Regione Sicilia - Assessorato
Beni Culturali

Università degli Studi di Palermo

Regione Sicilia Assessorato al Turismo

Palermo, Steri, Piazza Marina - Politeama Garibaldi, Piazza Ruggero Settimo

26-28 ottobre 2001

Programma e abstract

Venerdì 26 ottobre. Steri (ore 9.30-13)
Indirizzi di saluto

  • Giuseppe Silvestri, Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Palermo
  • Salvatore Cuffaro, Presidente della Regione Siciliana
  • Guido Lo Porto, Presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana
  • Fabio Granata, Assessore Beni Culturali della Regione Siciliana
  • Francesco Cascio, Assessore Turismo della Regione Siciliana
  • Giovanni Angileri, Commissario Straordinario dell'Ente Autonomo Orchestra Sinfonica Siciliana
  • Bianca Maria Antolini, Presidente della Società Italiana di Musicologia

Musica e identità culturale. Nazionalismi, matrici etniche e «contaminazioni» nella tradizione scritta e orale, presiede Giorgio Adamo

  • Marianne Betz, Alla ricerca di un'identità americana: George W. Chadwick. Abstract.
  • Alessandro Bratus, Animals dei Pink Floyd e Animal Farm di George Orwell. Elementi di continuità con la letteratura favolistica inglese. Abstract.
  • Monica Sanfilippo, La musica delle comunità ellenofone della Calabria. Abstract.
  • Luca Conti, Dinamiche politiche e scelte culturali del primo nazionalismo musicale messicano. Abstract.

 

Venerdì 26 ottobre (ore 15.30-17)
Medioevo e Rinascimento: problemi di filologia musicale e prassi esecutiva, presiede Agostino Ziino

  • Kitti Messina, La produzione vocale profana di Mogens Pedersøn: incontro tra un musicista danese e il madrigale italiano. Abstract.
  • Silvia Scozzi, Il problema dell'esecuzione vocale delle Cantigas de Santa Maria. Abstract.
  • Carlo Fiore, Chanter les regretz: aspetti di prassi esecutiva negli chansonniers di Margherita d'Austria. Abstract.

 

Venerdì 26 ottobre (ore 17.30-19)
Relazioni libere I, presiede Paolo Emilio Carapezza

  • Daniela Capogreco, Musica tra scienza e arte in Cassiodoro. Abstract.
  • Marco Della Sciucca, La musica in forma di dialogo nel Cinquecento. Abstract.
  • Massimo Privitera, Monteverdi e i refoli di Zefiro. Abstract.

Comunicazioni

  • Lilia Flavia Ficcadenti, Frammenti notati di un breviario-monastico del XII secolo a Napoli: una nuova fonte per la liturgia di San Gennaro. Abstract.

 

Venerdì 26 ottobre (ore 19.30)
Concerto
Picci Ferrari e Mití Amari, soprani
Silvio Natoli, liuto
Musiche di Sigismondo D'India e Johannes Hieronymus Kapsberger

 

Sabato 27 ottobre. Politeama Garibaldi (ore 9.30-13)
L'orchestra nel Novecento, presiede Amalia Collisani

  • Marco Russo, Suono ideale e suono reale. Lo spazio come elemento di disgregazione dell'unità orchestrale. Abstract.
  • Carlo Benzi, Ricerca timbrica e chiarezza formale nelle composizioni italiane per strumento solista e orchestra (1960-1980). Abstract.
  • Alessandro Rigolli, Il Philip Glass Ensemble: caratteri dell'orchestra nell'Einstein on the beach. Abstract.
  • Laura Zattra, Scrittura orchestrale e progettazione informatica nel Perseo e Andromeda di Salvatore Sciarrino. Abstract.

Relazioni libere II, presiede Marco Capra

  • Maria Gabriella Cerchiara, Poetica del gesto e materiale sonoro in Lux Aeterna (1971) di George Crumb. Abstract.
  • Carmela Bongiovanni, Per una protostoria della romanza da salotto italiana: le ariette e i duetti di Ferdinando Paer. Abstract.

Comunicazioni

  • Antonia Alberta Ianne, La valutazione delle risorse Internet per la ricerca musicologica. Abstract.
  • Marco Giuliani, Una base dati delle raccolte stampate di laudi in lingua italiana del XVI e XVII secolo. Abstract.

 

Sabato 27 ottobre. Politeama Garibaldi (ore 15.30-19)
Relazioni libere III
Presiede Roberto Pagano

  • Valeria De Lucca, Le Sonate per camera a violino e violoncello di vari autori: un itinerario di ricerca tra iconografia e analisi musicale. Abstract.
  • Francesco Izzo, L'opera buffa e il Risorgimento: 1831-1848. Abstract.
  • Rosy Moffa, La lirica da camera in Piemonte tra le due guerre: compositori, musiche, testi. Abstract.
  • Anthony Del Donna, La gestione dell'orchestra del Teatro San Carlo nel tardo Settecento a Napoli. Abstract.

Comunicazioni

  • Rosa Perrotta, Francesco Cilea e il Conservatorio di Musica «San Pietro a Majella» di Napoli (1916-1935). Abstract.
  • Alfredo Tarallo, Il Galateo dei teatri: vizi e difetti sulla scena musicale di primo Ottocento. Abstract.
  • Giuseppina Mascari, Il «Corriere delle Dame»: le notizie musicali degli anni 1804-1818. Abstract.
  • Valentina Marangi, Verso un thesaurus in materia di legislazione sui beni e le attività musicali. Abstract.
  • Michela Niccolai, Musica sacra e Opera nella seconda metà dell'Ottocento: la Messa a 4 voci di Giacomo Puccini. Abstract.

 

Sabato 27 ottobre (ore 21.15)
Concerto
Orchestra Sinfonica Siciliana
Ludwig van Beethoven, Missa solemnis in re maggiore, op. 123

 

Domenica 28 ottobre. Politeama Garibaldi (ore 9-13)
Assemblea ordinaria dei soci SIdM.

La Società Italiana di Musicologia ringrazia il Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Palermo, l'Ente Autonomo Orchestra Sinfonica Siciliana, l'Assessorato Regionale ai Beni Culturali della Regione Siciliana, l'Assessorato al Turismo della Regione Siciliana e l'Associazione di musica antica Antonio Il Verso per il sostegno e la collaborazione generosamente offerti alla realizzazione del Convegno.

 


Abstract

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Marianne Betz

Alla ricerca di un'identità americana: George W. Chadwick

Nel 1879 lo studente americano George W. Chadwick ricevette il premio per la migliore composizione per orchestra al Conservatorio di Lipsia. L'opera insignita era l'ouverture Rip van Winkle, figura letteraria popolare della favola di Washington Irving. Era intenzione del giovane compositore l'utilizzo di un soggetto americano. La sua scelta, rivelando il desiderio personale di definire per se stesso un'identità distinta nell'ambiente tedesco, riflette l'intensa ricerca di un'identità nazionale e culturale negli Stati Uniti dopo la guerra civile. Anche se Chadwick non avrebbe mai più usato in seguito un soggetto così significantemente correlato alla tradizione culturale del nuovo mondo, sviluppò, in particolare nella sua musica per orchestra, una sonorità che venne recepita come 'americana'. Mentre altri compositori, per l'influsso del famoso articolo Music in America (1895) di Antonín Dvorák, riflettevano sull'integrazione dell'eredità musicale degli indiani e dei neri, Chadwick si affidava alla tradizione sinfonica ed alla sua formazione tedesca come base. Dopo la prima dei suoi Symphonic Sketches (1904) venne lodato come «il più americano dei nostri compositori». Ma i tratti caratteristici per la ricezione come opera nazionale non erano elementi musicali che potessero essere analizzati, bensì fu l'atmosfera ad essere interpretata come l'espressione di uno spirito americano.
Quanto influenti fossero i fattori estero-musicali per la ricezione è dimostrato dal fatto che con la prima guerra mondiale l'agitazione antitedesca divenne anche un argomento della critica musicale. Tracce europee, ovvero tedesche, non erano più accettabili per la costruzione di una musica nazionale. Dopo il 1918, con una generazione di compositori più giovani, le prospettive su quello che avrebbe potuto contribuire ad un'identità culturale in un paese multi-etnico incominciarono a cambiare. Le composizioni di Chadwick adesso venivano rifiutate come «old hat», troppo antiquate, prodotto di un «veteran composer of America». Il jazz e la musica popolare sembravano più adatti ad un idioma «vernacolo», che potesse creare, insieme con la letteratura, la pittura e il cinema, una base d'identificazione culturale. Ma la definizione di una musica americana nel Novecento rimase, se non «the unanswered question», almeno un problema aperto, evitato perfino da compositori come Virgil Thomson; quest'ultimo concludeva che per creare una musica americana basterebbe essere americano e comporre un tipo di musica qualsiasi.


