un numero di persone decisamente superiore rispetto a quello rappresentato dal pubblico dei teatri cittadini. La ricerca svolta non si estende a tutto il repertorio organistico, ma è stata circoscritta a quella parte della produzione a stampa nella quale è stato possibile riscontrare un nesso preciso tra un brano organistico e un'opera lirica, della quale se ne parafrasava un numero, in un processo di contaminazione tra teatro e chiesa. Un particolare interesse è stato poi rivolto a quei brani con una specifica destinazione liturgica (in particolare i versetti per il Gloria), che hanno permesso di constatare come le molteplici prese di posizione della gerarchia ecclesiastica in materia di musica sacra rimanevano nei fatti lettera morta, e come invece anche nel campo della musica liturgica funzionale e non d'arte, il melodramma aveva attuato una penetrazione molto profonda, a riprova del successo che questo linguaggio stava riscontrando. Nell'attività editoriale milanese si possono inoltre riscontrare delle scelte da parte degli editori che ci aiutano a tracciare come tale contaminazione si sia evoluta lungo tutto il corso del XIX secolo: in una prima fase (tra il 1823 e il 1846 circa), corrispondente all'attività degli editori Carulli e Bertuzzi, è possibile riscontare una prossimità temporale molto stretta tra la rappresentazione delle opere presso teatri milanesi e la pubblicazione di loro estratti parafrasati per organo, in modo che si permetteva di poter godere dei piaceri del teatro recandosi anche a messa: per alcuni (pochi) si trattava di riconoscere quanto già ascoltato, per altri (molti) si trattava al contrario dell'unico contatto con la realtà musicale dell'opera. Una seconda fase vede l'attività degli editori Canti e Vismara che proseguirono nella pubblicazione di queste musiche, perpetuando la tradizione che le vedeva messe in vendita esclusivamente attraverso il meccanismo della sottoscrizione e quindi tramite la vendita con cadenza periodica in abbonamento. Significativamente l'editore Lucca registra nei suoi cataloghi quanto acquisito da Vismara (comprendendo anche le musiche di Bertuzzi e Canti), ma non pubblica più alcuna nuova edizione di musiche operistiche adattate per organo; allo stesso modo farà anche Ricordi, che pubblicherà le musiche di Carulli (assorbito nel 1833), ma non realizzerà alcuna parafrasi originale. Nei confronti di questo repertorio l'atteggiamento di Ricordi divenne più perentorio sul finire del secolo, infatti con la pubblicazione del Gran Catalogo non riportò più alcuna delle musiche che Carulli, Bertuzzi, Canti e Vismara avevano pubblicato (questi ultimi confluiti in Ricordi in seguito all'acquisizione Lucca), contravvenendo a una precisa scelta dell'editore, che dichiarava attraverso il suo catalogo il titolo di nuda proprietà di tutta la musica in suo possesso (e quindi il diritto al pagamento delle royalties in caso di loro utilizzo): la mancata indicazione di queste parafrasi si spiega con l'appoggio che Ricordi aveva dato al nascente movimento ceciliano e a musicisti come Casamorata, che videro le loro musiche edite e i loro contributi critici pubblicati sulla «Gazzetta Musicale di Milano», ottenendo un significativo appoggio dal più importante editore musicale italiano, che tolse dal suo catalogo (e quindi dal mercato) tutto quel repertorio organistico contaminato dal melodramma, che era il principale bersaglio delle critiche ceciliane.


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Alberto Mammarella

Macro e micro strutture de Il Primo Libro de Madrigali di Ippolito Sabino (1570)

Nel 1570, «appresso i figlioli di Antonio Gardano», vede la luce Il Primo Libro de Madrigali di Ippolito Sabino, pubblicazione che segna l'esordio ufficiale del giovane compositore lancianese. Alla luce delle attuali conoscenze, Ippolito Sabino aveva circa trent'anni quando fu pubblicato il suo primo libro di madrigali, allora impiegato come maestro di cappella nella Santa Casa del Ponte di Lanciano.
La silloge si apre con una dedicatoria indirizzata ad Alberto Acquaviva d'Aragona, primogenito di Giovan Girolamo Acquaviva, duca di Atri, dedicatoria che lascia piuttosto sorpresi dato che Giovan Girolamo, noto poeta, letterato e protettore di molti musicisti e letterati del tempo, era ancora a capo del suo prestigioso e ricco ducato.
Composta da ventinove madrigali a cinque voci, la raccolta è il risultato sapiente del compositore tanto nelle scelte poetiche, quanto in quelle musicali. Dal punto di vista delle scelte poetiche, Il Primo Libro de Madrigali di Sabino è in linea con il grande culto petrarchesco del tempo e rispecchia la realtà della letteratura poetica coeva. Accanto al sommo Petrarca, sono presenti illustri petrarchisti cinquecenteschi come Pietro Bembo, Giovanni Guidiccioni, Giovanni Vincenzo Belprato, Giovanni Muzzarello. Non meno interessanti risultano i testi poetici anonimi, specchio del gusto petrarchistico divenuto allora linguaggio nazionale.
Per ciò che riguarda l'aspetto musicale, la tecnica polifonica di Sabino risulta molto interessante, con una varietà di soluzioni contrappuntistiche che vanno dall'imitazione più o meno canonica a forme di contrappunto libero, fino alla progressiva concretizzazione di una perfetta omofonia tra le parti: diversità di scrittura che, invece di stagliarsi nitide nella loro caratterizzazione propria, sembrano trascolorare l'una nell'altra, con una tecnica d'incastro che sembra avvicinarsi a quella tipicamente mottettistica. Particolarmente degno di nota è il sapiente uso dei vari registri vocali che spesso fa si che la voce più acuta si adagi su un tappeto di voci 'nettamente' più gravi.
Attraverso l'analisi dell'intera raccolta verranno presentati e discussi dapprima i criteri di organizzazione generale della silloge, chiaramente studiata per presentare un percorso ben tipizzato poeticamente e musicalmente. Successivamente saranno discussi i criteri e le scelte modali che sorreggono la macrostruttura poetica del libro, senza tralasciare le peculiarità compositive di ciascun madrigale (microstruttura) che, in molti casi, risultano sorprendenti tanto per le scelte modali, quanto per le soluzioni contrappuntistiche adottate.


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Marina Marino

Musica e Spettacolo nel Diario napoletano di Carlo de Nicola (1798-1825)

La scoperta e la diffusione del Diario napoletano di De Nicola si deve a Giuseppe De Blasiis che nel 1906 curò la pubblicazione del manoscritto, conservato presso la Società di Storia Patria di Napoli, riuscendo anche ad individuarne la paternità. Da quel momento questa fonte è stata un validissimo supporto alle ricerche degli storici ed anche a quelle degli studiosi del teatro napoletano del periodo rivoluzionario, a cominciare da Benedetto Croce per arrivare ai più recenti.
Nel 1963 l'editore Giordano di Milano ristampò il primo volume del Diario che ricopre il biennio 1798-1800 e solo nel 1999, in occasione delle celebrazioni del bicentenario della rivoluzione partenopea, vi fu una riedizione completa in tre volumi, per l'editore Luigi Regina di Napoli.
Il regesto di tutte le notizie su musica e spettacolo per il lungo arco di tempo del Diario, ben oltre quindi il solo anno rivoluzionario, serve a dare qualche nuova luce sulla presenza e l'attività napoletana di Paisiello e Rossini, sulle feste laiche e religiose, sui rapporti fra politica e teatro nel complesso avvicendamento del potere fra Borboni, repubblica giacobina, ritorno dei Borboni, decennio francese e successiva restaurazione. La visione di questi avvenimenti da parte dell'avvocato De Nicola è molto severa, ma è comunque una preziosa testimonianza che contribuisce a colmare le numerose lacune storiografiche del primo Ottocento offrendo anche nuovi spunti di ricerca.


