CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI
A CURA DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MUSICOLOGIA
E DELLA FONDAZIONE ARCADIA

con la collaborazione di:
Museo degli Strumenti musicali del Castello Sforzesco, Milano
Fondazione Scuole Civiche, Milano
Università degli Studi, Milano
(Sezione di Musicologia)
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
(Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna)

e il sostegno di:
Comune di Milano - Cultura
Comitato Nazionale "Le vie italiane di Mozart"
Fondazione Cariplo
Provincia di Milano - Cultura
 


Milano, Sala di lettura della Raccolta Bertarelli al Castello Sforzesco

19-21 maggio 2006

Il convegno è aperto al pubblico

Sommario degli Atti

Programma e resoconto

 venerdì 19 maggio 2006 – ore 15.00

  • Saluti delle Autorità, degli Enti organizzatori e collaboratori
  • Introduce e presiede Guido Salvetti
  • Giorgio Sanguinetti (Roma): Phainomena e profondità: suonare Mozart e l'analisi post-modernista
  • Friedrich Lippmann (Bonn): Sull'interpretazione mozartiana: a proposito di alcune composizioni in minore
  • Marco Moiraghi (Milano): Tempo e coerenza nelle Sonate per pianoforte di Mozart: analisi di alcune scelte interpretative
  • Harai Golomb (Tel Aviv): Musical analysis adopted or ignored by performers: how 'deaf' are directors of Mozart's operas?
  • Discussione

 

sabato 20 maggio – ore 9.30, presiede Alberto Basso

  • Simone Ciolfi (Roma): Eredità tartiniana nel classicismo viennese: da Giuseppe Tartini a Wolfgang Amadeus Mozart
  • Paola Carlomagno - Elena Previdi (Milano): Le orchestre italiane e i loro organici negli anni dei viaggi mozartiani
  • Stefano Crise (Trieste): Orchestre e sonorità all'epoca di Mozart
  • Walter Kreyszig (Vienna): The refrains with multiple versions in the Adagio of Mozart's sonata in c-minor, KV 457 as key to mid-eighteenth-century performance practice
  • Alfonso Alberti (Milano): «C'est tout Don Juan qui est là»: la Fantasia in do minore K 475 da Leschetizky a Sokolov
  • Discussione

 

sabato 20 maggio – ore 9.30, presiede Claudio Toscani

  • Christine Siegert (Colonia): Mozart sotto la direzione di Haydn
  • Noriko Manabe (New York): Don Giovanni's Elvira: analysis of the evolution of a Mezzo Carattere
  • Nicola Lucarelli (Adria): L'ornamentazione nelle opere di Mozart. Una proposta per il rondò di Sesto nella Clemenza di Tito
  • Marino Nahon (Milano): Ornamentazione vocale mozartiana: l'aria “Dove sono i bei momenti” dalle Nozze di Figaro
  • Natthawut Boriboonviree (Londra): Performance traditions of Mozart's instrumental music in nineteenth-century London
  • Discussione

 

domenica 21 maggio – ore 9.30, presiede Paologiovanni Maione

  • Marina Vaccarini Gallarani (Milano): Le rielaborazioni mozartiane di Peter Lichtenthal e il 'gusto teatrale' dei milanesi negli anni quaranta dell'Ottocento
  • Giuseppe Montemagno (Catania): «Je ne sais plus qui je suis». Su Les Noces de Figaro (Parigi, Théâtre Lyrique, 1858)
  • Giuseppina Mascari (Milano): «Uno stile, il quale non sopporta che la perfezione». Esecuzioni ed interpreti del Don Giovanni in Italia tra il 1866 ed il 1872
  • Anna Ficarella (Roma): Le opere di Mozart sotto la direzione di Gustav Mahler
  • Luca Mortarotti (Torino): Le revisioni novecentesche del Requiem
  • Discussione

 

domenica 21 maggio – ore 15.00, presiede Bianca Maria Antolini

  • Martin Harlow (Manchester): Mozart's Trio K.498 for clarinet, viola and piano and the masonic topic
  • Ugo Piovano (Torino): «Lei sa come mi stufo presto a scrivere per uno stesso strumento (che non posso sopportare)». Mozart e il flauto: quali brani e quali strumenti?
  • Uri Rom (Berlino): Mozart and the process of mourning- interpreting the string quintet in G minor K.516
  • Jacopo Pellegrini (Parma): Esiste una tradizione italiana del dirigere Mozart?
  • Giovanni Tasso (Torino): L'interpretazione di Mozart su disco: il caso di Christopher Hogwood
  • Discussione e Conclusioni 


Comitato scientifico: B.M. Antolini, A. Basso, P. Maione, M. Dellaborra, T. M. Gialdroni, F. Lippmann, G. Salvetti (coordinatore), C. Toscani, A. Ziino.