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Alessandro Bratus

Animals dei Pink Floyd e Animal Farm di George Orwell. Elementi di continuità con la letteratura favolistica inglese

Da Esopo in avanti, ogni cultura ha conosciuto storie di animali antropomorfizzati, specie nei generi (a torto considerati minori dalla letteratura 'alta') della novella per bambini, del racconto fantastico. Topos culturale che ha un seguito all'interno della discografia della musica popolare contemporanea inglese, l'album Animals dei Pink Floyd (Harvest SHVL 815, 23, London, gennaio 1977) offre ottimi punti di contatto con la suddetta letteratura favolistica inglese.
La presente relazione si propone di gettare dei legami tra le opere Alice in Wonderland di Lewis Carrol (1865), The Wind in the Willows di Kenneth Grahame (1908), AnimaI Farm di George Orwell (1945) e i brani di Roger Waters, ideatore del disco. Un progetto che intende dimostrare la continuità di temi tra questi (pochi) esempi, scelti per la loro posizione cronologica 'strategica', per la loro omogenea provenienza dall'Inghilterra e per la loro importanza storica, e la loro ricezione nell'Inghilterra dei tardi anni Settanta attraverso gli occhi di uno dei suoi artisti più sensibili. Questo artista è Roger Waters (bassista, leader, compositore e ideatore di gran parte della musica del gruppo) che ripesca il mito 'per bambini' del mondo zoomorfo e lo ricicla per darci una visione spietata e politicizzata del mondo di oggi, scegliendo il medium del disco registrato, di larga distribuzione quindi, e una fabula semplice ed immediata, comprensibile anche a chi possiede pochi rudimenti della lingua inglese. Come Orwell: «ho pensato di smascherare tale mito [quello del socialismo sovietico] tramite una storia che potesse essere facilmente compresa da tutti e che fosse agevolmente traducibile in altre lingue» (The complete Works of George Orwell, vol. XIX, a cura di Peter Davison con l'assistenza di Ian Angus e Sheila Davison, London, Secker & Warburg, 1986-98, p. 83).


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Monica Sanfilippo

La musica delle comunità ellenofone della Calabria

L'intervento si propone di presentare i risultati di una ricerca sulla tradizione musicale delle comunità ellenofone della Calabria. Questioni relative alla cultura di tale comunità sono state al centro di dibattiti filologici, linguistici e storici dalla metà dell'800 ai giorni nostri, attraverso il contributo di studiosi come Cesare Lombroso, Giuseppe Morosi, Gerhard Rohlfs, mentre sono mancati fino ad oggi studi che abbiano affrontato la tradizione musicale nel suo complesso e la sua collocazione nel panorama della musica in Calabria.
La ricerca si è svolta secondo le seguenti fasi di lavoro:

  1. individuazione delle fonti bibliografiche, relative prevalentemente a notizie sugli strumenti musicali rilevati nell'area e ai testi verbali dei canti;
  2. individuazione delle fonti sonore, sia presso archivi come la Discoteca di Stato, sia in pubblicazioni discografiche;
  3. ricerca sul campo comprensiva di rilevamenti in audio e video;
  4. analisi dei materiali.

L'indagine sulle fonti ha evidenziato un nucleo di materiale bibliografico e sonoro scaturito da ricerche realizzate tra gli anni '70 e '80, come il lavoro di Christian Ahrens, Aulos Touloum Fischietti. Antike Traditionen in der Musik der Pontos-Gricken und der Graeko-Calabrien, Aechen 1987; le raccolte AELM 146 M e 159 M della Discoteca di Stato di Roma realizzate da Roberta Tucci e Paolo Modugno, 1977 e 1979; il disco The Hellenic Tradition in South Italy, Peloponnesian Folklore Foundation, Fabel Sound, 1983.
La ricerca sul campo, svolta a più riprese nell'arco di circa due anni, si è proposta soprattutto di verificare lo stato attuale della tradizione musicale, di collocarla nel contesto culturale e nelle condizioni di vita della comunità, e di raccogliere materiale per un eventuale confronto diacronico.
Sulla base dell'analisi dei materiali e di una prima individuazione dei generi, dei repertori e delle occasioni, sarà in particolare affrontato e discusso il problema della identità musicale della comunità ellenofona e di una sua differenziazione rispetto al più ampio panorama delle tradizioni musicali in Calabria.

 


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Luca Conti

Dinamiche politiche e scelte culturali del primo nazionalismo musicale messicano

Dopo la Rivoluzione del 1910, a partire dagli anni Venti il governo messicano promuove lo sviluppo del nazionalismo artistico, con l'esplicita intenzione di discostarsi dal modello imposto dal dittatore Porfìrio Díaz, il quale aveva sostenuto in campo artistico una forma di internazionalismo basata sull'imitazione del Liberty e della musica europea. I più notevoli risultati della nuova politica di governo sono rappresentati dal muralismo di Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros, con frequente ricorso alla rappresentazione dei miti aztechi e maya, la cui funzione principale è quella di manifestare la violenza e la modernità della Rivoluzione.
Se questa forma di pittura corale destinata al popolo rappresenta uno dei risultati più duraturi della politica culturale del nuovo governo rivoluzionario, neanche la musica in questo nuovo quadro culturale viene trascurata. La produzione musicale è caratterizzata dal cosiddetto «Rinascimento azteco» di Carlos Chávez (1899-1978), Silvestre Revueltas (1899-1940) e altri, come ideale reinvenzione sonora di un passato, che al contrario di quello pittorico-letterario, era andato irrimediabilmente distrutto durante l'efferata Conquista. Ma il nazionalismo musicale non era cosa nuova in Messico. Anche durante gli anni di Dìaz - mediante varie forme di recupero del folclore musicale - si era tentato l'avvio di una scuola nazionale sul modello di quelle europee. Così, nel corso degli anni Venti si confrontano diverse forme di nazionalismo, tra cui quella dell'appartato Manuel Marìa Ponce (1882-1948), legata all'impressionismo francese. Ma a prevalere alla fine, per una precisa scelta governativa, è Chávez, vicino al modernismo statunitense di Copland e altri. In Chávez potere culturale e potere politico coincidono; i numerosi ruoli istituzionali assunti dal compositore finiscono per condizionare anche gli esiti artistici generali, con prevalenza di un discreto livello medio, ma anche con l'emarginazione di figure importanti. L'egemonia instauratasi permette però anche una modernizzazione dell'ambiente musicale. All'inizio degli anni Quaranta questo ciclo culturale può dirsi concluso e inizia una fase di stagnazione che ha fine negli anni Cinquanta, con la nascita anche in Messico di un'avanguardia post-weberniana.
La relazione proposta, dopo uno sguardo retrospettivo all'internazionalismo porfiriano, si concentra su alcuni autori messicani degli anni Venti e sulla natura dei loro rapporti con le avanguardie europee e statunitensi.



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Kitti Messina

La produzione vocale profana di Mogens Pedersøn: incontro tra un musicista danese e il madrigale italiano

Mogens Pedersøn fu il compositore più significativo della corte di re Cristiano IV di Danimarca, nel periodo in cui la musica di corte danese riuscì a conquistare un posto di riguardo nel panorama europeo soprattutto grazie al grande operato di mecenatismo del sovrano.
Inviato in Italia nel 1599 e successivamente negli anni 1605-1609 per apprendere l'arte del madrigale da Giovanni Gabrieli, Mogens Pedersøn compose madrigali e madrigaletti su testo italiano, il cui studio e la cui edizione critica hanno presentato interessanti aspetti filologici.
La relazione prevede la trattazione dei seguenti argomenti:

  1. il trattamento riservato dal compositore ai testi italiani da lui messi in musica;
  2. il presumibile rapporto di Mogens Pedersøn con altri compositori italiani e stranieri che fecero uso dei medesimi testi poetici;
  3. la presentazione di nuove auspicabili ricerche sull'argomento.

L'edizione dei testi poetici, perlopiù adespoti, delle musiche profane di Mogens Pedersøn ha presentato difficoltà soprattutto per quanto riguarda dieci madrigali tramandati in un'unica attestazione manoscritta (London, British Library, Egerton 3665, ms., detto «Tregian Manuscript»), in cui il testo è riportato soltanto sotto la più grave delle voci scritte in partitura; gli errori e le omissioni del copista sono talvolta sanabili soltanto mediante il confronto con le intonazioni di altri compositori.
Lo studio sulle intonazioni parallele ha tra l'altro dimostrato la diretta conoscenza (e talvolta l'emulazione) da parte di Mogens Pedersøn di compositori italiani 'minori', produttori di generi musicali ben diversi dal tradizionale madrigale polifonico cinquecentesco per il cui apprendimento il giovane danese era stato inviato in Italia: casi lampanti sono quelli di Amante Franzoni e Francesco Di Gregorii. Ma ancor più interessante è stato notare come Pedersøn spesso presenti testi poetici modificati rispetto ai suoi indubbi modelli musicali; ricerche più approfondite sull'argomento sono auspicabili per scoprire se le alterazioni dei testi siano libertà del compositore danese o di altri per lui, o se si possa per alcuni casi addirittura individuare una tradizione musicale (o ancor più specificamente 'madrigalistica') dei testi poetici.