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Alessandro Mastropietro

I Trii a due violini e violoncello del giovane Boccherini: cornice storica, stile, filologia delle fonti a stampa

Nel novero delle prime raccolte che Luigi Boccherini destina alla stampa, includendole anche molti anni più tardi nel suo tardo catalogo autografo, spicca il predominio dei Trii a due violini e violoncello, preponderanti – almeno fino all'arrivo in Spagna di Boccherini – sui Quartetti d'archi. Si tratta di tre numeri d'opera (nel catalogo autografo indicati come op. 1 – G77-82, op. 4 – G83-88, e op. 6 – G89-94), pubblicati tutti tra il 1767 e il 1771 da editori parigini, e stampati da numerosi altri editori nel continente e in Inghilterra. Il favore attestato dalla loro diffusione è condiviso, ancora in quegli anni, da una formazione che aveva morfologicamente cessato d'essere la Sonata a tre con basso continuo, ma con ogni probabilità manteneva di quel genere l'eredità normativa e formativa nella scrittura (nonché un ampio consumo performativo, come testimonia la loro ricca tradizione manoscritta), prima della definitiva affermazione della soluzione quartettistica. La comparazione tra le fonti a stampa conferma in parte quanto già emerso da altri studi su coeve raccolte boccheriniane: la tradizione del testo origina dalla prima edizione parigina, riconoscendosi le altre edizioni come esemplate – anche se non direttamente stampate – a partire dal testo della prima. Unica rilevante eccezione riguarda i Trii op. 6, stampati a Madrid da Palomino nel 1771 (senza numero d'opera) parallelamente alla loro prima edizione per Vénier (come op. 9), e ristampati dalle medesime lastre a Venezia da Marescalchi: uno dei Trii presenta alcune rilevanti differenze testuali, tali da autorizzare l'ipotesi di varianti d'autore generate in una fase stilistica appena successiva alla prima redazione del brano (secondo lo stesso Boccherini, il 1769).
Il rapporto tra le fonti sarà argomentato attraverso riproduzioni delle medesime, così come l'ipotesi connessa alle fonti a stampa testualmente discordi dell'op. 6.


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Inmaculada Matía Polo

La literatura de viajes en José Inzenga: Impresiones de un artista en Italia (1876)

Si existe una cualidad que puede definir a José Inzenga (1829-1891), no es otra que una personalidad global y prolija, lo que le sitúa como una de las principales figuras representativas de la intelectualidad del siglo XIX español. Maestro renombrado compositor, musicógrafo, crítico y pensador, su amplia visión de la realidad musical de la España decimonónica permitió que los esfuerzos en la música no estuvieran únicamente centrados en el campo de la creación de zarzuelas y el folclor, quizás sus facetas más conocidas, sino que dirigió sus intereses a otras parcelas del conocimiento como fueron la docencia, la composición de canciones, la crítica y la fundación de instituciones dedicadas a la música. En 1876 Inzenga decide publicar en Madrid un ensayo que lleva por título Impresiones de un artista en Italia, y que incluye tanto apreciaciones de la situación musical de Italia, como ideas, reflexiones y sensaciones surgidas durante su estancia. No se trata de un libro estrictamente musical, sino que, siguiendo la moda romántica, más bien podríamos hablar de un libro de viajero en el que, entre otros menesteres, se otorga principalidad a las cuestiones relativas al estudio del canto. El encargado de su edición fue Víctor Saiz, y posteriormente la Revista Europea, quien lo edita por partes, incluyéndolo como texto en tres de sus números. Pero no solamente fue objeto de edición en la península, sino que un año después la casa Ricordi en Italia lo publicó como suplemento a su Gazeta Musical editada en Milán. Probablemente este fue uno de los «asuntos artísticos pendientes de resolver en el anterior viaje» que llevó a José Inzenga de vuelta a Italia en 1877, una vez concluida la redacción del folletín.


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Leonardo Miucci

I concerti per pianoforte e orchestra di W. A. Mozart: le trascrizioni di J. N. Hummel

Il ventennio successivo alla morte di W. A. Mozart ha visto una prima fase di diffusione di molte delle opere che, durante la vita del compositore, non avevano ancora conosciuto la stampa; tra queste vi sono più della metà dell'intero corpus dei concerti per pianoforte e orchestra. L'interesse in questi anni verso la produzione mozartiana è testimoniato oltre che dai numerosi progetti editoriali (quelli di J. A. André prima e Breitkopf & Härtel immediatamente dopo), anche dal crescente numero di concerti, in contesti sia pubblici che privati, in cui queste opere venivano eseguite. L'inizio del secondo decennio dell'Ottocento segna la fine di una prima fase postuma di diffusione dei concerti mozartiani che lasciano progressivamente la scena alla produzione dei virtuosi coevi della tastiera: tra glia altri, J. N. Hummel, F. Ries, I. Moscheles, F. Kalkbrenner e così via. È proprio in questi anni, tuttavia, che iniziano ad apparire numerose trascrizioni per flauto, violino, violoncello e pianoforte di molti dei concerti di Mozart, oltre che di Haydn e di Beethoven. Tra i compositori protagonisti della creazione di questo vero e proprio “repertorio domestico” di largo consumo vi sono J. N. Hummel, M. Clementi, J. B. Cramer, J. P. Salomon, E. Müller, G. B. Cimador e F. Kalkbrenner. Lo studio di questo genere di repertorio, appartenente a quel momento di passaggio in cui si andava definendo lo stile romantico, permette di offrire ulteriori spunti di riflessione su numerosi aspetti del panorama musicale della prima metà dell'Ottocento, come la circolazione editoriale della musica per pianoforte e come questa generazione di musicisti aveva recepito, e di conseguenza tramandato, lo stile mozartiano. In tal senso il compositore che di certo poteva vantare maggiore autorità era Hummel, sia per la sua fama di grande virtuoso ma soprattutto perché conosceva a fondo il linguaggio mozartiano, essendovi stato a diretto contatto per molti anni della sua vita. Tra gli anni venti e trenta dell'Ottocento Hummel pubblicò, attraverso edizioni simultanee in diversi paesi d'Europa, la trascrizione di sette concerti per pianoforte ed orchestra, unitamente a sei sinfonie. L'analisi di questa selezione fatta dal compositore slovacco, oltre a delineare quali fossero i concerti di Mozart maggiormente apprezzati in quegli anni, è di grande utilità nello studio della prassi esecutiva; in particolare fornisce numerosi indicazioni sulla realizzazione degli abbellimenti: problematica, questa, particolarmente acuita nei tempi lenti, laddove la consolidata prassi di fine Settecento prevedeva la scrittura da parte del compositore solamente dei suoi fondamentali, lasciando alla estemporaneità dell'interprete il completamento della struttura musicale. Le trascrizioni di Hummel, partendo dal testo mozartiano, rappresentano in definitiva un'importante lente di ingrandimento per osservare da vicino come stavano cambiando la poetica e la tecnica pianistica, in stretto rapporto all'evoluzione organologica dello strumento.


