Convegno internazionale di studi

Palmi (RC), Casa della cultura

29-30 novembre 2013

Programma (in pdf)


Locandina

Resoconto

Il 29 e 30 novembre 2013 si è svolto a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, il convegno internazionale di studi Nicola Antonio Manfroce e la musica a Napoli tra Sette e Ottocento promosso dall’Istituto di bibliografia musicale calabrese con sostegno del Comune di Palmi e del Mibac e patrocinato dall’Istituto per la storia della musica, dalla Società italiana di musicologia, dall’Istituto storico germanico di Roma (sezione storia della musica), dall’Associazione amici della musica ‘Manfroce’ di Palmi e dalla Fondazione ‘Ottavio Ziino’ (orchestra di Roma e del Lazio). Il convegno svoltosi a duecento anni della morte del compositore calabrese ha visto la presenza di illustri relatori, che si sono confrontati su una figura ancora oggi poco studiata e conosciuta nell’ambito storico musicale; un’ottima occasione di confronto e un’opportunità unica per trarre delle utili valutazioni sull’apporto artistico fornito da Nicola Antonio Manfroce nel primo Ottocento.

Dopo gli indirizzi di saluto del Sindaco di Palmi (Giovanni Barone), di Markus Engelhardt (Istituto storico germanico di Roma) e Agostino Ziino (Istituto di bibliografia musicale calabrese e Società italiana di musicologia) ha avuto inizio la prima sessione dei lavori congressuali presieduta da Francesco Paolo Russo, che ha messo in evidenza come la figura di Manfroce meriti ancora un’attenta riscoperta che passa, anche, attraverso lo studio dei documenti archivistici romani e lo studio approfondito di quei fermenti napoleonici nella Roma papalina di primo Ottocento.

Annunziato Pugliese (Nicola Antonio Mafroce e la critica) ha ripercorso e analizzato le fortune moderne e contemporanee del compositore attraverso lo studio della produzione critica; fra le tante occasioni vanno sicuramente segnalati gli articoli di Andrea Della Corte pubblicati sul «Mattino» di Napoli; le recensioni dell’Alzira sul «Corriere delle dame» e del «Giornale del Regno delle due Sicilie». Sicuramente, dobbiamo a Francesco Florimo il merito della riscoperta e della valorizzazione di questo compositore. Il profilo biografico che egli pubblicò all’interno della Scuola musicale di Napoli ancora oggi è un punto di riferimento per ricostruire le vicende di questo artista. Per gli anni recenti, il relatore si è soffermato sugli articoli pubblicati dalla «Gazzetta del Sud», da Francesco Canessa per il «Mattino» di Napoli e gli importanti studi di Domenico Ferraro, Carmelo Neri e Giovanni Carli Ballola.

Paolo Mechelli (Alzira: dramma per musica di Nicola Antonio Manfroce) ha analizzato l’Alzira, prima opera del compositore, che venne rappresentata, anche, al teatro della Pergola di Firenze nel 1813. Purtroppo, come ha evidenziato lo stesso relatore non vi è nessun riferimento a questa rappresentazione nei giornali fiorentini e nei carteggi vari del Fondo Lanari. Lo stesso si è soffermato, poi, sulle scene di prigione che compaiono all’interno del dramma, rilevandone le specificità, i gusti e gli apporti compositivi forniti dall’artista calabrese. Lorena Savini (Hecube/Ecuba. Approcci metodologici all’atto traduttivo) ha analizzato l’Ecuba dal punto di vista testuale, strutturale e morfologico. Soffermandosi in particolare sulla struttura librettistica di Giovanni Schmidt e sulla fonte letteraria di Jean-Baptiste Marie de Milcent accademico francese e segretario dell’Accademia Royale de musique.

Antonio Caroccia (Manfroce nelle fonti d’archivio e negli anni del Real collegio di musica di Napoli) ha ricostruito gli anni di studio e di formazione di Manfroce, soffermandosi sul sistema scolastico e teatrale messo in campo dal governo francese nella Napoli del tempo, con l’analisi di diversi documenti archivistici che testimoniano come il governo napoleonico tenesse molto all’artista calabrese, anche, negli ultimi giorni della sua vita, con cure mediche particolari.