Info:

Società italiana di Musicologia
www.sidm.it

Fondazione Arcadia
www.fondazionearcadia.org
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T. +39 02 83 24 24 78; +39 02 83 24 24 78; F. +39 02 89 42 47 95

Ufficio stampa
Diana Leva
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T./F. +39 02 40 45 672
Cell. +39 340 666 28 65; +39 340 666 28 65 


Resoconto

Si è tenuto a Milano, dal 19 al 21 maggio scorso, presso la Sala di lettura della Raccolta Bertarelli al Castello Sforzesco, il convegno internazionale di studi “Interpretare Mozart”, organizzato dalla Società Italiana di Musicologia e dalla Fondazione Arcadia, con la collaborazione del Museo degli Strumenti musicali del Castello Sforzesco, della Fondazione Scuole Civiche di Milano, dell'Università Cattolica di Milano (Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna) e della Sezione di Musicologia dell'Università degli Studi di Milano e con il sostegno del Comune di Milano – Cultura, del Comitato Nazionale “Le vie italiane di Mozart”, della Fondazione Cariplo e della Provincia di Milano – Cultura.

Dopo i saluti delle autorità e degli enti organizzatori, il 19 maggio a partire dalle 15, si è svolta la prima sessione del convegno, presieduta da Guido Salvetti. Si sono aperti i lavori con la relazione di Giorgio Sanguinetti (Roma) Phainomena e profondità: suonare Mozart e l'analisi post-modernista. Il relatore ha introdotto il suo intervento con un excursus esplicativo delle due principali ideologie alla base dell'analisi musicale: quella organicistica o strutturalista, che pone al centro dell'indagine la ricerca di un substrato strutturale non immediatamente percepibile (relazioni motiviche, connessioni strutturali ad ampio raggio, modelli formali) e quella più in auge attualmente, nota come post-modernista, che pone l'accento su ciò che appare, sul phainomenon (comprendendo atteggiamenti diversi come il decostruzionismo, l'attenzione per la soggettività, la sessualità, il contesto culturale e sociale). Campo privilegiato di entrambe le metodologie e in cui la contrapposizione fra di esse appare accentuato è la musica di Mozart. Attraverso vari esempi tratti da composizioni mozartiane (Sonata in do minore K. 457, Fantasia in re minore K. 397, esposizione della Sonata K. 332), Sanguinetti ha mostrato come tale contrapposizione sia priva di senso, specialmente dal punto di vista dell'esecutore. Per loro natura gli aspetti di superficie occupano certamente un posto predominante nell'esecuzione, ma la loro forza rappresentativa non è in grado di dispiegarsi in assenza di una forza connettiva unitaria.

Un'impostazione estetica ha avuto invece la relazione di Friedrich Lippmann (Bonn) Sull'interpretazione mozartiana: a proposito di alcune composizioni in minore. Il relatore ha messo a confronto vari punti di vista nell'approccio alla musica di Mozart, con particolare riferimento agli aspetti demoniaco-passionali contrapposti a quelli sereni ed ilari. Alla luce di interpretazioni molto divergenti di composizioni in minore prese ad esempio (sinfonia in sol minore K 550, concerti per pianoforte K 466 e 491, in re e do minore), Lippmann evidenzia quanto sia necessario che la pluralità delle interpretazioni possibili nel campo estetico, di cui parla la prima parte della relazione, non conduca a un qualunquismo nella prassi laddove l'espressione mozartiana è univoca. Mozart rimane forse un po' più ambiguo di Beethoven. Ma mai in modo che all'interprete sia permesso mitigare l'espressione tragica dove essa è palese. La mera bellezza del suono svolge un ruolo in fin dei conti non decisivo e la ricerca di questa mera bellezza è un atteggiamento che al relatore non sembra mozartiano.

Marco Moiraghi (Milano), in Tempo e coerenza nelle Sonate per pianoforte di Mozart: analisi di alcune scelte interpretative, ha preso in esame l'intero corpus delle interpretazioni di molti dei maggiori interpreti di cui si hanno delle incisioni (tra gli altri, Glenn Gould, Claudio Arrau, Daniel Baremboim, Christoph Eschenbach, András Schiff, Jenõ Jandó). Finora non molto indagato, il problema del tempo – inteso come velocità, andatura – risulta essere cruciale per la valutazione del grado di coerenza che le varie Sonate, nella loro normativa articolazione in tre movimenti, possono manifestare. Moiraghi ha analizzato le varie interpretazioni rilevando le variazioni metronomiche all'interno di ogni esecuzione e confrontandole in due tabelle. In particolare, i casi KV 576 e KV 331 hanno mostrato la possibilità di scelte metronomiche fortemente coesive all'interno del corpus delle Sonate mozartiane. Il particolare metodo di indagine adottato si basa sulla convinzione che il sistematico raffronto fra diverse interpretazioni di elevato livello artistico possa permettere di cogliere alcuni tratti salienti del rapporto tempo-forma. Tali scelte non bastano certo, da sole, a spiegare il grado di coerenza interna della struttura e della texture di una data Sonata, ma sicuramente possono contribuire a corroborare i risultati di un'indagine analitica che voglia verificare il grado di organicità di queste composizioni.