 


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Silvia Scozzi

Il problema dell'esecuzione vocale delle Cantigas de Santa María

La presenza delle Cantigas de Santa María, del secolo XIII, nelle registrazioni discografiche è testimoniata a partire dalla fine degli anni Quaranta. Da questo primo impulso fino ad arrivare ai nostri giorni, numerosissime sono state le incisioni di questo repertorio. Partendo dall'ascolto e dall'esame di una vasta gamma di tali registrazioni si rileva una varietà di stili per quanto concerne l'aspetto vocale. All'interno di questo cospicuo materiale si riscontrano interpretazioni di cantanti che non si sono affatto posti il problema filologico, eseguendo questi brani secondo le tecniche di canto della tradizione classico-occidentale. Ci sono stati però anche cantanti che, sulla base di una crescente sensibilità nei confronti dell'aspetto filologico, hanno voluto tentare nuove strade. C'è infatti chi si è rivolto al canto popolare perché scevro degli accademismi di stampo ottocentesco e quindi a volte più vicino a quella che è spesso definita come 'voce naturale'. C'è chi ha interrogato le fonti trattatistiche dell'epoca medievale cercando di interpretare le indicazioni offerte dai teorici del passato. C'è inoltre chi si è rivolto alle tecniche vocali e strumentali provenienti dall'Oriente. Questi ensembles hanno anche sperimentato delle collaborazioni con artisti appartenenti a una cultura musicale apparentemente lontana dalla nostra occidentale, quale ad esempio quella della musica araba del Nord-Africa, stabilendo una possibile relazione tra l'arte musicale araba e la musica della Spagna medievale che andrebbe oltre la questione della morfologia strumentale. È noto infatti che lo stesso re Sabio seguiva la moda delle corti musulmane dell'Andalusia, dove i califfi, per dare maggiore importanza alla musica di palazzo, richiedevano schiave-cantanti da Oriente. Si pone dunque al riguardo il problema del contributo che potrebbero apportare alcune informazioni sugli stili di canto desunte da teorici arabi. Obiettivo di questa ricerca è stato quindi individuare, sulla base di un attento ascolto del materiale sonoro preso in esame, i tentativi più interessanti di ricostruzione filologica per quanto attiene la vocalità; si è cercato di approfondire i motivi che hanno condotto alcuni interpreti ad una scelta a scapito di un'altra e quali siano stati i loro modelli di riferimento. Nel corso dell'intervento verranno inoltre ascoltate, messe a confronto e discusse alcune diverse interpretazioni di questo repertorio.


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Carlo Fiore

Chanter les regretz: aspetti di prassi esecutiva negli chansonniers di Margherita d'Austria

I manoscritti 228 e 11239 della Bibliothèque Royale di Bruxelles, conosciuti come Chansonniers di Margherita d'Austria, sono, non solo per il repertorio profano, alcune tra le fonti più eterogenee della polifonia rinascimentale, tanto da porre, in sede di prassi esecutiva, una serie di problemi legati alla grande varietà degli stili personali rappresentati. Tuttavia, quasi a voler bilanciare la moltitudine dei personaggi che hanno contribuito alle miscellanee, i testi poetici intonati fanno capo a tematiche sostanzialmente affini, tra le quali spiccano le intonazioni sul tema dei «rimpianti» (che erano anche il leitmotiv della vicenda biografica dell'aristocratica committente), presenti in quantità tale da spingere studiosi come Martin Picker (colui che più si è occupato di queste raccolte), Howard Mayer Brown e Lawrence Bernstein, a concordare con l'appellativo di «regretz-chansons».
L'analisi comparativa di questo gruppo di chansons, svolta sull'intero campione che comprende brani di Alexander Agricola, Loyset Compère, Josquin des Prez, Pierre de la Rue e Johannes Mouton, è limitata in questa sede ai due compositori più rappresentati, la Rue e Compère (il primo autore di «Tous les regretz» e «Secretz regretz», il secondo di «Va-t'ens, regret» e «Sourdez, regretz»). La rilevazione di alcune individualità stilistiche dei due contrappuntisti - ovvero i mezzi con cui ciascuno ha risolto a modo suo le suggestioni espressive di tematiche testuali simili - propone di correlare le riflessioni analitiche ad altrettanti spunti validi per una resa più consapevole e storicamente motivata dell'agogica e della dinamica di queste partiture.



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Daniela Capogreco

Musica tra scienza e arte in Cassiodoro

La relazione intende sviluppare i seguenti punti:

  1. Il pensiero musicale di Cassiodoro.
    Se Boezio con il suo De institutione musica ci ha trasmesso uno dei documenti più prestigiosi della musicologia tardoantica, destinato ad esercitare una stabile influenza sulla teorizzazione e, indirettamente, sulla stessa prassi dell'esecuzione musicale in età media, non bisogna dimenticare che il coevo Cassiodoro si occupò anch'egli, e a più riprese, di problemi attinenti alla musica, non solo dimostrando consistenti conoscenze sul piano teorico, ma fornendoci altresì importanti spunti atti a far luce almeno su alcuni aspetti della vita musicale del suo tempo. Tale interesse abbraccia un po' tutto l'arco della sua vasta produzione letteraria, anche se le testimonianze più significative sono contenute in Variae, II, 40 e in lnstitutiones, II, V.
  2. La posizione di Cassiodoro nella storia dell'enciclopedia.
    Il termine quadrivium - utilizzato per la prima volta da Boezio nel capitolo introduttivo al De institutione aritmetica quale compendiaria designazione delle quattro discipline matematiche (aritmetica, musica, geometria e astronomia) - non compare mai nell'opera di Cassiodoro. Ciò nonostante, è perfettamente legittimo parlare di un «quadrivio» organicamente strutturato che assume una sua autonoma funzione nell'articolato quadro delle sette canoniche arti o discipline della tradizione enciclopedica, costituenti la materia precipua ed esclusiva del secondo libro delle lnstitutiones.
    Nella classificazione cassiodorea delle artes liberales, la musica occupa il secondo posto e, in linea con la tradizione pitagorica, viene definita disciplina quae de numeris loquitur, qui ad aliquid sunt his qui inveniuntur in sonis.

Conclusioni
Contrariamente a quanto tradizionalmente ritenuto, con Cassiodoro si avverte per la prima volta, negli scritti di un autore cristiano, una rottura timida, ma certa, con la concezione tradizionale della musica intesa come scientia.
Ferma restando la nozione di «misura numerica», la musica si caratterizza, infatti, più qualitativamente che quantitativamente, avvicinandosi, in tal modo, più alle belle arti che alle scienze.

 


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Marco Della Sciucca

La musica in forma di dialogo nel Cinquecento

Il fiorire del madrigale dialogico nel '500 è fenomeno abbastanza noto per gli storici della musica, grazie soprattutto agli studi di Nutter, Harrin, Kroyer e Schick. Nell'evoluzione storica del madrigale dialogico esiste tuttavia un passaggio che è semplicemente rilevato come fenomeno interno al genere, mentre in realtà segna la nascita di un genere a sé stante di cui non è stata pienamente valutata la portata innovativa: si tratta di quel tipo di madrigale elaborato come 'musica in forma di dialogo', genere evidentemente diverso dal madrigale dialogico in senso stretto. Se quest'ultimo, sulla tradizione della scuola di Willaert, nasce e trae spunto da un testo poetico che ha già di per sé forma dialogica, i madrigali definibili come 'musica in forma di dialogo', o più semplicemente come 'musica dialogica', si basano invece su testi non in forma di dialogo: qui è il compositore a dare veste musicale dialogica (prevedendo per esempio l'uso di cori battenti) indipendentemente da necessità testuali.
Il passaggio è degno di nota proprio perchè segna anche una fondamentale svolta di ordine estetico: la nascita di un concetto di forma musicale autonoma rispetto al testo, laddove, invece, il genere madrigalistico è tradizionalmente basato sulla stretta aderenza della musica al testo. Il nuovo genere si impone per la prima volta all'attenzione intorno agli anni '50 del Cinquecento, per proseguire fino a fine secolo: ne sono autori madrigalisti più o meno noti, come Tudino, Carli, Riccio, Pordenon, Portinaro, Striglio, Andrea Gabrieli, Lasso, Marenzio, ecc.
La relazione intende ricostruire i percorsi storici del genere durante il secolo e interpretarne il valore storico-estetico.


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Massimo Privitera

Monteverdi e i refoli di Zefiro

Nella relazione porrò a confronto due composizioni di Claudio Monteverdi: una, a cinque voci, dal Sesto libro dei madrigali (1614); l'altra a due tenori e continuo, dagli Scherzi musicali del 1632. L'idea del confronto nasce dal fatto che in entrambi i pezzi le poesie intonate hanno il medesimo incipit, «Zefiro torna». Ma se il testo intonato è nel primo caso il famoso sonetto CCCX di Petrarca, nel secondo invece è un suo evidente remake, opera di Ottavio Rinuccini.
Il rilievo ermeneutico di questo confronto appare chiaro da una contestualizzazione storico-estetica. È infatti proprio verso la metà del primo cinquantennio del Seicento che cambia la ricezione della poesia petrarchesca. Ne Il Ceri («dialogo della tessitura delle canzoni») Gabriello Chiabrera afferma che Petrarca e gli altri poeti «antichi» adoperavano uno stile filosofeggiante, con «versi senza paragone e concetti amorosi partiti affatto dalla plebe»; uno stile sì altissimo, ma lontano dalla sensibilità comune. Da ciò la necessità di ricoprire la materia petrarchesca con vesti formali più varie e leggiadre. Nell'opinione di Chiabrera un eccellente realizzatore di questo bisogno fu Rinuccini, che «il fiore coglieva di celebrati componimenti», rendendolo con particolare «agevolezza». E questo suo talento è evidente proprio nel sonetto intonato da Monteverdi nel 1632.
Il confronto fra le due composizioni di Monteverdi evidenzia dunque un importante mutamento del gusto musicale, che è parte rilevante del più generale cambiamento costituzionale dalla polifonia alla monodia. E permette allo stesso tempo di leggere in una chiave nuova il passaggio dall'universo del madrigale a quello della cantata.