Domenico Giannetta (L’Ecuba di Nicola Antonio Manfroce: analisi critica del manoscritto) ha analizzato il manoscritto dell’Ecuba di Manfroce dimostrando che la copia conservata nella biblioteca del Conservatorio di Napoli è opera di un unico copista, a differenza di quanto sostenuto in passato da Antonio Bacchelli. Per quanto riguarda l’orchestrazione ha dimostrato come sono degne di nota le scelte operate di volta in volta dal compositore in merito alla composizione dell’organico, alla disposizione grafica degli strumenti in partitura, ai raddoppi strumentali preferiti, e al bilanciamento fra i timbri orchestrali per ottenere i diversi effetti sonori richiesti dallo svolgimento drammaturgico dell’opera. Molto significativo è stato anche il confronto fra libretto e partitura, dal quale emerge come il giovane compositore abbia articolato il proprio pensiero formale in modo non del tutto corrispondente al progetto ipotizzato da Giovanni Schmidt preferendo, piuttosto, ricalcare il rassicurante modello della coeva tradizione operistica italiana. Interessanti, poi, sono le modulazioni fra toni lontani realizzate da Manfroce in modo improvviso, talvolta semplicemente accostando fra loro due tonalità tramite affinità di terza, che denota la forte personalità del giovane compositore, e anticipa una tecnica che diventerà peculiare del linguaggio schubertiano.

La sessione del 30 novembre presieduta da Markus Engelhardt, che ha messo in luce gli apporti scientifici della prima giornata di studi, è iniziata con Giuseppina Montagnese (La produzione cameristica di Nicola Antonio Manfroce) che si è soffermata sulla produzione giovanile del compositore, come ad esempio: le variazioni per pianoforte del 1809, le variazioni su Già a notte si avvicina, conservate nel fondo musicale della mediateca di Cinquefrondi; alcune sinfonie, diverse arie staccate delle due opere del compositore. Composizioni che risentono del periodo formativo del Collegio napoletano, in cui l’artista dimostra di aver assimilato i dettami espressi dalla scuola napoletana e di guardare già ai grandi modelli europei.

Sergio Pagliarulo (Tradizione e novità nella produzione sinfonica e sacra di Manfroce) ha analizzato la produzione sacra dell’artista: alcune messe, un Kyrie e Gloria, un Miserere a 3 voci, alcuni vespri e il Dixit. Nel contempo ha fornito, anche, alcune utili considerazioni sulla produzione sinfonica del compositore.

Giovanni Russo (All’origine dei ‘Manfroce’: l’ambiente musicale cinquefrondese e palmese) ha relazionato sulle origini del compositore dimostrando come i ‘Manfroce’ fossero una dinastia ben inserita nell’ambiente culturale-musicale calabrese dell’epoca, come Domenico Antonio Manfroce maestro della cappella di Palmi e Don Fortunato Manfroce esperto nel canto gregoriano.

Maria Paola Borsetta («…nel Mille ottocento tre, epoca di scarsi lucre della professione musicale…»: musicisti a Cosenza tra fine Settecento e inizio Ottocento) ha analizzato la produzione teatrale e musicale cosentina tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX rintracciando negli archivi calabresi una miriade di informazioni sui musicisti cosentini nel periodo indicato.

Francesco Bissoli (Intorno all’aria operistica dei primi dell’Ottocento) si è soffermato sulla nuova concezione drammaturgica dell’opera di primo Ottocento, in cui si inserisce a pieno titolo, anche, Manfroce, con l’espansione delle tradizionali forme settecentesche. Ha fornito poi delle utilissime riflessioni sull’Ecuba dimostrando delle analogie con la Ginevra di Scozia di Mayr.

I saluti finali del convegno sono stati affidati a Monsignore Francesco Milito (Vescovo di Oppido-Palmi), che si è congratulato con gli organizzatori e ha messo in luce l’importanza della riscoperta del compositore calabrese.

A latere del Convegno si è svolta la presentazione degli atti del convegno Giorgio Miceli e la musica nel Mezzogiorno d’Italia nell’Ottocento (Ibimus calabrese 2012) a cura di Annunziato Pugliese e Maria Paola Borsetta. Il volume è stato presentato da Carlo Fanelli, Francesco Paolo Russo e Agostino Ziino.

Da segnalare, infine, il concerto dei fiati italiani a cura degli amici della musica “N.A. Manfroce” di Palmi.

Antonio Caroccia