L'ultimo intervento della sessione è stato di Harai Golomb (Tel Aviv): Musical analysis adopted or ignored by performers: how 'deaf' are directors of Mozart's operas? Il relatore, dopo aver posto l'accento sul ruolo delle gerarchie tra i vari elementi componenti qualsiasi forma d'arte ai fini di una più accurata comprensione della stessa, ha evidenziato come questo ha ancora più importanza nell'opera, dove peraltro convergono gli sforzi di varie figure professionali (non meno importanti, nonostante il più recente sviluppo, le figure di registi televisivi e tecnici preposti alla realizzazione di video). Attraverso vari esempi, Golomb ha dimostrato che molti direttori e registi sono attenti a condurre un'analisi accurata di tutte le direttive che Mozart fornisce attraverso la sua musica anche ai fini di un'interpretazione drammaturgica più efficace, mentre altri appaiono completamente “sordi” a questo tipo di indicazioni offerte generosamente dal compositore.

Il convegno è proseguito nella mattinata di sabato 20. La sessione è stata presieduta a partire dalle ore 9,30 da Alberto Basso. La relazione di apertura è stata quella di Simone Ciolfi (Roma), Eredità tartiniana nel classicismo viennese: da Giuseppe Tartini a Wolfgang Amadeus Mozart. Delle Regole per ben suonar il violino di Giuseppe Tartini, diffuso nel Settecento tra esperti e apprendisti, Leopold Mozart si servì per la redazione di alcuni passi del suo Versuch einer gründlichen Violinschule. È tra questi due trattati che il relatore ha condotto un confronto, rilevando poi gli elementi che permangono e vengono rielaborati nella musica di W. A. Mozart. Il “trattato” tartiniano, mai stampato dall'autore, non è solo un insieme di precetti solutori dei simboli convenzionali più o meno conosciuti, ma anche un discorso sulle risultanti espressive, sulla localizzazione appropriata, sull'effetto da ricercare nel momento di abbellire, sul significato globale, all'interno del tipo di brano scelto, da dare alla “diminuzione”. Tartini per parlare di ornamentazione è sempre costretto a parlare del tessuto musicale e delle sue caratteristiche, anche armoniche. La differenza sostanziale tra i due trattati sta quindi nel fatto che l'approccio di Tartini è caratterizzato da un atteggiamento scientifico tipicamente barocco. Leopold si limita invece a considerare con molta cura la soluzione e il rispettivo esercizio da svolgere per tutta la casistica dei simboli grafici d'abbellimento a lui nota. E' indubitabile che per Wolfgang Amadeus Mozart i precetti paterni in questo campo siano stati il viatico essenziale all'utilizzazione dell'abbellimento nella composizione. Ma con la sua maturità artistica, ciò che interessa al giovane Mozart è il potenziale espressivo soprattutto lirico dell'ornamentazione ereditata da Tartini. In questo aspetto si mantiene vivo un fondamentale precetto tartiniano: l'abbellimento è necessario per caratterizzare la melodia; esso è strumento essenziale della cantabilità. Il contatto tra l'universo dell'abbellimento tartiniano e quello mozartiano si consuma quindi nella sapiente saggezza con cui il più giovane reinterpreta la lezione tecnica trasmessagli dal padre e elabora la propria idea sul problema del rapporto tra vocalità e ambito strumentale.

Paola Carlomagno ed Elena Previdi (Milano), nell'intervento Le orchestre italiane e i loro organici negli anni dei viaggi mozartiani, hanno illustrato il loro lavoro di censimento e analisi delle compagini orchestrali, partito dalle lettere che Leopold e Wolfgang Amadeus Mozart scrissero durante i loro tre viaggi in Italia, e approfondito attraverso lo spoglio delle cronache, delle memorie e dei repertori teatrali dell'epoca. Il materiale visionato permette di fare luce su vari aspetti relativi alle sonorità orchestrali (caratterizzate anche dalla composizione degli organici, dalla presenza o meno di strumenti, ecc.) dei teatri di numerose città italiane (tra le quali Milano, Venezia, Napoli, Bologna, Verona, Mantova, Cremona, Brescia) che variano anche a seconda del contesto esecutivo. Particolare rilievo è riservato inoltre a protagonisti insigni di queste orchestre e ai loro strumenti che, già da alcune puntuali annotazioni dei Mozart, risultano essere elementi fondamentali per l'identificazione di un timbro orchestrale e di uno stile compositivo tutto italiano.

Lo stesso ambito di ricerca caratterizza la relazione successiva, quella di Stefano Crise (Trieste), Orchestre e sonorità all'epoca di Mozart. L'oratore ha indagato il particolare timbro che possedevano le orchestre, sempre più abili tecnicamente e ricche timbricamente, per le quali Mozart compone. Il suono orchestrale delle più significative realtà orchestrali europee dell'epoca è analizzato dal punto di vista dell'organico strumentale e del rapporto tra sezioni, della disposizione, dell'acustica ambientale e della prassi esecutiva degli strumentisti. La ricerca ha raggiunto perciò l'obiettivo di ricostruire un mondo sonoro e un timbro attraverso l'accumulazione di dati e notizie interpretate alla luce della prassi esecutiva dell'epoca e delle convenzioni sociali d'ascolto. La sua conclusione è che per quanto riguarda solo i rapporti tra gli archi la maggior discrepanza con le orchestre settecentesche è rappresentata dal rapporto troppo alto a favore dei violini verso i bassi, utile ad una cantabilità ancora romantica o forse ancora solo troppo poco classica.