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Lilia Flavia Ficcadenti

Frammenti notati di un breviario-monastico del XII secolo a Napoli: una nuova fonte per la liturgia di San Gennaro

Il culto di San Gennaro (decapitato nel 305 a Pozzuoli presso la Solfatara), è sempre stato vivo nella popolazione napoletana fin dai primi secoli. La popolarità del Santo si rafforzò dopo l'eruzione del Vesuvio nel 472 la quale, secondo la tradizione, fu placata grazie alla sua intercessione, mossa dalle preghiere dei fedeli raccoltisi presso le Catacombe di Capodimonte. Il perpetuarsi delle miracolose liquefazioni del sangue, raccolto in due ampolle conservate presso la Cappella del Tesoro, ha contribuito, in seguito, ad aumentare la tradizione di tale venerazione che è divenuta inscindibile dal folclore napoletano.
I resti di un breviario-monastico conservati presso l'Archivio Storico-Diocesano di Napoli rappresentano uno dei rari documenti liturgico-musicali riguardanti il culto di S. Gennaro. Si tratta di quattro pergamene facenti parte di un codice miscellaneo (Haebdomadarialis 1) costituito da dodici fascicoli, di cui il nono contiene otto carte membranacee vergate in scrittura e notazione beneventana e databili attorno alla fine del XII secolo. Quattro di queste otto pergamene contengono antifone e responsori inframmezzati da lectiones per la recita del mattutino in onore di San Gennaro, mentre le restanti pergamene sono dedicate all'ufficio di vari santi campani, tra cui: S. Massimo di Cuma, S. Matteo di Salerno, S. Bartolomeo, S. Eleuderio, S. Bonifacio.
Il lavoro da me svolto si è basato sulla trascrizione dei brani contenuti nelle pergamene suddette e sul loro confronto con altre fonti più tarde. Lo studio è stato condotto, oltre che da un punto di vista musicale, anche sotto l'aspetto letterario e liturgico. Le fìnalità sono state quelle di investigare il patrimonio liturgico-musicale riguardante il culto di San Gennaro, partendo da una rara e inesplorata fonte antica, quale quella rappresentata dalle pergamene dell'Archivio Storico-Diocesano di Napoli.



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Marco Russo

Suono ideale e suono reale. Lo spazio come elemento di disgregazione dell'unità orchestrale

L'orchestra, eredità della musica classica e romantica, è una formazione che, prescindendo dall'intrinseco valore del suo repertorio, ha riassunto in sé molti caratteri ideali del fare musica. Essa non è soltanto l'organico più importante della musica colta, e neppure la veste dei principali momenti compositivi che hanno accompagnato le sorti del linguaggio tonale. Sintetizzando molti dei corollari culturali dell'Ottocento, la formazione orchestrale è divenuta infatti il simbolo stesso dell'autonomia linguistica della musica rispetto alle altre arti, quel fitto reticolo di relazioni fra tecnica compositiva, aspirazione estetica e risultato sonoro impossibile da scindere, che procurava la necessità di una solida compattezza, della fusione degli interpreti in un unico soggetto musicale, poi identificato nella figura del direttore.
Le sorti della musica moderna hanno tuttavia evidenziato il progressivo abbandono di una prospettiva estetica unitaria in favore della ricerca di una sperimentazione sempre più accentuata nei confronti del timbro, e quindi verso parametri - come la massa o l'intensità, ampiamente usati da autori come Ligeti - spesso considerati secondari nella prassi musicale tradizionale. L'interesse compositivo condurrà allora verso una dissoluzione dell'unità orchestrale sino a giungere, a partire da Gruppen di Stockhausen, ad una vera e propria frammentazione fisica, una suddivisione che cela il concepimento di una struttura prossemica del comporre, contrassegno tipico di gran parte della produzione del XX secolo. Un'analisi dell'evoluzione delle concezioni spaziali del suono orchestrale, oltre a tracciare i lineamenti di una progressiva disgregazione dell'unità espressiva di eredità romantica, diviene allora il marchio del grado di complessità raggiunto dalla musica del nostro tempo, di un suo avvicinamento alle realtà percettive ed acustiche dell'uomo, delineando al contempo anche i principali momenti evolutivi del linguaggio compositivo.


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Carlo Benzi

Ricerca timbrica e chiarezza formale nelle composizioni italiane per strumento solista ed orchestra (1960-1980)

Nella musica italiana di avanguardia composta fra il 1960 ed il 1980 particolare importanza rivestono i brani per strumento solista ed orchestra. Il rinnovato interesse per tale organico, raramente utilizzato durante la stagione del serialismo integrale ed invece caratteristico della produzione dei secoli passati, testimonia la volontà di ripensare nei termini di un linguaggio di avanguardia le molteplici relazioni possibili fra lo strumento solista e l'orchestra e di proporre all'ascoltatore una forma del brano caratterizzata da una organizzazione temporale chiara e percepibile.
Attraverso alcuni esempi tratti dalla produzione di Luciano Berio, Franco Donatoni, Bruno Maderna e Salvatore Sciarrino, si desidera mostrare come tali scelte rendano agevole, attraverso l'opera, una trasmissione ordinata di informazione sonora dal compositore al fruitore e pongano così le basi per una nuova, possibile comunicazione musicale.
In tutti gli autori citati notevole risulta la volontà di ricerca timbrica. In particolare, nelle opere di Bruno Maderna si assiste all'utilizzazione quasi 'cameristica' della compagine orchestrale, nella quale gruppi di strumenti, dislocati sul palcoscenico in modo molto diverso rispetto a quello tradizionale, eseguono differenti articolazioni sonore, isolatamente o sincronicamente secondo modalità definite spesso da procedimenti aleatori controllati; lo strumento solista interagisce, alternando articolazioni simili a quelle effettuate dagli altri esecutori ad altre ad esso specificamente dedicate. La forma del brano appare così caratterizzata da blocchi chiaramente differenziati che si susseguono senza soluzione di continuità. Analoga tipologia formale complessiva traspare dalle opere di Franco Donatoni; in esse però assume un ruolo decisamente rilevante la discontinuità fra sezioni costitutive, che provoca l'emergere talora improvviso di violenti contrasti dinamici. Lo strumento solista sembra così sovente anticipare le articolazioni sonore, successivamente amplificate dal resto dell'orchestra.
Una concezione 'fluida' del tempo musicale caratterizza invece le opere di Luciano Berio, nelle quali frammenti enunciati dal solista affiorano molte volte successivamente nel tessuto orchestrale; quest'ultimo svolge spesso la funzione di amplificare sotto il profilo timbrico l'azione dello strumento principale, con il quale sembra instaurare un rapporto di diretta collaborazione.
La volontà di esplorare possibilità sonore al limite dell'udibile connota inconfondibilmente i brani di Salvatore Sciarrino; egli, pur utilizzando la classica divisione a famiglie strumentali (alla quale corrisponde l'interesse per forme complessive del brano assai simmetriche), considera il rapporto fra il solista e l'orchestra entro i termini, apparentemente contradditori, dell'amplificazione timbrica e dell'anticipazione articolatoria, generando nel fruitore un sempre elevato grado di tensione uditiva.
La relazione evidenzierà tali premesse con gli esempi più idonei che emergeranno dalla ricerca.


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Alessandro Rigolli

Il Philip Glass Ensemble: caratteri dell'orchestra nell'Einstein on the beach

Nel 1976 Philip Glass e Robert Wilson mettono in scena la loro prima opera, Einstein on the beach, grazie ad una coproduzione del Festival di Avignone, Biennale di Venezia e Festival d'Automne di Parigi. L'impianto musicale contempla tre ruoli solisti (soprano, tenore e violino), un coro di 16 voci e il Philip Glass Ensemble in luogo dell'orchestra. Questa particolare formazione strumentale si era costituita per iniziativa di Philip Glass stesso nove anni prima quando, al ritorno dal periodo di apprendistato parigino, il compositore di Baltimora sentì l'esigenza - alimentata da motivazioni molto concrete e contingenti - di circondarsi di un gruppo di colleghi musicisti allo scopo di eseguire la propria musica, nell'ambito dei circuiti artistici di New York che, nella seconda metà degli anni Sessanta, prendevano il nome di Off-Off-Broadway. Da allora questo ensemble è rimasto una presenza costante nella produzione di Glass, impiegato sia sul versante teatrale, sia su quello più specificamente strumentale.
Una riflessione sulla genesi del Philip Glass Ensemble, sui suoi particolari caratteri tecnici e acustici, e sulla funzione orchestrale espletata a partire dall'Einstein on the beach, ci permette di inquadrare questa formazione strumentale in quell'ambito musicale che - in modo particolare a partire dalla seconda metà del Novecento - si indirizza verso le piccole formazioni nate da combinazioni timbriche e strumentali inedite, di sovente integrate dall'utilizzo dell'elettronica. In questo senso, e partendo dall'esempio di questo ensemble nato dall'avanguardia minimalista rappresentata da Philip Glass, la presente riflessione vuole proporre alcuni interrogativi che mirano a capire se sia legittimo, come in questo caso, equiparare un'ipotetica funzione orchestrale al concetto di orchestra tout court; se, e in quale misura, l'aspetto sociologico contingente può influire, come nel caso del Philip Glass Ensemble, sui caratteri strutturali, timbrici ed estetici in generale, di una formazione strumentale e di un'opera come l'Einstein on the beach; se, e in quale misura, la condivisione di strumenti e attrezzature musicali possono avvicinare ambiti artistici e culturali differenti come, in questo caso, quelli dell'avanguardia minimalista e della popular music dove, come sappiamo, viene normalmente utilizzato il termine 'orchestra'.