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Marco Moiraghi

Il repertorio concertistico dell'Amar-Quartett e il suo ruolo nella diffusione della musica contemporanea (1921-1929)

L'Amar-Quartett fu uno dei gruppi cameristici più noti e apprezzati nella vita concertistica europea degli anni Venti del Novecento. Costituitosi quasi per caso nell'estate 1921 per supplire ad una improvvisa lacuna nella programmazione del Festival di musica contemporanea di Donaueschingen, in Germania, il quartetto era formato dai violinisti Licco Amar e Walter Caspar, dal violista Paul Hindemith e dal violoncellista Maurits Frank (in alternanza col violoncellista di riserva Rudolf Hindemith, fratello di Paul). Dopo un breve periodo di incertezza ed in seguito ad una più consapevole fondazione nel 1922, per sette anni l'Amar-Quartett fu protagonista di un'intensa opera di diffusione del repertorio quartettistico contemporaneo, senza peraltro tralasciare le composizioni dei maggiori autori del periodo classico-romantico. La prodigiosa varietà del repertorio concertistico dell'Amar-Quartett, dettagliatamente documentata da una preziosa ricerca d'archivio del musicologo tedesco Michael Kube, può essere oggi vista come uno dei più ambiziosi tentativi, nel primo Novecento, di assegnare al genere cameristico un ruolo primario ed essenziale nella promozione della “nuova” musica. Lo scopo del presente contributo è la disamina critica di tale repertorio, soffermandosi in particolare su quattro aspetti fondamentali: 1) la qualità delle numerose “prime” esecuzioni, da Jarnach a Hába, da Schuloff a Webern, da Krenek a Pfitzner; 2) la significativa ricorrenza di musiche di importanti autori contemporanei o del recente passato, con particolare insistenza su Debussy, Reger, Schönberg, Ravel, Bartók, Casella e Stravinsky; 3) il decisivo ruolo di diffusione dei tre Quartetti per archi più compiuti di Paul Hindemith, ossia il Terzo op. 16, il Quarto op. 22 ed il Quinto op. 32, che per generale consenso di critica nell'esecuzione dell'Amar-Quartett raggiunsero livelli interpretativi eccellenti (come testimoniano anche alcune registrazioni della fine degli anni Venti, dalle quali si propone un breve ascolto); 4) la natura stessa del recital quartettistico, che in virtù di una costante e sapiente mescolanza del repertorio classico e del repertorio contemporaneo riusciva spesso ad evitare la routine concertistica e a proporre un nuovo e più consapevole approccio all'ascolto. Si intende infine tracciare una sintesi dei luoghi e dei tempi dell'intera attività dell'Amar-Quartett, dai suoi esordi tedeschi nel 1921-22 alla sua rapida ascesa internazionale, con significative tappe in Austria, Italia, Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Scandinavia, Jugoslavia e Russia. Il quadro complessivo del repertorio e degli spostamenti di questo raffinato ed attivissimo ensemble strumentale può dare un'idea dell'alta considerazione in cui fu tenuto per tutta la durata della sua esistenza.


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Linda Page Cummins

The Bergamo Redaction of Divina auxiliante gratia

Divina auxiliante gratia, a compendium of modal theory drawn from the Lucidarium of Marchetto of Padua, survives in six fifteenth-century Italian manuscripts. One of these, in Bergamo, Biblioteca Comunale “Angelo Mai” MS MAB 21, is expanded through interpolations that more than double its length – from 16 chapters to 38 – before it breaks off, incomplete, mid-sentence. The paper surveys the interpolated material and the significance of its inclusion.
Eight interpolated chapters coordinate Marchetto's modal theory with doctrine frequently attributed to Guido, but actually deriving from the Dialogus de musica of Pseudo-Odo. While these chapters provide a more conventional alternative to Marchetto's theory, others supplement that theory: some survey the psalm tones, which Marchetto omitted; others survey classes of chants (antiphons, introits, and responsories) and their modal characteristics; some show how certain melodic characteristics serve as indicators of mode.
The redactor of this version of Divina also used interpolations to restore broad topics of the sort covered in the Lucidarium (fundamentals, for instance: letters, registers, proprieties, hexachords; more advanced topics, like coniunctae; also speculative matters including the various definitions of music and their implications, and the relation of theory to practice. He even added two passages referring to Marchetto's varieties of the semitone (enharmonic, diatonic, chromatic).
Another class of interpolations constitutes an extensive collection of versified theory rules of the sort that served primarily as aides-mémoire for practical musicians. A number of these are shared with the Palma choralis of Johannis de Olomons, a theorist with strong Lombard connections.
The manuscript was copied in its entirety by a Carmelite monk of Bergamo, Alessandro de Assolariis. As other texts in the collection are also idiosyncratic, it appears that Allesandro was the redactor as well as the scribe of this most interesting version of Divina.


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Peter S. Poulos

A Late Sixteenth-Century Endowment for Music at the Cathedral of Genoa

In 1596 the Italian painter Federico Barocci delivered his famous altarpiece, The Crucifixion with Three Saints, to the cathedral of San Lorenzo in fulfillment of a commission by the Genoese Doge Matteo Senarega. The painting was intended as the crowning work that would unite the themes of an elaborate renovation and dedication of the chapel of Saint Sebastian undertaken by the patriarch of one of the most notable families and important benefactors of the cathedral in the last quarter of the century. Among the endowments instituted by Senarega were those funding particular ceremonial rites and musical performances. Evidence for the realization of these requests can be discerned in the Motectorum quinis, et missae denis vocibus, liber primus published in 1597 by Simone Molinaro. In this paper it will be argued that the format and contents of this publication were inspired by and reflect, both ritually and symbolically, upon the establishment of art and music by Senarega. These findings will be supported through an analysis of the musical and textual sources, and will be discussed in the context of relevant biographical and historical data.


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Edite Rocha

Manuel Rodrigues Coelho's Flores de Música: Considerations about the inégalité

Flores de Música para o Instrumento de Tecla, & Harpa (Lisbon, 1620) by Manuel Rodrigues Coelho (ca. 1555-ca. 1635) is the earliest known published collection of original music compositions for keyboard and harp in Portugal. It takes as a point of departure the Art novamente inventada of Gonzalo de Baena (Lisbon, 1540), which includes intabulations of vocal works in an original alphabet-based tablature.
In the Prologue and «Particular warnings about playing», Coelho dedicates his work «to the players & professors of the Keyboard instrument». He clearly specifies that it was not his intention «to give reasons and documents for beginners to teach them how they should play with which fingers and with which 'air'». Rather, Coelho intends that his “Musical Flowers” should be for «advanced players». As well, he remarks that those who wished to play and to understand his work should have previous knowledge of the practice and the art of interpretation of the time.
In past decades, many considerations about the historically informed way to play the inégal, which are found in the “buen ayre” of Iberian Keyboard Music, have been presented. This communication therefore will analyse the interpretative considerations found in Iberian treatises and theories of the time that may have been used or considered by Manuel Rodrigues Coelho in his Flores. Of particular interest are the works of Thomas de Sancta Maria, Arte de tañer Fantasia (Valladolid, 1565) and Correa de Arauxo, Facultad Orgánica (Alcalá de Henares, 1626), as well as others that focus on the interpretation of Iberian keyboard music in the 16th and early 17th centuries.