Walter Kreyszig (Vienna) (The refrains with multiple versions in the Adagio of Mozart's sonata in c-minor, KV 457 as key to mid-eighteenth-century performance practice) ha analizzato le varianti che Mozart elebora del rondò della Sonata in do minore KV 457, note da pochissimo tempo grazie alla pubblicazione avvenuta nel 1990. Queste fonti hanno testimoniato come il processo compositivo di quest'opera si sia sviluppato in tre fasi. In una lettera alla Sig.ra Von Trattner, come racconta Niemetschek, primo biografo mozartiano, Mozart dà suggerimenti circa l'esecuzione della sua Fantasia in do minore KV 475. Considerando la stretta somiglianza formale all'epoca tra sonata e fantasia, queste considerazioni del compositore si possono quindi estendere al caso del rondò, una delle forme più libere del tempo. Ciò si può giustificare attraverso la ricerca da parte di Mozart finalizzata ad utilizzare questa forma molto popolare nelle sue composizioni (in particolare adattarla alla struttura della sonata in tre movimenti) e superare la distanza tra i vari generi. Queste considerazioni sono utili anche per comprendere meglio le abitudini compositive di Mozart e gli elementi di cui risentiranno le sue composizioni successive.

Alfonso Alberti (Milano), con «C'est tout Don Juan qui est là»: la Fantasia in do minore K 475 da Leschetizky a Sokolov, ha inteso giungere a delle conclusioni sulla tradizione interpretativa mozartiana attraverso l'analisi del maggior numero di incisioni possibile della Fantasia in do minore K 475. Ha preso in considerazione questa composizione per la sua importanza nella produzione pianistica di Mozart e per l'enorme quantità di interpretazioni documentate. Obiettivo quello di usare la Fantasia come una cartina di tornasole, che messa a contatto con interpreti diversi ne mettesse in evidenza somiglianze e differenze di vario genere, e per illustrare l'avvicendarsi di correnti interpretative nel Novecento. Molti i temi toccati: il rapporto col testo, la ricerca del suono mozartiano, il rapporto col tragico mozartiano, la ricostruzione di una prassi esecutiva. Il relatore è giunto ad affermare che, se è vero che la storia dell'interpretazione non segue una linea retta ma tende al labirinto e all'intreccio, alcune metamorfosi però paiono irreversibili. Alcune scelte sono state compiute, salvo forse essere smentite in un futuro non tanto prossimo.

La sessione pomeridiana iniziata alle ore 15 e presieduta da Claudio Toscani, si è aperta con la relazione di Christine Siegert (Colonia), Mozart sotto la direzione di Haydn. La relatrice ha illustrato in che misura Haydn come maestro di cappella ad Eszterháza abbia trattato la musica di Mozart. Di solito, egli non solo preparava le partiture per le produzioni o accorciava e trasponeva le arie, ma eliminava anche alcune arie, persino intere scene, e scriveva arie di supplemento o di sostituzione. In due casi troviamo Mozart nei materiali di Eszterháza: nel primo caso, Haydn sostituì l'aria “Un bacio di mano” K. 541 inserita ne Le gelosie fortunate di Pasquale Anfossi. Nel secondo caso, vi troviamo il materiale di Le nozze di Figaro preparato da Haydn per la rappresentazione. La Siegert ha illustrato dettagliatamente entrambi i casi passando in rassegna le varianti più importanti rispetto alle altre edizioni delle stesse opere ed ha concluso dimostrando che probabilmente Le nozze di Figaro fu solo preparata da Haydn ma mai rappresentata in quella corte.

È seguito l'intervento di Noriko Manabe (New York), Don Giovanni's Elvira: analysis of the evolution of a Mezzo Carattere. La relatrice, avvalendosi di numerosi esempi musicali, ha esposto la sua ricerca sul personaggio di Donna Elvira nella sua evoluzione da Molière a Bertati-Gazzaniga fino a Da Ponte-Mozart. Questo personaggio, contrariamente alle valutazioni di Dent o Steptoe, è il prodotto di un'evoluzione dall'interpretazione pia in Molière a quella tragicomica nell'opera di Bertati-Gazzaniga fino ad una resa ricca e complessa nel capolavoro di Da Ponte-Mozart. Vengono quindi illustrati gli aspetti comici e quelli tragici del personaggio esaltati o negati dall'interpretazione musicale prima di Gazzaniga e poi di Mozart. Quest'ultimo in particolare, attraverso salti, sforzando e sospirati, ha accentuato gli aspetti comici dell'Elvira di Da Ponte, contribuendo alla sua notevole complessità.