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Laura Zattra

Scrittura orchestrale nella progettazione informatica nel
Perseo e Andromeda di Salvatore Sciarrino

Perseo e Andromeda (opera di Salvatore Sciarrino per voci e sistemi informatici realizzati al Centro di Sonologia Computazionale dell'Università di Padova) si distingue per essere la prima opera lirica in cui l'orchestra viene sostituita da suoni sintetici suonati dal vivo (in altre opere elettroniche i suoni sono memorizzati su nastro o affiancati a strumenti acustici oppure gli stessi strumenti acustici - voci e strumenti - vengono manipolati dal vivo).
Quando Sciarrino parlò per la prima volta del progetto ad Alvise Vidolin (fondatore del CSC e collaboratore in numerose produzioni elettroniche), espresse il desiderio di sostituire gli strumenti tradizionali con suoni di sintesi suonati dal vivo mediante computer posti nella buca dell'orchestra. Il lavoro, a prima vista di difficile realizzazione (lo strumento informatico doveva risultare molto efficace e agile in modo da seguire facilmente l'andamento delle voci), costituì un lungo periodo di ricerca informatica e intellettuale. Infatti mentre nella musica per strumenti acustici il compositore, durante il processo creativo, è in grado di immaginare il risultato finale poiché la sua esperienza sonora gli permette di padroneggiare il timbro degli strumenti, il compositore informatico deve per prima cosa creare e 'imparare' un nuovo strumento e solo successivamente scrivere (spesso compone mentre sperimenta in una sorta di work in progress). Con Sciarrino si è potuta mantenere viva la prassi compositiva tradizionale che vede il compositore capace di 'sentire' con l'orecchio interno ciò che sta scrivendo; egli aveva assimilato i suoni e gli strumenti di sintesi così da poter scrivere la partitura in maniera autonoma.
La relazione ripercorrerà le fasi della creazione orchestrale (progettazione dell'ambiente esecutivo e solfeggio iniziale degli oggetti, i materiali e la partitura, la spazializzazione). La peculiarità dell'opera offre lo spunto per trattare il complesso intreccio di relazioni che nascono in seno alla realizzazione di un'opera lirica informatica: il fondamentale ruolo del tecnico (ben più di un semplice collaboratore),

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il problema della notazione della partitura (Perseo e Andromeda può rappresentare un esempio di partitura globale), l'interdisciplinarietà che fa da sfondo a tali progetti. La mia costante presenza al Centro di Sonologia Computazionale permetterà di ricostruire più direttamente le fasi di lavoro, indagando l'atmosfera intellettuale che ha portato alla realizzazione dell'opera.



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Maria Gabriella Cerchiara

Poetica del gesto e materiale sonoro in Lux Aeterna (1971)
di George Crumb

Lux Aeterna for Five Masked Musicians, scritto da George Crumb nel 1971, è un lavoro che presenta una forte relazione tra scelte musicali e aspetti legati al rito e alla teatralità in musica, a quella «poetica del gesto sonoro» afferente ad un sistema referenziale di simboli, di significati, di connotazioni preesistenti, che carica l'atto esecutivo di valori extramusicali. In tal senso Lux Aeterna costituisce forse uno dei lavori più interessanti ed emblematici di questo compositore. Il brano presenta un organico assai originale nella scelta timbrica, fortemente legato al programma simbolico e rituale del testo, tratto dalle Sacre Scritture: voce di soprano, flauto basso (e flauto soprano), sitar e varie percussioni (due percussionisti) tra le quali strumenti etnici indiani, che danno al brano una connotazione particolare e una dimensione mistica.
Molte sono le prescrizioni registiche del compositore: la cantante accende una candela prima che il brano inizi e la spegne alla fine per fare in modo che l'oscurità caratterizzi l'esordio e l'epilogo della performance; i musicisti, compreso il direttore, indossano maschere nere sul viso per allontanare qualsiasi residuo di umanità dai loro volti; il flautista e il sitar player assumono la posizione del loto per allontanare da sé ogni influenza esterna e concentrarsi sulla dimensione spazio-temporale «dell'eternità» (Crumb intende avvicinarsi alla libertà ritmica della musica non misurata); un ballerino è presente sul palcoscenico e compie le sue evoluzioni solo in momenti particolari indicati dal regista-compositore.
Al di là della semplicità quasi 'classica' della sintassi basata su archi di tensione, climax e distensione, o della grande capacità di cogliere la potenza sonora dei fonemi, la ricchezza delle sfumature timbriche, le atmosfere di magica sospensione della dimensione temporale e i riferimenti simbolici, le composizioni di George Crumb presentano una coerenza strutturale molto forte. L'obiettivo di questa relazione è di individuare, attraverso una attenta analisi della superficie e della struttura compositiva, in che modo gli aspetti e le scelte musicali operate da Crumb si collegano, fin quasi a trasmutarsi, agli aspetti simbolici e rituali della sua poetica.


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Carmela Bongiovanni

Per una protostoria della romanza da salotto italiana: le ariette e i duetti di Ferdinando Paër

Affatto dimenticata da tutti coloro che a vario titolo si sono occupati di lirica vocale da camera in Italia, la produzione cameristica vocale di Ferdinando Paër (1771-1839) merita, senza alcun dubbio, più di uno sguardo introduttivo. Essa non rientra di solito negli schemi definitori della romanza ottocentesca italiana (sia in fatto di stile che di forma, ma anche di nomenclatura: non esiste di fatto il vocabolo «romanza» sui frontespizi italiani delle composizioni vocali da camera di Paër) e presenta indubbi elementi di interesse sia per la qualità, sia per la quantità (una ventina tra edizioni e raccolte più volte ristampate in tutta Europa) dei prodotti musicali.
Le ariette e duetti di Paër (collocabili cronologicamente intorno al primo quindicennio dell'Ottocento), pur essendo generalmente composizioni di corto respiro (alcune tuttavia eguagliano la lunghezza di un'aria operistica coeva), guardano per la maggior parte al mondo melodrammatico del tempo per il virtuosismo richiesto al cantante, per l'impegno ritmico-melodico della voce, per la scelta dei testi (con una forte predilezione per il Metastasio).
L'arietta e il duetto da camera di Paër non sono ancora generi commerciali e di consumo, bensì raffinate pagine cameristiche che presentano in modo stilizzato le caratteristiche del mondo musicale italiano del loro tempo. Si tratta pur sempre di produzione colta, dai tratti inconfondibilmente legati al mondo operistico del tempo: alcuni testi sono tolti da melodrammi di Metastasio. L'ambito vocale è naturalmente più sommesso (l'ampiezza della melodia è generalmente più contenuta che nelle arie di teatro), il pianoforte o l'arpa si accontentano frequentemente di stilizzare pochi moduli ritmici di sostegno, talora accennando brevi linee in dialogo con la voce. Tra le strutture predilette, quella della canzone tripartita con una delle due sezioni ripetute o variamente rielaborate (ABB ovvero ABA), è tra le più frequenti; talora tuttavia si riscontra anche la dimensione libera del durchkomponiert.
Lo spazio di destinazione di queste ariette e duetti è dato dalle dimensioni racchiuse del salotto e dell'accademia. La loro esecuzione è riservata più spesso a musicisti esperti (se non professionisti), come talora non solo il virtuosismo richiesto ma anche alcune dediche lasciano trasparire. Dall'esame di questo repertorio pressoché sconosciuto che pure nel primo Ottocento ebbe una diffusione straordinaria, scaturisce un'immagine certamente inedita del mondo musicale, dei gusti e della prassi del tempo, ma anche di un compositore troppo a lungo inspiegabilmente ignorato dalla musicologia odierna.