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Francesco Rocco Rossi

Polonia-Spagna-Italia: il percorso della teoria della Coniuncta nel XV secolo e la ricezione italiana del cromatismo extra manum nel Liber Musices della Biblioteca Trivulziana di Milano

Il Liber Musices - conservato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano (Ms. 2146) - è un codice di teoria musicale scritto tra il 1484 e il 1492 da un enigmatico “Florentius” (per tradizione identificato in Fiorenzo de Faxolis) su commissione di Ascanio Maria Sforza. L'autore intese compendiare in un unico volume le conoscenze musicali dell'epoca spesso attingendo, però, a fonti teoriche divergenti rispetto al main stream dottrinale dell'epoca; al suo interno si rileva, quindi, l'afferenza al pensiero di autori pressoché ignoti e soprattutto la trattazione di argomenti insoliti per il panorama trattatistico dell'epoca. Fra questi la Coniuncta che occupa una posizione centrale all'interno del volume sebbene in Italia (e in genere nella trattatistica latina) non fosse presa in considerazione. La teoria della coniuncta prevedeva un progressivo aumento del numero di esacordi 'guidoniani' concedendo spazio, quindi al cromatismo: non più musica ficta, quindi, bensì note alterate che godevano di uno statuto paragonabile a quello dei 'legittimi' suoni della mano guidonica. Nel mio intervento intendo delineare i percorsi di questa teoria che, partendo dall'Europa dell'Est è approdata soprattutto in Spagna con l'unica (ma significativa) appendice italiana del Liber Musices. Parallelamente metterò in luce le differenze con la coeva (e più tradizionale) riflessione sulla musica ficta: differenze a volte solo di minima entità e di natura solo lessicale, ma che sottendono precise divergenze dottrinali.


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Guido Salvetti

Documento di riferimento per la Tavola rotonda su Le Biblioteche musicali nei Conservatori e nelle Università (sabato 25 ottobre 2008, ore 17 presso il Salone Furietti della Civica Biblioteca Angelo Mai, Bergamo)

Premesse. Con la legge 508/99 i Conservatori di Musica italiani hanno acquisito lo status di Istituzioni di Alta Cultura, là dove la pratica del comporre e dell'eseguire si dovrebbe inquadrare in un processo formativo che comprende “la formazione alla ricerca in campo musicale” (art. 2, c. 5) Tale “formazione alla ricerca” comprende, per il musicista, la costante esigenza di documentazione sulle fonti e di aggiornamento bibliografico. A quest'esigenza deve soccorrere la presenza di biblioteche accessibili, aggiornate e ben funzionanti.

La situazione attuale delle biblioteche musicali gestite dai Conservatori italiani presenta ciononostante alcune vistose anomalie, riguardanti

a) la vistosa differenza quantitativa e qualitativa, da situazione a situazione, tra le Biblioteche esistenti;

b) l'assenza, ovunque, di un organico specifico che garantisca le elementari funzioni di conservazione, di aggiornamento e catalogazione, di gestione informatica, e la fruizione da parte dei docenti, degli studenti e degli studiosi.

Prospettive

  • Lo strumento dell'autonomia dei singoli Conservatori dovrebbe comportare la possibilità, per ogni istituzione, di destinare alle proprie biblioteche risorse finanziare e di personale proporzionate all'importanza che si attribuisce alla propria biblioteca. Come per le istituzioni universitarie, questa autonomia deve poter permettere a ogni istituzione di convertire i posti in organico secondo le esigenze reali: ad esempio, “trasformando” posti di docenti o non docenti resisi disponibili per quiescenza in quote corrispondenti per altre figure professionali.

  • Nel contratto 2002-2005 si è già pervenuti alla formalizzazione di nuove figure professionali (“coordinatori”) riguardanti la biblioteca, che vadano ad aggiungersi al bibliotecario. Si tratta ora di riformulare quelle figure, giustamente definite da molti come “inammissibili e impossibili”, chiarendo che ogni biblioteca deve avere un suo organico, comprendente anche nuove figure di assistenti-bibliotecari e di catalogatori, nonché figure professionali portatrici competenze informatiche, oggi ineludibili.

  • Si auspica inoltre che, una volta definito in sede di contratto, questo organico sia reso operante da apposito provvedimento legislativo. Per evitare aggravi di spesa, sarebbe sufficiente subordinare l'attribuzione di questi nuovi posti in organico a corrispondenti risparmi su altre voci di bilancio dei singoli Conservatori.

 


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Roberto Scoccimarro

Una sconosciuta fonte per lo studio degli Intermezzi: Chiarchia e Retella , di compositore anonimo

Chiarchia e Retella è il titolo degli Intermezzi anonimi ritrovati in un faldone di contenuto eterogeneo nell'archivio dell'Abbazia di Montecassino, nel corso della catalogazione del fondo musicale. Dal momento della scoperta del manoscritto ho sempre ritenuto necessario un tentativo di inquadramento di questa sconosciuta composizione, anche grazie alla completezza e alla perfetta leggibilità della fonte. Il manoscritto appare, sulla base della carta e della grafia, copiato in un lasso di tempo prossimo alla prima rappresentazione, da ascrivere agli anni trenta-quaranta del Settecento e geograficamente all'area partenopea – come l'onomastica del titolo lascerebbe supporre.
Il primo passo della ricerca sarà una descrizione della fonte e delle altre composizioni contenute nel faldone. Seguirà una ricognizione nell'ambito della librettistica e dei manoscritti musicali appartenenti al genere degli Intermezzi nella prima metà del Settecento, nonché uno scandaglio della letteratura secondaria, nella speranza di individuare elementi per un'identificazione del librettista e del compositore. Come ulteriore obiettivo mi propongo un'analisi dettagliata del manoscritto musicale, da condurre in parallelo a quella di partiture coeve di Hasse, Pergolesi, Sarro e altri compositori, molte delle quali già studiate dai maggiori esperti di teatro musicale del Settecento; anche questo tassello dello studio potrebbe riservare preziosi elementi di identificazione, o quanto meno portare a un confronto formale e stilistico con il repertorio finora conosciuto. Il testo del libretto verrà allegato alla relazione, che potrebbe essere corredata inoltre da ascolti al computer dopo una parziale o integrale trascrizione della composizione.

 


Resoconto

La Civica Biblioteca Angelo Mai di Bergamo ha ospitato dal 24 al 26 ottobre 2008 il Quindicesimo Convegno Annuale della SIdM.

L'apertura del convegno è stata affidata a Giulio Orazio Bravi direttore della Biblioteca, Guido Salvetti presidente della SIdM e Marcello Eynard responsabile della sezione Musiche della Biblioteca. Al termine degli indirizzi di saluto si sono avviate le prime due sessioni parallele nella Sala Tassiana e nella Sala Papa Giovanni XXIII.