Nicola Lucarelli (Adria), nel suo intervento dal titolo L'ornamentazione nelle opere di Mozart. Una proposta per il rondò di Sesto nella Clemenza di Tito, ha voluto prendere in esame la prassi esecutiva dell'opera vocale mozartiana con particolare riferimento agli abbellimenti. Finora vi sono state due scuole a riguardo: da una parte i “puristi” ad oltranza, che non vorrebbero fossero eseguite nemmeno le appoggiature, e dall'altra quelli che invece ammetterebbero ogni sorta di variazioni e fioriture. Purtroppo però, anche in edizioni che dovrebbero essere caratterizzate da una certa uniformità interpretativa, si rilevano discontinuità e contrasti. Il relatore parte da un interrogativo: perché dovremmo escludere una ornamentazione estemporanea nelle opere mozartiane se la riteniamo non solo possibile, ma addirittura obbligatoria nelle opere dei suoi contemporanei italiani? Allora prende in esame il caso del rondò di Sesto ne La clemenza di Tito. Dovendo Mozart comporlo per Bedini, un noto castrato, scrive la melodia pura e semplice perché sarà poi il celebre castrato a prendersi le libertà dovute al suo rango (contrariamente a quanto il compositore faceva quando scriveva per cantanti donne). Lucarelli ha quindi cercato di ricostruire una possibile versione ornamentata dell'aria sulla base delle consuetudini delle epoca (tramandateci dalle varie fonti), dal confronto con le analoghe arie di Mozart e dei compositori italiani suoi contemporanei.

Anche la relazione di Marino Nahon (Milano) ha riguardato la prassi esecutiva vocale: Ornamentazione vocale mozartiana: l'aria “Dove sono i bei momenti” dalle Nozze di Figaro. Il relatore ha introdotto l'argomento parlando del genere al quale il brano appartiene, il rondò a due tempi, una forma la cui morfologia ipercodificata era costruita espressamente in funzione dell'improvvisazione virtuosistica del cantante, grazie alla frequenza delle ripetizioni tematiche e delle cadenze su corona. Illustrando con l'aiuto del pianoforte molti passaggi significativi del brano, Nahon dimostra che, se in altri casi Mozart accoglie senza riserve il carattere virtuosistico del rondò, nell'aria della Contessa una serie di raffinati accorgimenti fraseologico-formali sembrano invece sconsigliare l'intervento improvvisativo dell'interprete e piegare la forma ad un carattere raccolto ed intimistico. Il brano costituisce così un privilegiato territorio di confronto fra Mozart e le convenzioni morfologico-performative del suo tempo.

Attraverso l'analisi di numerose critiche giornalistiche dell'epoca, Natthawut Boriboonviree (Londra) (Performance traditions of Mozart's instrumental music in Nineteenth-Century London. Aspects of improvisation, ornamentation and revision) rileva un cambiamento nella prassi esecutiva nella prima metà dell'800 che asseconda un cambiamento nel gusto del pubblico e della critica, riferendosi in particolare alla vita musicale londinese e alla musica di compositori del periodo classico. Gradualmente diviene sempre più inaccettabile la manomissione a livello esecutivo di versioni originarie delle musiche eseguite, a maggior ragione se di compositori eccellenti come Haydn, Mozart o Beethoven. Precedentemente a Londra era pratica abituale adattare le partiture a diversi organici o renderle più agevoli in funzione delle diverse esigenze di programmazione (con particolare riferimento alla musica strumentale). Ora invece la musica di Mozart è considerata troppo perfetta per essere modificata con interventi di abbellimento o di improvvisazione. Da parte degli interpreti, assecondare questo “stile corretto” vuol dire peraltro tenersi al riparo da critiche negative. Si delineano quindi una serie di nuovi standard esecutivi che godranno di una notevole fortuna nei decenni successivi.

Anche l'ultima giornata di lavoro, di domenica 21, è stata divisa in due sessioni. La prima si è svolta nella mattinata sotto la presidenza di Paologiovanni Maione a partire dalle ore 10,30. Il primo intervento è stato quello di Marina Vaccarini Gallarani (Milano), Le rielaborazioni mozartiane di Peter Lichtenthal e il 'gusto teatrale' dei milanesi negli anni quaranta dell'Ottocento. Le numerose trascrizioni di opere mozartiane di Peter Lichtenthal custodite nel fondo Noseda della biblioteca del Conservatorio di Milano includono una rielaborazione di Idomeneo (1843) e un analogo adattamento della Entführung aus dem Serail (1839). Come è noto Lichtenthal riscrisse quasi completamente i libretti modificandone l'assetto drammaturgico e strutturò le partiture assemblando trascrizioni di brani per lo più mozartiani ma mantenne solo in minima parte le musiche originali delle opere. Piuttosto trascurato appare invece lo studio sui nessi che collegano questi testimoni alla tradizione delle varianti di produzione ottocentesche e alla ricezione mozartiana nel contesto teatrale e culturale milanese di quegli anni. Attestate possibili connessioni con il sistema impresariale dei regi teatri, non risulta, tuttavia, che le due opere siano mai state rappresentate in quella sede. Lo sfortunato esito dell'operazione induce a considerare criticamente il significato che questi testimoni assumono nell'ambito della ricezione mozartiana a Milano negli anni quaranta dell'Ottocento. Attraverso lo studio dei testi la ricerca ha quindi valutato le pesanti manomissioni drammaturgiche e musicali apportate da Lichtenthal alla luce della loro reale efficacia sul “gusto teatrale” dell'epoca.