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Antonia Alberta Ianne

La valutazione delle risorse Internet per la ricerca musicologica

Nella relazione si prende in esame il problema della selezione e della valutazione delle risorse Internet per la ricerca musicologica e si cerca di indagare in che modo l'utilizzo dei nuovi servizi disponibili in rete possa influenzare le tradizionali attività di reperimento delle fonti musicali.
Se da un lato non è possibile ignorare i vantaggi che l'utilizzo della rete Internet va offrendo a musicologi e musicisti in termini di varietà e quantità di servizi e di velocità di reperimento delle risorse, occorre d'altro canto tener presente come alcuni aspetti di questo nuovo mezzo di comunicazione non manchino di generare perplessità e atteggiamenti di sfiducia nella comunità scientifica.
L'integrazione degli strumenti offerti oggi dalla rete con quelli propri dei più tradizionali sistemi di mediazione della conoscenza non solo velocizza e agevola l'individuazione delle fonti informative ma, ampliandone enormemente la quantità e la tipologia, ha indubbiamente degli effetti qualitativi sull'impostazione e sulla natura di un lavoro di ricerca. Se l'utilizzo degli strumenti telematici non modifica sostanzialmente l'articolazione delle fasi metodologiche necessarie ad ogni studio scientifico, la varietà di questi strumenti e la quantità e generalità delle informazioni reperibili attraverso di essi, pone il musicologo di fronte a questioni inedite, alcune delle quali relative alle strategie di recupero e ai criteri di selezione dei documenti.
Queste considerazioni emergono per quel che concerne gli strumenti di individuazione e di selezione delle fonti musicali, a causa dell'estrema varietà e quantità di risorse disponibili in Internet associata al problema della mancanza di apparati affidabili di mediazione documentaria.
Gli aspetti più problematici di tale questione non risiedono nell'opportunità di un'opera di selezione, bensì nella definizione dei criteri in base ai quali essa si attua. Lo stato dell'arte di questa attività in Internet è quanto mai eterogeneo e costituisce perciò un motivo di rilevante interesse per la comunità scientifica. Infatti ricercatori e documentalisti sono in gran parte impegnati a stimare l'applicabilità, anche nella selezione delle risorse Internet, di strumenti e metodi già utilizzati per altre tipologie di documenti, in particolare nella valutazione delle fonti di reference a stampa.
La relazione si articola in due parti. Nella prima si analizza il problema della valutazione delle risorse Internet: si suggeriscono alcuni validi repertori generali proponendo uno schema di valutazione delle risorse. La seconda si occupa più specificamente delle risorse bibliografiche musicali, confrontando alcuni database bibliografici rispetto alle tipologie dei documenti, ai sistemi di ricerca, ai linguaggi e alle interfacce di interrogazione nonché ai servizi di fornitura dei documenti.


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Marco Giuliani

Una base dati delle raccolte stampate di laudi in lingua italiana del XVI e XVII secolo

La celebrazione dell'Anno Santo ha comportato un generale interessamento per le tematiche spirituali relative alla ricerca musicologica.
Una delle sezioni curate all'interno di un più vasto progetto di studi sul Rinascimento italiano, tramite il RIM (la banca dati multimediale interattiva che si configura come il più grande archivio informatico musicale polifonico-monodico italiano del Cinquecento e del Seicento mai predisposto), sta portando in luce risultati di grande interesse anche per quanto concerne la circolazione e l'uso di molteplici testi poetici e musicali devoti e morali.
Se la base di dati generali descrive i tratti essenziali delle partiture, dei testi, dei musicisti, delle bibliografie e delle edizioni moderne;
se è vero che consente di visionare direttamente campioni significativi di opere antiche, fornendo altresì la possibilità di ascoltare, analizzare, confrontare...;
se l'archivio informatico può essere utilizzato come modulare e dunque adattato a molteplici scopi e ricerche istituzionali legati a studiosi, direttori, musicisti, storici, discografi, proprio quel 'territorio musicale' che potremmo definire spirituale, scarsamente indagato e ancor meno considerato, si manifesteranno immediatamente formidabili potenzialità di siffatto strumento, soprattutto per quanto concerne le attribuzioni di paternità e la circolazione-recezione del repertorio devoto qui, e profano in generale.
La banca dati si completa in modo multimediale con ulteriori archivi elettronici di immagini e registrazioni (in costante sviluppo), nei più comuni formati audio-video con un'esemplificazione di partiture rappresentative delle diverse tipologie formali che non ha pari.
La presente relazione intende quindi soffermarsi nella descrizione dei risultati conseguiti e in talune soluzioni metodologiche, esperite in funzione di nuove modalità di accesso innovative e di fruizioni diversificate valide per tutta la musica italiana di tale periodo.


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Valeria De Lucca

Le Sonate per camera a violino e violoncello di vari autori: un itinerario di ricerca tra iconografia e analisi musicale

La nota antologia di Sonate per camera a violino e violoncello di vari autori, oggetto di questa relazione, raccoglie dodici sonate dei compositori di area bolognese Giacomo Antonio Perti, Giuseppe Aldrovandini, Domenico Marcheselli, Giuseppe Iachini, Bartolomeo Laurenti, Carlo Mazzolini, Filippo Carlo Belisi, Bartolomeo Bernardi, Domenico Marcheselli e Giuseppe Torelli ed è riccamente ornata su ogni pagina dalle incisioni del bolognese Carlo Antonio Buffagnotti.
Priva di qualunque indicazione tipografica che permetta di collocarla con sicurezza in un determinato contesto spazio-temporale, è un chiaro esempio di come l'interazione tra musica e iconografia possa risultare decisiva per la comprensione di una fonte. Attraverso l'interpretazione del dato iconografico e il confronto con documenti d'archivio e cronologie bolognesi della fine del XVII secolo, infatti, è possibile ricostruire avvenimenti e momenti di vita popolare bolognese del 1683, anno della grande vittoria della coalizione guidata dall'Impero contro i turchi. Su questo sfondo chiaramente 'celebrativo' spicca la figura chiave del committente/dedicatario, il cui stemma, un giglio, appare su uno stendardo alla fine della raccolta, tra armi, vessilli, tamburini e all'ombra della testina di moro mozzata, motivo ricorrente nell'iconografia bolognese del tardo Seicento.
Sulla base di questi dati si può identificare la figura del committente/dedicatario con il duca Francesco II d'Este, grande mecenate, figura finora trascurata dagli studi storici e da quelli musicologici. È possibile inoltre stabilire con discreta sicurezza il termine post quem della stesura dell'antologia nell'anno di morte del duca, 1694, rendendo più precise, così, le ipotesi sulla datazione finora avanzate dagli studiosi.
L'itinerario di ricerca sull'antologia in esame non può prescindere dall'analisi musicale e dallo studio dell'organico strumentale. Entrambe queste ricerche confermano l'influenza modenese sulle composizioni, influenza riscontrabile nello stile delle sonate, nelle indicazioni stilistiche usate, nelle caratteristiche della scrittura melodica. L'uso del violoncello, inoltre, conferisce all'antologia un chiaro carattere 'emiliano'. Dopo la sua nascita in Bologna negli anni Sessanta del Seicento, infatti, questo strumento si diffuse ben presto a Modena e Ferrara.
Oltre a porre basi metodologiche solide per lo studio e l'interpretazione di opere in cui musica e iconografia costituiscono solo sfaccettature diverse della stessa opera d'arte, questa relazione apre nuove questioni storiche e musicologiche sulla figura di Francesco II d'Este, sui rapporti tra musicisti bolognesi e corte modenese e sul continuo e attivissimo scambio culturale tra le due grandi capitali della musica emiliana del tardo Seicento.


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Francesco Izzo

L'opera buffa e il Risorgimento: 1831-1848

Con la sola eccezione dei due capolavori comici donizettiani, L'elisir d'amore e Don Pasquale, l'opera buffa dell'epoca risorgimentale è stata spesso trascurata dagli studiosi, forse in virtù del presunto declino del genere comico nell'epoca post-rossiniana. Se è vero che a partire dal secondo quarto dell'Ottocento i compositori più importanti tesero a trascurarla, tuttavia l'opera buffa fu estremamente vitale nel periodo in esame, raggiungendo spesso città e teatri minori, e pertanto un pubblico in parte diverso da quello dell'opera seria. I capolavori comici di Rossini rimasero tra le opere più popolari in ogni teatro italiano, e compositori e librettisti più o meno noti coltivarono l'opera buffa con regolarità. Nel mio studio del repertorio comico di questo periodo, ho individuato circa centocinquanta opere buffe composte e rappresentate in Italia tra le rivoluzioni del 1831 e del 1848.
In questa relazione dimostrerò che, oltre a essere oggettivamente presente nel repertorio dei teatri italiani, l'opera buffa di questo periodo ebbe un ruolo importante nella diffusione degli ideali risorgimentali, e, più in generale, dei valori morali e sociali che accompagnarono il viaggio dell'Italia verso l'unificazione politica. Per la sua capacità di sovvertire e dissacrare gli ordini convenzionali della morale e della ragione, il genere comico ebbe un forte potenziale sovversivo. Inoltre, in molte opere buffe degli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento, si assiste a un conflitto tra individui e gruppi di diversa nazionalità, conflitto spesso impiegato, sia sul piano verbale sia su quello musicale, per esprimere sentimenti antitedeschi (e quindi antiaustriaci) e filofrancesi. Infine, numerose opere buffe dell'epoca presentano temi e situazioni legati alla vita militare, in cui si ridicolizzano gli eserciti precostituiti, e si loda invece l'iniziativa autonoma, specialmente se ispirata da nobili ragioni, o diretta contro l'oppressione di un singolo o di una nazione.
Nel mio lavoro mi servirò di esempi tratti da opere di Luigi Ricci (Il nuovo Figaro, Il colonnello, Il birrajo di Preston) e di diversi autori minori, e mi soffermerò sulla fortuna della versione italiana della Figlia del reggimento di Donizetti. Dimostrerò che l'opera buffa nel periodo che precedette il Quarantotto era non solo vitale, ma oggetto di grande attenzione da parte dei suoi autori, del pubblico, della critica e della censura, e affermerò che i suoi temi drammatici e aspetti musicali meritano attenzione e approfondimento.