La sessione alla Sala Tassiana (presidente Paologiovanni Maione) si è aperta con Marie-Louise Catsalis che ha presentato la relazione Legitimate orphans. La studiosa ha lavorato su due lavori a tre voci, archi e b.c., conservati in un manoscritto presso la Bibliothèque Nationale di Parigi (Rès.Vma.945), entrambi descritti come 'serenata' sul frontespizio, cui sono stati dati i titoli Prologo a 3 voci e Intermedio a 3 voci. Il manoscritto porta il nome di 'Signor Scarlatti' e contiene una terza serenata a 3 voci di 'Signor Bononcini'. Al di là dell'attribuzione dell'autore (i lavori sono considerati spuri), lo studio di queste serenate merita molta attenzione per definire il genere musicale Serenata. Lo stesso dicasi per l'edizione di un'altra serenata, un anonimo Dialogo: Zefiro e Mergellina il cui manoscritto è conservato nell'Abbazia di Montecassino (5-F-15b) che presenta i tratti tipici del genere Serenata.
A seguire quattro interventi in gran parte concentrati sulla tradizione musicale partenopea: l'intervento di Roberto Scoccimarro (Una sconosciuta fonte per lo studio degli Intermezzi: 'Chiarchia e Retella', di compositore anonimo) ha analizzato gli Intermezzi anonimi Chiarchia e Retella ritrovati in un faldone nell'archivio dell'Abbazia di Montecassino. Scoccimarro ha tentato di inquadrare questa sconosciuta composizione, probabilmente rappresentata per la prima volta negli anni trenta-quaranta del Settecento e appartenente geograficamente all'area partenopea cui si è aggiunta un'analisi dettagliata del manoscritto musicale confrontata con partiture coeve di Hasse, Pergolesi, Sarro e altri compositori.
Terza relazione è stata quella di Claudio Bacciagaluppi ('Dignas laudes resonemus' di Pergolesi e il mottetto napoletano del primo Settecento) che ha analizzato il mottetto Dignas laudes resonemus di Pergolesi, finora poco considerato dagli studi pergolesiani. È stato finalmente possibile un raffronto e una valutazione delle fonti per risanare le lacune dell'autografo e ricostruire il testo della versione che si presume più antica; Dignas laudes resonemus si presenta come un tipico esempio di un genere che appare specificamente partenopeo e probabilmente vede il suo contesto più appropriato nelle occasioni festive meno rigidamente codificate, come ad esempio le Quarantore.
A seguire la relazione di Francesco Carreras e Francesco Nocerino (I fabbricanti di strumenti a fiato a Napoli nel Settecento e Ottocento) ha approfondito lo studio sui fabbricanti di strumenti a fiato a Napoli, che rispetto ad altre tipologie strumentali non ha avuto ancora adeguate ricerche specifiche. Lo studio ha permesso di tracciare un primo quadro esauriente sulla materia.
Ha chiuso la prima sessione del convegno Marina Marino con la relazione Musica e Spettacolo nel 'Diario napoletano' di Carlo de Nicola (1798-1825): la scoperta e la diffusione del Diario napoletano si deve a Giuseppe De Blasiis che nel 1906 curò la pubblicazione del manoscritto, conservato presso la Società di Storia Patria di Napoli. Nel 1999 vi è stata una riedizione completa in tre volumi, per l'editore Luigi Regina di Napoli. La Marino si è soffermata su tutte le notizie di musica e spettacolo riportate nel Diario, dando ad es. nuova luce sulla presenza e l'attività napoletana di Paisiello e Rossini, sulle feste laiche e religiose, sui rapporti fra politica e teatro nel complesso avvicendamento politico di quel periodo.

In contemporanea alla Sala Papa Giovanni XXIII Paola Besutti ha presieduto la sessione dedicata alla musica antica che si è aperta con l'intervento di Peter S. Poulos A Late Sixteenth-Century Endowment for Music at the Cathedral of Genoa: nel 1596 in occasione della donazione del Crocifissione con tre santi del pittore Federico Barocci alla Cattedrale di San Lorenzo di Genova, realizzata su commissione del Doge Matteo Senarega, venne composto Motectorum quinis, et missae denis vocibus, liber primus di Simone Molinaro, pubblicato l'anno successivo. Nella sua relazione Poulos argomenta – attraverso l'analisi della musica e del testo dei mottetti – come l'opera di Molinaro sia ispirata e rifletta i temi di rinnovamento nelle arti e nella musica voluti da Senarega.
Edite Rocha in Manuel Rodrigues Coelho's 'Flores de Música': Considerations about the 'inégalité' ha analizzato la raccolta delle prime originali composizioni per tastiera portoghesi di Manuel Rodrigues Coelho pubblicate a Lisbona nel 1620. La Rocha ha evidenziato come i Flores de Música fossero destinati a musicisti già avviati allo studio dello strumento; ha poi analizzato e confrontato i Flores con alcuni trattati iberici coevi.
Alberto Mammarella con la relazione Macro e micro strutture de 'Il Primo Libro de Madrigali' di Ippolito Sabino (1570) ha focalizzato l'attenzione sulla prima pubblicazione di Ippolito Sabino, maestro di cappella nella Santa Casa del Ponte di Lanciano. La silloge si apre con una dedicatoria indirizzata ad Alberto Acquaviva d'Aragona e composta da ventinove madrigali a cinque voci. Dal punto di vista delle scelte poetiche, Il Libro è in linea con il grande culto petrarchesco del tempo. Per ciò che riguarda l'aspetto musicale, la tecnica polifonica risulta di una varietà di soluzioni contrappuntistiche, dall'imitazione canonica a forme di contrappunto libero, fino alla omofonia tra le parti. Sono stati presentati e discussi i criteri di organizzazione generale della silloge e le peculiarità compositive di ciascun madrigale.
Ha chiuso la seconda sessione Domenico De Cesare con la relazione Il Graduale 11 dell'Archivio diocesano di Ruvo di Puglia in cui lo studioso ha analizzato un manoscritto in canto fratto redatto probabilmente nel XVII secolo. Il contributo ha evidenziato in particolare i brani di un Ordinarium Missae a due voci in canone le cui intonazioni non trovano riscontro in nessuno dei più diffusi repertori. La più antica testimonianza conosciuta, infatti, è il celebre Credo contenuto nei due kyriali seicenteschi di Molfetta e Gaeta: la ricerca ha evidenziato elementi che inducono a ipotizzare una forte parentela tra questi repertori e avvalora l'importanza del codice aprendo nuovi orizzonti di ricerca nell'ambito degli studi sul canto fratto.