Anche la relazione di Giuseppe Montemagno (Catania), «Je ne sais plus qui je suis». Su Les Noces de Figaro (Parigi, Théâtre Lyrique, 1858), ha riguardato la ricezione dell'opera mozartiana, stavolta però a Parigi. L'8 maggio 1858 si rappresentano al Théâtre Lyrique di Parigi Les Noces de Figaro, opéra-comique in quattro atti d'après Beaumarchais, in una nuova versione francese firmata da Jules Barbier et Michel Carré. I due librettisti inaugurano così una felice stagione di repêchages mozartiani. i testi si sarebbero rivelati come interessanti operazioni di adattamento al gusto ed alle convenzioni in voga sulle scene parigine. La metamorfosi del dramma giocoso dapontiano, con la trasformazione dei recitativi originali in recitati, viene inizialmente presentata come un'utile occasione per recuperare e valorizzare alcune pagine del capolavoro di Beaumarchais. Un contenzioso con la Comédie Française, titolare dei diritti di rappresentazione della fonte letteraria, avrebbe però costretto i librettisti a riscrivere i dialoghi della nuova versione. Nella Parigi del Second Empire, le rappresentazioni mozartiane del 1858 non vanno considerate solo come preziosa testimonianza di un'epoca e del desiderio di riappropriarsi di una zona del repertorio, ripreso e modificato secondo mutate esigenze. Feconda di risultati può risultare l'indagine di alcuni appunti manoscritti, ora confluiti nel fonds Barbier della Bibliothèque Musée de l'Opéra di Parigi, relativi alle sezioni dei recitati, interamente riscritti, e la consultazione di un libretto, pubblicato in occasione di una ripresa dello spettacolo realizzata nel 1862, contenente annotazioni sulla mise en scène dell'opera. La lettura dei documenti suggerisce un inedito approccio interpretativo, che privilegia la ricerca dell'effetto nella strutturazione complessa del tableau, l'elemento più significativo di un'impostazione drammaturgica di segno tardo-Ottocentesco, funzionale ad inserire il dramma mozartiano in un nuovo quadro scenico-spettacolare.

La relazione di Giuseppina Mascari (Milano): «Uno stile, il quale non sopporta che la perfezione». Esecuzioni ed interpreti del Don Giovanni in Italia tra il 1866 ed il 1872, ha affrontato il tema della fortuna di Mozart in Italia con particolare attenzione al periodo tra il 1866 ed il 1872, anni in cui si registra un momento di vera e propria voga del Don Giovanni nei teatri del centro-nord della penisola. In questo breve arco di tempo si ebbero ben 24 riprese del capolavoro mozartiano ed in particolare Milano si mostrò assai sollecita nell'allestire quest'opera. Se nella maggior parte dei casi l'opera venne rappresentata in teatri minori delle grandi città o in teatri di provincia, nel marzo del 1871, dopo un lungo periodo di assenza Don Giovanni tornerà sulle scene del Teatro alla Scala. La relatrice ha seguito le vicende di queste riprese con una particolare attenzione ai giudizi espressi sulla stampa coeva in merito alle esecuzioni ed agli interpreti. In alcuni casi, infatti, accanto a valutazioni generiche si possono trovare interessanti disamine delle prove dei cantanti che si cimentarono nei diversi ruoli di questa complessa partitura. Da rilevare che da ripresa a ripresa alcuni nomi ritornano con una certa frequenza: Paolina Vaneri (Donna Anna), Enrichetta De Baillou (Zerlina), Giacomo Piazza (Don Ottavio) o Raffaello Giacomelli (Leporello). Tra tutti emerge però la figura di Francesco Steller che in più occasioni si esibì nella parte del protagonista e che fu definito come “Il più perfetto Don Giovanni che si possa desiderare a' nostri tempi”, un artista che per canto e capacità sceniche sembrerebbe non aver avuto rivali in questo ruolo.