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Rosy Moffa

La lirica da camera in Piemonte fra le due guerre: compositori, musiche, testi

Questa ricerca nasce da un lavoro di schedatura in corso sulle liriche per canto e pianoforte in possesso della biblioteca del Conservatorio di Torino, in particolare manoscritte ma anche edite da piccoli editori locali ormai inattivi.
Dal 'meccanico' lavoro di schedatura sono scaturiti interrogativi e riflessioni sui 'perché' di questi brani: sulle scelte poetiche e su quelle stilistiche. II mio studio si è per ora soffermato sulle prime, permettendomi di individuare nella produzione degli autori piemontesi (o attivi a Torino e in Piemonte) peculiarità locali e, nel contempo, delle costanti che rispecchiano alcuni filoni o correnti più genericamente diffusi nell'Italia musicale fra i primi anni del secolo e la seconda guerra mondiale, già in parte delineate in precedenti ricerche:

  1. la poesia italiana moderna e contemporanea;
  2. la poesia italiana antica, medievale e rinascimentale;
  3. la poesia extraeuropea;
  4. la poesia romantica straniera;
  5. la poesia e il canto popolare;
  6. la lirica classica, greca e latina.

Cercherò quindi di delineare in che misura le scelte letterarie dei compositori maggiormente rappresentati nel fondo (Desderi, Perrachio, Ghedini, Gedda, Cuneo e altri) si inseriscono in tali filoni e quale cultura paiono rispecchiare.
Vorrei poi focalizzare l'attenzione in particolare su due compositori, completamente diversi per formazione e carriera. In primis Ettore Desderi, autore di fama, le cui opere sono numerose nel fondo in esame e le cui scelte poetiche coprono un campo molto ampio: da Carducci ai lirici greci, da Giovanni della Casa ai lirici giapponesi, da Pascoli a Heine, da D'Annunzio ai canti popolari. Poi Pier Giovanni Pistone, compositore di interesse strettamente locale, la cui produzione è però contraddistinta da un'analoga varietà e ampiezza di interessi letterari, con esiti stilistici musicali assai diversi.
La ricerca è tuttora in corso e potrà poi estendersi nelle due direzioni: da un lato l'individuazione delle scelte poetiche in altri autori attivi in Piemonte nel Novecento, anche in anni precedenti e successivi a quelli fin qui esaminati; dall'altro lato l'approfondimento della trasposizione musicale delle poesie, quindi la 'ricaduta stilistica', più o meno evidente e significativa, delle scelte operate in campo letterario.

 


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Antony Del Donna

La gestione dell'orchestra del Teatro San Carlo nel tardo Settecento a Napoli

Recenti indagini sul sistema produttivo dell'opera nel Settecento hanno portato alla luce nuove fonti di informazione, provvedendo a fornire una più completa comprensione dell'amministrazione e del finanziamento di alcuni teatri Europei, sia pubblici che privati o di corte. Fra i principali benefici di questi studi vi è un'analisi minuziosa dell'orchestra del Settecento, in particolare nel campo delle norme di gestione, della formazione dell'ensemble, e in alcuni casi, dello standard artistico. I dati impiegati per queste ricerche derivano, in generale, da un corpo omogeneo di fonti primarie e secondarie: resoconti storici di musicisti e osservatori contemporanei, documenti pubblici, elenchi del personale, e talvolta, ricevute di pagamento e libri contabili. Sebbene la varia natura di queste fonti abbia provocato dubbi sulla loro precisione, l'impiego delle ricevute di pagamento e dei libri contabili si sono rivelati fonti attendibili nel recente studio di Dorothea Link sul Teatro Nazionale di Corte a Vienna e nei saggi di Dexter Edge sulle orchestre di Mozart. Nel caso di molti teatri Europei, comunque, gli studiosi non hanno avuto accesso a documenti estremamente dettagliati. Un esempio è quello del Teatro San Carlo di Napoli, che aveva una delle orchestre più importanti del Settecento.
La fonte del presente saggio è un insieme di libri contabili dell'Archivio di Stato di Napoli, che permettono l'esame di un breve, ma tuttavia ininterrotto periodo di attività del Teatro Reale, e precisamente gli anni dal 1781 all'86. Questi documenti illustrano le norme organizzative riguardanti la grandezza e la natura dell'orchestra e il compenso dei musicisti e di altri esecutori, in questo intervallo di tempo. Sulla base di questi dati e di altre fonti secondarie, nuova luce potrebbe essere fatta sulle condizioni d'impiego, lo standard artistico del teatro, la produzione dell'opera seria, e forse anche, sull'influenza sociale del Teatro Reale stesso. Inoltre, i paragoni con altre orchestre contemporanee, come quelle esaminate da Link ed Edge, potrebbero evidenziare l'importante funzione del San Carlo nelle pratiche teatrali del Settecento e la sua capacità di attrarre i migliori musicisti, tra compositori, cantanti e strumentisti.


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Rosa Perrotta

Francesco Cilea e il Conservatorio di Musica «San Pietro a Majella» di Napoli (1916-1935)

La ricerca ricostruisce la quasi ventennale attività di Francesco Cilea alla direzione del conservatorio di «S. Pietro a Majella» di Napoli (1916-1935) e il suo ruolo nella vita musicale partenopea della prima metà del '900.
Mancando a tutt'oggi una trattazione adeguata sulla vita del maggiore istituto musicale meridionale negli anni compresi tra la Prima Guerra Mondiale e l'avvento della Seconda, si conduce a termine una puntuale ricostruzione delle sue vicende didattiche, artistiche e amministrative, che videro protagonista Cilea nella duplice veste di Direttore del Conservatorio e di Presidente del Consiglio di Amministrazione, attingendo a fonti di prima mano quali i Libri dei Verbali della Giunta di Vigilanza, del Consiglio di Amministrazione, del Collegio dei Professori, i fascicoli personali dei dipendenti dell'Istituto ed altri documenti conservati nell'Archivio di «S. Pietro a Majella».
Tale indagine è stata affiancata da una sistematica ricognizione sulla stampa napoletana coeva («L'Arte Pianistica nella vita e nella cultura musicale», «Vita musicale italiana», «Il Mattino», «Roma», «Il Giorno», «Il Mezzogiorno», «Il Don Marzio», «Monsignor Perrelli», ecc.) sempre puntuale nel registrare l'attività del Conservatorio e le iniziative del Direttore Cilea atte a rinnovare il secolare legame tra la città e il suo glorioso Istituto musicale, sugli «Annuari del Conservatorio di "S. Pietro a Majella"» (pubblicati a partire dall'anno scolastico 1918/19) e ricchi di preziose informazioni sull'andamento didattico delle Scuole, sui programmi dei Saggi scolastici, sulle conferenze di Storia della Musica tenute da autorevoli studiosi, sui libri, cimeli, strumenti acquistati o donati alla Biblioteca e al Museo Storico Musicale), sui programmi della Società dei Concerti Sinfonici del R. Conservatorio di Napoli, conservati presso la Biblioteca di «S. Pietro a Majella».
Il recupero e l'accurato confronto di una tale quantità e varietà di fonti hanno fornito un interessante contributo alla conoscenza e valorizzazione dell'opera di ammodernamento didattico e amministrativo compiuta dal maestro calabrese presso l'antica istituzione musicale partenopea.
Si è fatta piena luce su avvenimenti cruciali della storia del Conservatorio di «S. Pietro a Majella» quali: il repentino trasferimento di Cilea alla guida dell'Istituto musicale napoletano in sostituzione del Mº Guido Alberto Fano; le importanti e radicali riforme didattiche compiute dal maestro calabrese (istituzione dei saggi di classe, rinnovamento dei programmi di studio, istituzione della cattedra palestriniana affidata a Giovanni Tebaldini, ricostituzione dell'orchestra formata da alunni); la fondazione del Museo Storico Musicale; le polemiche sulla mancata riapertura del Convitto, abolito nel 1914 in seguito all'inchiesta del R. Commissario Alberto Salvagnini; la costruzione della Grande Sala dei Concerti, che finalmente offrì a Napoli quella «sede istituzionale» esclusivamente deputata all'esecuzione di musica sinfonica da sempre attesa da pubblico e critica; la costituzione della Società dei Concerti del Conservatorio (1933) che con la ricchezza dei suoi programmi e l'altissima statura internazionale degli interpreti e dei direttori invitati rivitalizzò il panorama musicale cittadino.
La ricostruzione dell'attività di Cilea alla guida del Conservatorio di «S. Pietro a Majella» è costantemente rapportata agli avvenimenti e alle problematiche che di volta in volta caratterizzarono il coevo ambiente musicale partenopeo così da offrire uno spaccato delle condizioni in cui versava il 'pianeta-musica' nella Napoli tra le due guerre.