Dopo la pausa pranzo i lavori del convegno sono ripresi alle ore 15: nella Sala Tassiana, Francesca Seller ha presieduto la terza sessione, e in contemporanea alla Sala Papa Giovanni XXIII Agostino Ziino presiedeva la quarta. Il primo intervento alla Sala Tassiana è stato quello di Elena Abbado che ha presentato Rossini e il Teatro del Cocomero di Firenze: novità drammaturgiche emerse dagl'inediti documenti dell'Accademia: l'imminente riapertura del seicentesco Teatro Niccolini, già Teatro del Cocomero ha ispirato la relazione della Abbado che si è concentrata su L'occasione fa il ladro di Rossini, nella sua prima rappresentazione fiorentina programmata nella stagione di autunno 1825 in questo teatro. La Abbado ha dimostrato che la messinscena in realtà non ebbe mai luogo e che al suo posto fu rappresentata una Cenerentola, inedita alle cronache e a tutti gli effetti opera di "primo livello".
L'intervento successivo di Irene Bottero e Ugo Piovano ha riguardato La vocalità di Meyerbeer e i problemi nella diffusione delle sue opere in Italia. Dopo aver delineato sinteticamente la figura di Meyerbeer, i relatori hanno evidenziato il suo grande successo a Parigi, l'ampia diffusione nei principali teatri europei, cosa più rara e difficoltosa per la recezione in Italia, ostacolata soprattutto dalle caratteristiche peculiari del genere parigino, troppo sfarzoso per la media dei teatri italiani. Le difficoltà incontrate da Meyerbeer in Italia vanno però cercate anche nella sua vocalità, che fonde insieme le caratteristiche belcantistiche con quelle del canto di forza, tanto che le cronache dell'epoca e le prime incisioni discografiche testimoniano che alcuni interpreti eseguivano solo in parte i suoi difficili vocalizzi.
A seguire l'intervento La drammaturgia per musica di Luisa Bergalli: l''Agide' e l''Elenia' di Arianna Frattali che ha analizzato i due principali drammi per musica della Bergalli, attiva a Venezia tra il 1703 e il 1779 come poetessa d'Arcadia, drammaturga, traduttrice e impresaria teatrale, allieva di Zeno, e moglie di Carlo Gozzi. L'Agide e l'Elenia (composti tra il 1725 e il 1730) si inseriscono nel contesto della "riforma" del melodramma auspicata da Zeno. Già nell'Agide re di Sparta, andato in scena al Teatro Giustinian di San Moisé, si rispetta la conformità dei caratteri, l'unità dell'azione, l'eliminazione o almeno riduzione dell'inverosimile, la scelta di personaggi eroici. L'Elenia, che conquistò le scene del Teatro Sant'Angelo cinque anni dopo, procede con maggiore sicurezza su queste linee guida. Dall'analisi dei due libretti, emerge una Bergalli sensibile ritrattista del mondo delle passioni femminili, ma anche attenta osservatrice dei conflitti maschili.
E ancora sul ruolo femminile nell'arte si è concentrato l'intervento di Angela Buompastore (Francesca Nava d'Adda ed Eugenia Appiani, due modi di essere compositrici a metà Ottocento) che ha delineato la figura di due donne compositrici unite dalla frequentazione di circoli privati milanesi e non nell'800: Francesca Nava d'Adda autrice di alcuni brani di musica sacra e soprattutto di musica strumentale, ed Eugenia Appiani, figlia di Giuseppina Appiani, nota amica di Donizetti, Bellini e Verdi, che pubblicò i suoi lavori, principalmente per pianoforte, presso Ricordi. La ricerca ha analizzato alcune delle composizioni di queste due dilettanti e le ha confrontate con i lavori di altri autori coevi.
L'intervento successivo di Matteo Mainardi («Non possiamo andare a teatro, dunque divertiamoci in chiesa»: un'analisi della contaminazione tra profano e sacro nel repertorio organistico italiano del XIX secolo) ha analizzato la musica per organo pubblicata in Italia (in particolare a Milano) nel corso del XIX secolo limitandosi alla produzione a stampa nella quale è stato possibile riscontrare un nesso preciso tra un brano organistico e un'opera lirica. In una prima fase (1823-1846 ca.), quella degli editori Carulli e Bertuzzi, è stata riscontrata una prossimità temporale molto stretta tra rappresentazioni teatrali e pubblicazione di loro estratti parafrasati per organo. Una seconda fase vede l'attività degli editori Canti e Vismara proseguire in questo tipo di pubblicazione con la formula della vendita in abbonamento. L'atteggiamento di Ricordi invece divenne più perentorio sul finire del secolo, tanto che nel Gran Catalogo non riportò più alcuna delle musiche che i precedenti editori avevano pubblicato: questo si spiega con l'appoggio che Ricordi aveva dato al nascente movimento ceciliano.
Non potendo essere presente Inmaculada Matía Polo, la sua relazione La literatura de viajes en José Inzenga: 'Impresiones de un artista en Italia' (1876) è stata letta a fine sessione. La ricerca ha riguardato José Inzenga (1829-1891), considerato una delle principali figure della cultura spagnola del XIX secolo. Compositore, musicologo e critico si è dedicato oltre che alle zarzuelas, anche all'insegnamento, alla composizione di canciones, alla critica e alla fondazione di istituzioni dedicate alla musica. Nel 1876 pubblica a Madrid Impresiones de un artista en Italia, che include riflessioni sulla situazione musicale in Italia, in particolare sullo studio del canto. Queste impressioni furono pubblicate l'anno successivo anche da casa Ricordi come supplemento alla Gazzetta Musicale.

La sessione parallela si è svolta alla Sala Papa Giovanni XXIII, presieduta da Agostino Ziino, e si è aperta con la relazione di Elsa De Luca Il canto dell'Exultet nell'antica liturgia beneventana. La relazione ha avuto per oggetto l'esito dell'analisi paleografica e musicale di oltre quaranta testimoni dell'Exultet in scrittura beneventana, tra cui si segnalano i ventisette rotoli dell'Exultet. Sono state per la prima volta individuate e delineate le fasi di sviluppo ed evoluzione della melodia dell'Exultet: dai testimoni più antichi scritti in notazione beneventana in campo aperto, all'adozione nel 1058 della nuova versione franco-romana del testo della praefatio, cioè la seconda parte del canto dell'Exultet cui segue cronologicamente una fase di progressiva disgregazione della omogeneità caratteristica del primo periodo. Si sono individuate poi delle specifiche tradizioni locali che si riverberano anche nei manoscritti di epoca successiva prodotti nelle stesse aree.
Elena Bugini nella relazione Annotazioni sull'iconografia musicale di fra' Giovanni da Verona ha presentato una ricerca su Giovanni da Verona, il miglior rappresentante della tarsia olivetana tra fine XV ed inizi XVI secolo, che coinvolse nelle sue rappresentazioni un significativo repertorio di frammenti e strumenti musicali. La studiosa si è soffermata sulla mise au point dell'iconografia musicale di questo lignarius opifex come emerge dall'analisi dell'incunabolo delle sue sopravvivenze: il coro di Santa Maria in Organo a Verona, intagliato ed intarsiato tra 1494 e 1499 per valorizzare la Madonna Trivulzio del Mantegna.
Polonia-Spagna-Italia: il percorso della teoria della 'Coniuncta' nel XV secolo e la ricezione italiana del cromatismo extra manum nel 'Liber Musices' della Biblioteca Trivulziana di Milano è stato il titolo della relazione di Francesco Rocco Rossi che si è occupato di delineare i percorsi della teoria della Coniuncta: unica appendice italiana si trova nel Liber Musices, conservato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano (Ms. 2146), un codice di teoria musicale scritto tra il 1484 e il 1492 da un enigmatico "Florentius" (Fiorenzo de Faxolis). Florentius intese compendiare in un unico volume le conoscenze musicali dell'epoca, spesso attingendo però a fonti teoriche divergenti rispetto al main stream dottrinale dell'epoca; fra gli argomenti insoliti trattati anche la Coniuncta, la cui teoria prevedeva un progressivo aumento del numero di esacordi 'guidoniani' concedendo spazio al cromatismo: note alterate che godevano di uno statuto paragonabile a quello dei 'legittimi' suoni della mano guidonica.
Ha chiuso la sessione Giuseppe Fiorentino con Relazioni musicali tra Italia e Spagna nella prima metà del XVI secolo: l'anomalia delle pavane ternarie: nell'ambito del repertorio spagnolo di musica strumentale del Rinascimento si trovano in alcune raccolte spagnole alcune pavane anomale scritte con un ritmo ternario invece che con il ritmo binario tipico di questa danza. Alla luce dei suoi studi, Fiorentino può asserire che tutte le pavane ternarie sono in realtà delle gagliarde di origine italiana; durante il processo di trasmissione di questo repertorio furono confusi il nome "pavana" con il nome "gagliarda". Questo avvenne negli anni '30 del XVI secolo, nell'ambito della corte di Fernando d'Aragona, duca di Calabria e vicerè di Valencia. Le relazioni dinastiche tra il duca di Calabria e gli Este di Ferrara, permettono di spiegare il ruolo che ebbe la corte di Valencia nell'introduzione in Spagna di temi musicali originari dell'Italia del nord.
Al termine della prima giornata di studi in serata presso la Basilica di Santa Maria Maggiore si è tenuto un concerto di musica vocale con l'esecuzione di mottetti a 1 e 2 voci e basso continuo affidato al soprano Lavinia Bertotti, il tenore Vincenzo Di Donato, con Vania Dal Maso al basso continuo. Il concerto è stato realizzato con la collaborazione della Congregazione Misericordia Maggiore di Bergamo.