Le opere di Mozart sotto la direzione di Gustav Mahler. Questo il titolo dell'intervento di Anna Ficarella (Roma). Mai abbastanza celebrato è stato il decisivo contributo di Gustav Mahler alla nascita di un modello di teatro musicale moderno durante i dieci anni di direzione della Hofoper di Vienna (1897-1907). Fulcro del suo progetto di riforma “umanistico” (come lo definisce Duse) delle stagioni teatrali viennesi fu il recupero di tutto il teatro mozartiano, anche di opere cadute nell'oblio ottocentesco quali Così fan tutte, secondo una visione storicistico-culturale cui si accompagnava la volontà di conferire ad ogni rappresentazione il carattere esemplare di „Festspiel“, di evento teatrale lontano da ogni routine. L'opportunità di una ri-scoperta integrale del teatro mozartiano fu il cosiddetto “Mozart-Zyklus” organizzato da Mahler nella stagione 1905/06 in occasione del 150° anniversario della nascita di Mozart. In questa missione rivoluzionaria della prassi teatrale, Mahler non seguì schemi aprioristici. Il contributo di Mahler alla rinascita mozartiana dell'inizio del Novecento è stato esaminato dalla Ficarella da due punti di vista: il primo più specificatamente teatrale, cercando di individuare l'approccio mahleriano alla messinscena delle opere mozartiane sulla base delle testimonianze dell'epoca (bozzetti, recensioni, documenti memorialistici di cantanti e collaboratori, ecc.); il secondo, strettamente musicale, teso a ricostruire alcuni aspetti particolarmente innovativi della prassi interpretativa mozartiana, in particolar modo dei recitativi, sulla base dell'esame delle partiture utilizzate da Mahler a Vienna e conservate nell'archivio della Hofoper.

Luca Mortarotti (Torino) ha illustrato i risultati della sua ricerca su Le revisioni novecentesche del Requiem. Oltre alle parti vocali e alla linea del basso, scritte per intero dal salisburghese, rimangono solamente alcuni frammenti destinati ad essere il canovaccio sul quale si basarono i compositori vicini a Mozart. Il primo di questi fu Josef von Eybler, che intraprese inizialmente il lavoro, salvo poi declinare presto l'invito della vedova di Mozart, mentre il secondo fu Franz Xaver Süssmayr, che completò la strumentazione standard che oggi tutti conosciamo. Nonostante le aspre critiche rivolte all'ultimo allievo di Mozart, il Requiem fu guardato con timoroso riserbo e nessuno osò mettervi sopra le mani fino agli anni Settanta del secolo scorso. Tra il 1971 e il 1993, furono pubblicate cinque nuove strumentazioni: Franz Beyer (Eulenburg, Zürich 1971; poi Kunzelmann, Adliswil, Lottstetten 1980); Richard Maunder (Oxford University Press, Oxford and New York 1988); H.C. Robbins Landon (Breitkopf & Härtel, Wiesbaden 1992); Duncan Druce (Novello & Co., London and Sevenoaks 1993); Robert D. Levin (Hänssler-Verlag, Neuhausen 1994). Le edizioni citate propongono delle strumentazioni alternative a quella di Süssmayr, alcune ricusando parzialmente il materiale dell'allievo di Mozart (Beyer), altre facendolo in toto e proponendo versioni composte completamente ex novo (Maunder, Druce, Levin). Robbins Landon invece riesuma parte degli schizzi superstiti di Eybler e su questi basa parte della propria ricostruzione. Il relatore ha affrontato uno studio comparativo tra le varie strumentazioni, in rapporto agli schizzi di Mozart, Eybler e la versione di Süssmayr. Sono così sorti alcuni interrogativi cui Mortarotti ha cercato di rispondere. Probabilmente non ha senso oggi sostituire la versione canonica del Requiem, che, per quanto deficitaria, fu approntata da un contemporaneo in stretti rapporti con Mozart. Tra l'altro, anche se tutti concordano sul fatto che Süssmayr fosse un compositore di terz'ordine, siamo certi che non lo siano anche alcuni dei revisori nostri contemporanei e che dietro a queste iniziative non vi siano anche ragioni di carattere puramente commerciale? E quanto le strumentazioni aderiscono ai canoni di un'orchestra del Settecento e, più ancora, alla tecnica strumentale/orchestrale dell'ultimo Mozart?

L'ultima sessione del convegno, presieduta da Bianca Maria Antolini, si è svolta nel pomeriggio di domenica 21 a partire dalle ore 15. Ha avviato la sessione la relazione di Martin Harlow (Manchester), Mozart's Trio K.498 for clarinet, viola and piano and the masonic topic. Con questa ricerca, Harlow ha voluto porre l'attenzione sugli elementi massonici presenti nella musica di questo trio finora poco presi in considerazione. Fu scritto l'anno successivo all'adesione di Mozart alla Massoneria per un'esecuzione domestica in casa del barone von Jacquin con Mozart stesso come violista e Anton Stadler come clarinettista. Anche quest'ultimo proprio nel 1786 era entrato a far parte della Massoneria. Connessioni intertestuali ad opere massoniche di Mozart (la cantata Die Maurerfreude K.471 e la Maurerische Trauermusik, K.477, scritte nel 1785) stabiliscono come il trio sia una manifestazione strumentale degli stessi ideali massonici. Attraverso numerosi esempi, il relatore ha esplorato i vari elementi stilistici e formali che mettono appunto in relazione questo trio con le opere massoniche sopra citate, rilevando com'è di fondamentale importanza per l'interprete di oggi conoscerli e dar loro il giusto peso nell'esecuzione.