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Alfredo Tarallo

Il Galateo dei teatri: vizi e difetti sulla scena musicale di primo Ottocento

È ben noto quanto la storiografia si sia soffermata sulla crisi e sulle disfunzioni del teatro musicale durante tutto il corso del Settecento. Vizi, virtù, manie, consuetudini di una fruizione teatrale a dir poco discutibile emergono a tutto tondo. Meno chiara appare invece la situazione durante il corso del secolo successivo. La presente relazione intende fare luce sulle consuetudini e sui malcostumi del teatro ottocentesco, con particolare riferimento alla prima metà del secolo. Dai teatri cosiddetti 'minori' arrivano segnali sugli usi e costumi riguardanti, parimenti, i protagonisti della scena e della platea, cantanti/attori e pubblico, quanto meno discutibili. Sembra rinnovarsi col nuovo secolo tutta la liturgia della vita teatrale dell'ancien régime. Dalle maschere dei corridoi, al fitto dei palchetti e delle sedie, alle consuetudini della platea, alla condotta del botteghino, tutti i connotati di una pratica sociale ancora figlia per molti versi del secolo precedente emergono con singolare insistenza.
Il lavoro prende spunto dalla vita teatrale napoletana, e dalla sua intensa vivacità, dai suoi due teatri reali - San Carlo e Fondo - proseguendo il suo itinerario verso la complessa e articolata catena dei 'teatri minori' che fanno da corona all'attività primaria, soffermandosi poi sui teatri Fiorentini, Nuovo, Fenice, San Carlino, San Ferdinando, Partenope, Sebeto, Della Sorte, Della Posta.
La ricerca, opportunamente integrata col confronto delle cronache dell'epoca, dall'inizio del secolo fino ai primi anni Cinquanta, trae linfa essenzialmente dal prezioso 'fondo musicale' Lucchesi Palli, ancora in gran parte inesplorato, contenuto nell'omonima biblioteca napoletana, legato alle figure dei conti Ferdinando ed Eduardo Lucchesi Palli. Padre e figlio, entrambi cultori appassionati di teatro (rispettivamente marito e figlio di Adelaide Tosi, una delle cantanti piu affermate dell'epoca), da perfetti connaisseurs, accumulano, nel continuo girovagare tra i teatri di mezza Europa, una quantità impressionante di brevi saggi, annuari, opuscoli, strenne teatrali, periodici, programmi teatrali, libretti, estratti, e ogni sorta di pubblicazione occasionale. Emergono segnali polemici sugli abusi in teatro, dando corpo ad un diffuso sentimento di denuncia, che, nei singoli titoli, si tinge di significative assonanze con l'editoria settecentesca: Galateo dei teatri, Disciplina pe' i grandi teatri, Doveri e norme speciali per l'artista teatrale, Sulle ragioni del decadimento delli spettacoli nelli teatri in Napoli. Una folta schiera di polemisti fa da singolare contrappunto alle dotte teorizzazioni di Ritorni, Carpani, Mazzini; i nomi più oscuri di Savonarola, Lombardo, Larussa, Bongiovanni, De Simone, si parva licet, figurano in calce ad altrettanti saggi che offrono un impietoso spaccato della realtà musicale del tempo.


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Giuseppina Mascari

Il «Corriere delle Dame»: le notizie musicali degli anni 1804-1818

Nato a Milano nel 1804 come giornale di «letteratura, teatri e mode di Francia e d'Italia», il «Corriere delle Dame» ebbe una durata che ricopre quasi tutto l'arco dell'Ottocento (la sua pubblicazione continuò senza interruzioni sino al luglio 1875). Data la lunga vita del periodico si è reso necessario circoscrivere questa prima fase della ricerca all'analisi delle notizie musicali pubblicate nei primi quindici anni (1804-1818), periodo in cui il «Corriere delle Dame» fu fondato, diretto e in buona parte esteso da Carolina Arienti, moglie di Giuseppe Lattanzi.
In questi anni la rivista, che usciva ogni sabato e constava di otto pagine, si presenta con uno schema abbastanza costante per quanto riguarda la distribuzione di articoli e rubriche: nelle prime quattro pagine vengono riportati racconti e poesie, lettere, sentenze morali, brevi notizie di carattere sanitario, considerazioni su argomenti di vario genere; ampio spazio viene dato anche alla critica teatrale, la rubrica «TEATRI», quasi sempre presente, occupa la quinta e sesta pagina, seguita dalla rubrica di Moda e dal «Termometro Politico». Dal 1812 alla rassegna degli spettacoli teatrali verranno dedicate le prime pagine del giornale.
Per i primi due anni gli articoli musicali si limitano a recensire gli spettacoli dati nei teatri milanesi, ma già nel giugno 1806 viene pubblicato un estratto di lettera da Trieste che riporta alcune considerazioni sull'opera Armiro e Daura di Niccolò Giuliani, ivi rappresentata. Da principio sporadiche, col tempo saranno sempre più frequenti le recensioni di spettacoli di altre città (sia estratti di lettere, sia articoli ripresi da altre testate giornalistiche). Gli articoli musicali contenuti nella rivista nel periodo preso in considerazione non sono quasi mai firmati, ma molteplici elementi ci suggeriscono che furono in buona parte redatti dalla stessa Lattanzi, la quale più volte nel recensire gli spettacoli milanesi fa riferimento alle critiche riportate dalle altre due testate della città, il «Giornale italiano» e il «Corriere milanese», sottolineando la volontà di esprimere sulle pagine del suo giornale un proprio imparziale giudizio «senza convenire per nulla cogli altri corrieri per grossi e grandi che sieno». L'analisi degli articoli musicali comparsi sul «Corriere delle Dame» negli anni 1804-1818 risulta pertanto illuminante come punto di vista contemporaneo sulla vita musicale dei primi venti anni dell'Ottocento: oltre alle notizie sugli interpreti, cantanti e ballerini, troviamo spesso ampie considerazioni su libretti e librettisti, giudizi sulla musica, sui compositori e gli scenografi.
Il lavoro di spoglio delle notizie musicali è stato completato con la stesura di accurati indici.


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Valentina Marangi

Verso un thesaurus in materia di legislazione sui beni e le attività musicali

Un esame sistematico della legislazione statale riguardante i beni e le attività musicali rivela la mancanza di un trattamento autonomo, organico e puntuale della materia, per la quale tanto la denominazione, quanto la determinazione concettuale sono stati ottenuti derivandoli sic et simpliciter dalla più ampia categoria dei beni e delle attività culturali. Una riprova della frammentarietà e della disorganicità riservata dal legislatore alla musica è il pressoché costante inserimento degli articoli di legge aventi per oggetto i beni e le attività musicali all'interno di atti normativi di tutt'altro argomento. Tale circostanza rende assai complessa la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, e ciò anche perché la normativa sulla musica non è affatto quantitativamente irrilevante, nonostante la sua posizione marginale non solo rispetto alla totalità dell'apparato normativo, ma anche in rapporto alla categoria dei beni culturali.
È dunque emersa in ambito culturale l'esigenza di coordinamento e di semplificazione normativa - che ha ispirato per esempio il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali emanato con D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 -, rappresentativa di una tendenza già avvertita per l'intero ordinamento giuridico italiano, le cui caratteristiche rendono impossibile la piena conoscibilità degli atti del potere e di conseguenza il reale esercizio del principio democratico. Negli ultimi anni, l'attenzione con la quale si è guardato a tale fenomeno è cresciuta in modo considerevole. Da un lato, infatti, la necessità di disciplina per nuove materie e l'ormai imprescindibile sguardo alla normativa comunitaria hanno ampliato le proporzioni del problema. Dall'altro, l'avvento delle tecnologie informatiche e telematiche sembra potersi configurare come una soluzione innovativa, tanto in ordine al raggiungimento della maggiore conoscibilità possibile delle leggi, tanto riguardo ad un accesso ad esse non eccessivamente oneroso in termini economici e di tempo. D'altronde, se l'accessibilità alle banche dati telematiche potrà risolvere in un futuro prossimo il problema della disponibilità delle fonti giuridiche, è tuttavia necessario disporre di strumenti di raccordo fra le multiformi manifestazioni dell'attività musicale e il linguaggio, necessariamente generale e astratto, impiegato dal legislatore.
Tale finalità ha ispirato lo studio di un apposito thesaurus, costruito procedendo alla definizione delle relazioni fra termini di ambito musicale risultati validi per un'interrogazione delle banche dati istituzionali di contenuto normativo. Ideato come strumento di sussidio per lo studio, la ricerca e le attività professionali connesse con la musica, il thesaurus potrebbe rivelarsi utile altresì al legislatore nella fase di redazione delle leggi relative alla musica, in vista della progressiva e auspicabile definizione di un lessico giuridico costante e coerente.


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Michela Niccolai

Musica sacra ed Opera nella seconda metà dell'Ottocento: la Messa a 4 voci di Giacomo Puccini

La Messa a 4 voci con orchestra, datata 12 luglio 1880, fu presentata da Giacomo Puccini come prova d'esame per il brevetto di composizione all'Istituto Musicale Pacini di Lucca. La musicologia sembra non averle lasciato il giusto spazio, anche se ogni monografia pucciniana le dedica qualche riga.
Lo scopo di questa relazione è mettere in evidenza lo stretto legame della Messa con la tradizione musicale lucchese, fornendo un esempio di come si diffondeva la musica sacra nella seconda metà dell'Ottocento fuori dai maggiori centri di produzione musicale, di illustrare i legami stilistici e i topoi musicali che si sovrapponevano tra musica operistica e musica sacra, ed infine di mostrare come, sin dall'inizio della sua carriera, sia presente la dote di fine orchestratore che Puccini avrebbe mostrato meglio in ambito operistico.
Questo lavoro si propone anche di dimostrare come ogni centro italiano, nel periodo preso in esame, vantasse una capillare diffusione di musica d'uso, anche se spesso oggi è ancora sepolta nei fondi polverosi dei Conservatori o nelle biblioteche arcivescovili o seminariali.