Il convegno è proseguito nella mattinata di sabato 25 ottobre.
Nella Sala Tassiana, Licia Sirch ha presieduto la sessione in gran parte dedicata a documenti musicali della città di Bergamo, che si è aperta con la relazione Singing exercises from a Bergamo convent di Jan Herlinger che tratta di un manoscritto conservato presso la Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo (MS MAB 21 olim S.IV.37), copia del 1487 di un manoscritto proveniente dal convento delle Carmelitane di Bergamo. Nel documento sono trattate le regole fondamentali della musica, i modi, il contrappunto e la notazione mensurale abbinate a una sorta di raccolta di esercizi di canto che sono stati analizzati dal relatore.
Sullo stesso manoscritto ha incentrato la sua relazione Linda Page Cummins (The Bergamo Redaction of 'Divina auxiliante gratia') in particolare sulla Divina auxiliante gratia, un compendium di teoria modale che attinge dal Lucidarium di Marchetto da Padova ma con numerose interpolazioni che sono state analizzate dalla studiosa.
Luigi Collarile con la relazione 'Dans la Bibliothèque du Roy'. Aspetti della ricezione in Francia di musica sacra di Giovanni Legrenzi ha analizzato l'importante circolazione in Francia della produzione musicale sacra di Legrenzi tramandata in diverse fonti manoscritte francesi redatte tra fine '600 e inizi '700. L'intervento ha presentato questo nucleo di manoscritti, alcuni dei quali del tutto sconosciuti, mettendo in luce diversi aspetti del contesto nel quale sono stati redatti e i legami con diversi personaggi orbitanti nella sfera della cappella reale.
Ancora Bergamo al centro della relazione di Fabrizio Capitanio (I fondi musicali storici della Biblioteca Donizetti di Bergamo: cappella di S. Maria Maggiore, Piatti-Lochis, Istituto Musicale) che ha studiato le vicende storiche e i fondi musicali più importanti della biblioteca voluta e creata da Johann Simon Mayr nel 1806, a supporto delle nascenti Lezioni Caritatevoli di Musica di Bergamo.
Marcello Eynard e Paola Palermo (La biblioteca musicale di Gianandrea Gavazzeni donata alla Civica Biblioteca A. Mai di Bergamo: annotazioni, appunti e riflessioni) hanno presentato le musiche a stampa appartenute a Gianandrea Gavazzeni e donate alla Biblioteca bergamasca nel 2007. Si tratta in prevalenza di musiche legate al repertorio operistico, sinfonico e strumentale in genere con edizioni, soprattutto straniere, di rara reperibilità. Interessanti risultano tutte le annotazioni di Gavazzeni presenti nei volumi, che ci palesano la sua attività di studio soprattutto in vista dell'esecuzione.

Teresa M. Gialdroni ha presieduto la sessione parallela della mattinata nella Sala Papa Giovanni XXIII che si è aperta con l'intervento di Vania Dal Maso «La buona maniera di cantare… come regolatamente si deue». Indagine sulla prassi del diminuir tra Cinque e Seicento. La Dal Maso ha basato il suo intervento assumendo il Secondo libro delli motetti (Venezia, 1614-1615) di Bartolomeo Barbarino da Fabriano detto il Pesarino quale punto di riferimento. Barbarino propone - caso singolare - per ciascuno dei venticinque mottetti una versione semplice, e una "passaggiata". La relazione ha ripercorso le dichiarazioni di teorici e compositori riguardo l'argomento "passaggio" e attraverso lo studio accurato dei mottetti in duplice versione una più precisa messa a fuoco sulla prassi esecutiva.
Le cantate di Carlo Caproli (1614-1668): eterogeneità testuale e stilistica di Tiziana Affortunato ha analizzato le cantate da camera del compositore Carlo Caproli (Roma, 1614-1668), detto anche Carlo 'del Violino'. Organista, violinista e maestro di cappella di varie chiese romane e al servizio presso importanti famiglie romane, è oggi ricordato quale autore de Le Nozze di Teti e di Peleo, la comèdie italienne su testo dell'abate Francesco Buti. Nel 1913 è pubblicato un primo parziale elenco delle opere del musicista romano: la peculiarità del suo corpus di composizioni merita attenzione quale documento storico di un preciso periodo di evoluzione per il genere Cantata, che con Caproli vive una fase di sperimentazione. L'intervento ha illustrato le modalità di incontro tra il musicista e i testi poetici in tre percorsi (documentario, formale, stilistico).
Mariateresa Dellaborra («Qual bellissima imago»: arie e cantate del XVIII secolo in due manoscritti pavesi) ha analizzato due manoscritti conservati nella Biblioteca universitaria di Pavia che tramandano arie e cantate a una e due voci del XVIII secolo: Aldini 423 e Ticinesi 696. Il primo contiene tredici cantate per varie voci, ventotto arie e due duetti con basso continuo; fra molte anonime, quattro cantate di Alessandro Scarlatti e due di Giovanni Bononcini. Stesso esame è stato svolto per il Ticinesi 696. Il manoscritto è stato compilato da più copisti e comprende complessivamente 67 brani musicali, tre dei quali soltanto recano il nome dell'autore: due cantate per soprano e b.c. di Bononcini e una sconosciuta cantata per soprano e b.c. di Francesco Antonio Mamiliano Pistocchi. Per entrambi i manoscritti la relatrice ha formulato ipotesi di datazione e attribuzione.
E sulla cantata romana si è incentrata anche la relazione di Giulia Giovani (Le fonti a stampa della cantata da camera: il caso romano). Partendo dall'intera, seppur esigua rispetto ai manoscritti, produzione a stampa della cantata fra il 1620 e il 1750, la relatrice si è concentrata sulle quattro edizioni romane che costituiscono un caso particolare in quanto, collocate in spazi temporali tra loro distanti, rappresentano due momenti diversi di diffusione del genere: le cantate stampate da Robletti risalgono agli anni '20 del Seicento e sono fra le prime testimonianze editoriali del repertorio, quelle più tarde prodotte da Mascardi rispondono perfettamente ai canoni formali tipici del genere oramai affermatosi.
Ha chiuso la sessione Maria Rosaria Cannatà con la relazione Peter Arnold Heise: un genio restituito alla memoria. Il lavoro ha inteso rivalutare la figura di Heise, compositore danese (1830-1879) che pur inserendosi nella cornice del Romanticismo, presenta aspetti di spiccata individualità: in tutta la sua produzione (Lieder, un'opera teatrale, musiche di scena, una ouverture, una sinfonia, cantate e diversa musica da camera) la cultura musicale internazionale si fonde con le sonorità precipue del suo territorio di origine come nel ciclo Dyveke's Lieder, composta su testi di Drachmann.

Nel pomeriggio di sabato, presso il Salone Furietti, si è svolta l'Assemblea annuale dei soci SIdM cui è seguita la presetazione del progetto BAMI (Biblioteca Aperta Milano) a cura di Emilia Groppo e Gabriele Gamba; a seguire la Tavola rotonda "Problemi e prospettive delle biblioteche musicali nei Conservatori e nelle Università" a cura di Guido Salvetti in cui sono intervenuti oltre al presidente SIdM, Laura Ciancio funzionario dell'Istituto Centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche e Agostina Zecca Laterza presidente di IAML-Italia. Partendo dalla considerazione della situazione attuale delle biblioteche musicali dei Conservatori italiani che presenta alcune vistose anomalie (differenze quantitative e qualitative tra le Biblioteche esistenti e l'assenza, ovunque, di un organico specifico che garantisca le elementari funzioni pertinenti a una biblioteca), l'auspicio che è venuto fuori durante il dibattito, è stato che lo strumento dell'autonomia dei singoli Conservatori comporti la possibilità, per ogni istituzione, di destinare alle proprie biblioteche risorse finanziarie e di personale proporzionate all'importanza che si attribuisce alla propria biblioteca, prevedendo la formazione di nuove figure professionali ("coordinatori"), che vadano ad aggiungersi a quella di bibliotecario.