L'intervento di Ugo Piovano (Torino) ha avuto come titolo «Lei sa come mi stufo presto a scrivere per uno stesso strumento (che non posso sopportare)». Mozart e il flauto: quali brani e quali strumenti? La lettera inviata il 14 febbraio 1778 da Mannheim al padre rappresenta a prima vista un giudizio negativo inequivocabile di Mozart nei confronti del flauto. In realtà è possibile anche una lettura meno drastica che intende il “che non posso sopportare” riferito più al fatto che Mozart aveva avuto dal dilettante olandese De Jean la commissione di scrivergli “tre concerti brevi e facili e un paio di quartetti” e quindi si era annoiato concentrando il proprio estro su un solo strumento. Il relatore ha cercato di fare il punto sugli studi esistenti sul rapporto fra Mozart ed il flauto e di individuare le ricerche necessarie a completare in modo soddisfacente l'argomento. Infatti molte questioni restano ancora aperte. In primo luogo si deve ancora oggi ricostruire in modo definitivo quali siano i brani scritti per flauto. In secondo luogo è importante ricostruire l'impiego del flauto nei lavori orchestrali. Infine, la questione fondamentale da risolvere è quale fosse il flauto per il quale Mozart scrisse le sue composizioni. È necessario quindi analizzare le sue partiture partendo dai pochi autografi e dalle edizioni originali, contestualizzando però i brani alla luce del repertorio dell'epoca: il solo, il brano con flauto ad libitum, il quartetto, il concerto. Ma è anche necessario ricostruire la storia e l'evoluzione dello strumento e la sua penetrazione nelle orchestre e nelle cappelle musicali dell'epoca. A questo fine, Piovano ha esemplificato le tecniche di esecuzione flautistica utilizzando vari tipi di flauto in uso all'epoca di Mozart.

È seguito l'intervento di Uri Rom (Berlino), Mozart and the process of mourning-interpreting the string quintet in G minor K. 516. Solo il comprendere la struttura complessiva di questo quintetto e le relazioni tra le sue varie parti può portare ad una interpretazione convincente dell'opera. Il relatore ha quindi analizzato il quintetto rilevando come la sua struttura sia l'unione di diverse fasi di un processo continuo. Rom si è prefisso quindi di evidenziare una struttura narrativa conducendo una comparazione dell'opera con il processo del dolore come descritto dalla moderna psicologia. Egli pone l'accento quindi sull'uso dei trilli, dei cromatismi e delle soluzioni armoniche inusuali del tetracordo. La stessa organizzazione dei periodi estremamente complessa e inusuale accentua la formazione di tensioni musicali. Quest'opera appare allora come rivoluzionaria e questa lettura interpretativa può aiutare a renderne l'esecuzione più convincente.

Nella relazione successiva, Giovanni Tasso (Torino) ha trattato L'interpretazione di Mozart su disco: il caso di Christopher Hogwood. Per molto tempo, a livello discografico, gli interpreti 'filologi' hanno evitato di confrontarsi con l'opera del compositore salisburghese, concentrandosi sui grandi protagonisti del Barocco. All'inizio degli anni Ottanta Christopher Hogwood ha avviato un progetto pluriennale di integrale delle opere orchestrali basato su criteri radicalmente nuovi. Sono state prese in considerazione tutte le sinfonie conosciute e nel progetto è stato coinvolto un musicologo – Neal Zaslaw – che grazie a un serio studio storico e stilistico in alcuni casi ha contribuito a proporre prospettive radicalmente diverse che hanno sollevato questioni di importanza sostanziale. Dopo una fruttuosa ricognizione dei concerti per violino e per strumenti a fiato Hogwood ha poi affrontato con il fortista inglese Robert Levin l'integrale dei concerti per pianoforte e orchestra, cercando di avvicinarsi concretamente alle logiche esecutive degli ultimi anni del XVIII secolo. Fino a pochi anni fa, molti critici, parlando di varie edizioni, troppo spesso hanno anteposto il gusto e i personalismi di interpreti (peraltro di alto livello) al genio dell'autore. Pur con tutte le dovute cautele, il relatore ha affermato che l'edizione di Hogwood rappresenta il primo tentativo veramente organico di riportare il verbo di Mozart sotto la piena luce dei riflettori. Grazie a un approccio libero e fantasioso, in parte basato sull'improvvisazione, questi dischi rappresentano ancora oggi un riferimento fondamentale nella discografia mozartiana.

Ha chiuso il convegno l'intervento di Jacopo Pellegrini (Parma), Esiste una tradizione italiana del dirigere Mozart?. Pellegrini ha esaminato le occasioni in cui in Italia è stata eseguita musica di Mozart nel '900 da parte di direttore italiani. Prendendo in considerazione i maggiori di questi, a partire da Arturo Toscanini, il relatore ha rilevato come fino al secondo dopoguerra ci sia stato un approccio molto timoroso e come queste esecuzioni abbiano avuto ben poca fortuna. Uniche eccezioni i casi di Marinuzzi e Gui, che con Toscanini però ebbero sempre un rapporto conflittuale. Nel secondo dopoguerra le cose cominciano a cambiare con le esecuzioni di Cantelli e Giulini, ma anche dello stesso Toscanini che era giunto, come scrisse Giulio Confalonieri, a «capire in tutti i suoi termini l'infinita grandezza di Wolfango Mozart».

 

Angela Nisi