Le ultime due sessioni del convegno si sono svolte nella mattina di domenica 26 ottobre.
Nella Sala Tassiana, Bianca Maria Antolini ha presieduto la sessione che si è aperta con l'intervento di Alessandro Mastropietro dedicato a Boccherini (I Trii a due violini e violoncello del giovane Boccherini: cornice storica, stile, filologia delle fonti a stampa) e in particolare al alcuni suoi Trii (nel catalogo autografo indicati come op. 1 – G77-82, op. 4 – G83-88, e op. 6 – G89-94), pubblicati tra il 1767 e il 1771 da editori parigini, e stampati da numerosi altri editori europei. La comparazione tra le fonti a stampa conferma quanto già emerso da altri studi dedicati a Boccherini: la tradizione del testo si basa sulla prima edizione parigina, riconoscendosi le altre edizioni come esemplate a partire dal testo della prima. Unica eccezione i Trii op. 6, stampati a Madrid da Palomino nel 1771 parallelamente alla loro prima edizione per Vénier, e ristampati dalle medesime lastre a Venezia da Marescalchi.
Anthony Hart (Who was Dr Charles Burney's mysterious Monsignor Reggio?) ha indagato su un certo Monsignor Reggio che Burney ebbe modo di conoscere a Roma nel 1700 durante il suo viaggio che lo portò a Roma, per il suo libro The History of Music. Il 26 settembre Burney annota nel suo diario un certo prelato, Monsignor Reggio, "a pretty good composer and performer on the harpsichord and violoncello". Studiando alcune annotazioni su manoscritti nella Collezione Santini nella Diözensanbibliothek in Münster, Hart ha individuato le origini di Monsignor Reggio in una nobile famiglia siciliana del XIX secolo legata alla nobiltà romana. Inoltre è stato possibile concludere che Reggio è stato proprietario di cinque volumi di sonate per tastiera di Domenico Scarlatti conservate nella Collezione Santini e scriba di molti manoscritti ritrovati dentro i volumi.
La relazione di Alessandro Lattanzi Il nuovo catalogo tematico delle opere di Luigi Gatti, 1740-1817 è stata letta non essendo potuto intervenire l'autore. Ultimo Kapellmeister italiano a Salisburgo e diretto superiore di Leopold Mozart e Michael Haydn, Gatti vanta una produzione già oggetto di un'ampia ricognizione critica ad opera di Monika Gehmacher nel 1959. Da allora, i progressi nella catalogazione delle fonti musicali hanno reso indispensabile la redazione di un nuovo catalogo tematico, di cui è imminente la pubblicazione del primo volume. Il lavoro si colloca all'interno di una più ampia serie di iniziative promosse dal Conservatorio di Mantova, che comprende anche l'organizzazione di un convegno di studi, concerti e incisioni discografiche.
L'intervento di Leonardo Miucci si è soffermato su I concerti per pianoforte e orchestra di W. A. Mozart: le trascrizioni di J. N. Hummel. All'inizio del secondo decennio dell'Ottocento iniziano ad apparire numerose trascrizioni per flauto, violino, violoncello e pianoforte di molti dei concerti di Mozart, fra cui anche quelle di Hummel, che fra gli anni venti e trenta dell'Ottocento pubblicò, attraverso edizioni simultanee in diversi paesi d'Europa, la trascrizione di sette concerti per pianoforte e orchestra, unitamente a sei sinfonie. Questi lavori si presentano di grande utilità nello studio della prassi esecutiva: fornisce ad es. indicazioni sulla realizzazione degli abbellimenti ma sono anche un importante indizio sui cambiamenti della poetica e della tecnica pianistica, in stretto rapporto all'evoluzione organologica dello strumento.
Ultima relazione della sessione è stata quella di Gaia Bottoni La ricezione delle opere per tastiera di Bach in Italia tra Otto e Novecento e l'edizione di Pittarelli-Santinelli del 'Clavicembalo ben temperato' (Libro I). La Bottoni ha ricostruito le fasi di realizzazione della prima edizione italiana del Libro I del Clavicembalo ben temperato, stampata a Roma nel 1844 presso la litografia di Pittarelli e Santinelli; ha fornito informazioni importanti sul dedicatario dell'opera, Ludwig Landsberg, e ha proseguito l'analisi con un lavoro di collazione dell'edizione romana e delle prime edizioni degli editori Simrock, Nägeli e Hoffmeister & Kühnel. Lo studio è stato corredato da due appendici: un elenco completo delle composizioni bachiane pubblicate in Italia dal 1843 al 1946 e lo schema riassuntivo dei risultati della collazione tra le prime edizioni del Clavicembalo (Libro I).

L'ultima sessione, parallela a quella nella Sala Tassiana, è stata presieduta da Roberto Giuliani nella Sala Papa Giovanni XXIII e si è concentrata sulla produzione musicale del Novecento, a partire dalla relazione di Tommaso Colafiglio Dalle teorie compositive di Slonimsky ad una nuova impostazione dell'armonia. La ricerca ha presentato un sistema alternativo di concepire il ragionamento armonico al fine di superare le problematiche riguardanti l'organizzazione delle note all'interno dello spazio temperato. Il lavoro è stato impostato su un trattato di Nicolas Slonimsky Thesaurus of Scales and Melodic Pattern sul quale sono state proposte delle soluzioni pratiche di interpretazioni, alcune anche nuove rispetto a Slonimsky. Da ciò Colafiglio ha impostato la sua personale teoria mirata all'individuazione di alcune cellule melodiche che permettono tutte le possibili scale e costruzioni melodiche e armoniche nello spazio temperato; il lavoro si avvale di un software a cura dell'autore.
Marco Moiraghi nel suo intervento Il repertorio concertistico dell'Amar-Quartett e il suo ruolo nella diffusione della musica contemporanea (1921-1929) ha ripercorso la storia di uno dei gruppi cameristici più noti nell'Europa degli anni venti del Novecento. Costituitosi nel 1921, il quartetto era formato dai violinisti Licco Amar e Walter Caspar, dal violista Paul Hindemith e dal violoncellista Maurits Frank (in alternanza con Rudolf Hindemith). Moiraghi si è soffermato in particolare su quattro aspetti dell'ensemble: 1) la qualità delle numerose prime esecuzioni; 2) la ricorrenza di musiche di importanti autori contemporanei o del recente passato; 3) il ruolo di diffusione dei tre Quartetti per archi più compiuti di Paul Hindemith (n. 3 op. 16, n. 4 op. 22, n. 5 op. 32); 4) la natura stessa del recital quartettistico.
Heitor Villa-Lobos and Getúlio Vargas: Indoctrinating Children through Music Education è il titolo della relazione di Gabriel Ferraz che ha analizzato il ruolo fondamentale del compositore brasiliano Villa-Lobos dal 1930 al 1945 nel mettere appunto - durante la dittatura di Getúlio Vargas - un sistema educativo basato sulla musica, nella convinzione che l'educazione musicale potesse contribuire all'unità nazionale e aiutasse i giovani a crescere nell'esaltazione dei valori politici, sociali e culturali del Brasile.
Ultimo intervento in programma quello di Alberto Fassone (Alcuni aspetti del pensiero estetico di Carl Dahlhaus nel loro rapporto con l'ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson) che ha impostato il suo studio a partire dal problema dell'identità dell'opera musicale affrontato da Dahlhaus in numerosi saggi degli anni settanta e ottanta del 900, con un ricorso al concetto di "tradizione", la cui continuità o discontinuità costituisce il fondamento dell'identità stessa delle opere. La forza che Dahlhaus riconosce alla "tradizione", osserva Fassone, non è tuttavia meno grande che in Gadamer. Altre relazioni sono state poste fra il pensiero estetito di Dahlhaus e la teoria estetica della formatività di Luigi Pareyson.

Sara Ciccarelli