sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica

organizzato dalla Regione Lazio - Comune di Latina

Campus internazionale di Musica e Istituto di Studi Musicali “G. Petrassi”

in collaborazione con Associazione Industriali di Latina,
Cidim Comitato Nazionale Italiano Musica,
Conservatorio Statale di Musica di Latina,
Coro Lirico Sinfonico Romano,
Curia Vescovile di Latina,
Edizioni Suvini Zerboni-SugarMusic,
Fondazione Roffredo Caetani,
Fondazione Teatro dell’Opera di Roma,
Fondazione Teatro alla Scala,
Fondazione “Amici Adriana Panni”,
Istituto di Bibliografia Musicale,
RAI Radio 3, RAI International,
Società Italiana di Musicologia

Latina, Palazzo della cultura

16-19 giugno 2004

Resoconto

Dal 16 al 19 giugno 2004 si sono svolte a Latina, Palazzo della Cultura, una serie di manifestazioni dedicate a Goffredo Petrassi, organizzate dal Campus Internazionale di Musica comprendenti una mostra di manoscritti, un convegno e vari concerti con numerose prime esecuzioni.

Dopo l'apertura della manifestazione con il saluto dell'autorità e l'inaugurazione della mostra documentaria curata dall'Istituto “Petrassi”, la prima sessione musicologica del Convegno (giovedì 17 mattina) si è aperta nel solco del tema “Petrassi: l'uomo e il suo tempo”. Il presidente di turno, Michele Dall'Ongaro, ha sottolineato – introducendo i lavori – due aspetti dell'essere nel suo tempo di Petrassi: uno, propriamente compositivo, stava nella sua capacità di “petrassizzare” ciò che assorbiva, come una spugna (ma selettiva), nella musica del Novecento; l'altro, nella capacità – in una città che, a differenza di Milano, non aveva un sistema-musica rodato di case editrici in vista, contatti regolari con l'estero, istituzioni didattiche e teatrali di lungo corso – di “far sistema” con la sua persona, ovvero con le molteplici relazioni che assommava.

Nella prima relazione (Il ruolo di Petrassi nella politica culturale del regime fascista), Guido Salvetti ha efficacemente tracciato l'itinerario dell'attraversamento petrassiano nelle strutture politico-culturali del fascismo, dall'impiego al Minculpop e poi al Sindacato Fascista dello Spettacolo e della Musica, fino al segretariato della Federazione Internazionale (leggi: italo-tedesca) di Compositori, nel 1942-43; entro queste strutture, Petrassi maturò la consuetudine a trattare con gli interpreti prim'ancora delle direzioni artistiche successive (La Fenice e Biennale) alle quali fu voluto da Nicola De Pirro; quest'ultimo è apparso, ancor più di Bottai, il punto di riferimento entro il PNF dell'intellettualità che aspirasse almeno ad una certa larghezza di vedute in fatto di politica culturale: un'istanza che la claustrofobia dell'ultima Federazione – e l'abbandono italiano della SIMC – contraddiceva nei fatti.

Il seguente intervento (L'epistolario di Goffredo Petrassi nella biblioteca – archivio dell'Istituto di Studi Musicali “G. Petrassi” di Latina) ha assunto un carattere collettivo, essendo stato portato dai due capofila (Giancarlo Rostirolla e Federica Nardacci) di un pool di studiosi e catalogatori che, presso l'Istituto suddetto, ha compiuto nei mesi antecedenti un primo lavoro di catalogazione delle fonti petrassiane primarie. Rostirolla ha illustrato caratteristiche e contesto dell'o-perazione, condotta dalle forze dell'Ibimus, mentre i dettagli e i contenuti sono stati approfonditi dalla Nardacci, che ha evidenziato l'ampiezza assoluta, il calibro dei numerosi corrispondenti, dunque la ricchezza dell'epistolario petrassiano, soprattutto per gli anni precedenti e seguenti la guerra. Gian Paolo Minardi (Tentazioni neoclassiche) ha affrontato l'argomento del Petrassi neoclassico – in senso cronologico, ma anche estetico – partendo da alcune recenti, controverse annotazioni di Boulez sulla “ingenuità” della musica italiana quale suo dato specifico nel Novecento. Hanno chiuso la sessione gli interventi programmati di Landa Ketoff (inviato per iscritto), di Luciana Galliano (su Petrassi e i compositori giapponesi) e del compositore Ivan Vandor, allievo di Petrassi.

La sessione del pomeriggio, “Petrassi tra modernità e contemporaneità”, presieduta prima da Dall'Ongaro poi da Gabriele Bonomo, si è aperta con l'intervento di Roberto Prosseda (al suo attivo un'eccellente integrale pianistica di Petrassi) La musica pianistica di Petrassi. Riflessioni di un interprete, che non è stato solo un percorso narrato in prima persona attraverso la produzione pianistica di Petrassi (il cui fulcro solistico sono le otto Invenzioni), ma anche attraverso la sua ricezione interpretativa, grazie agli ascolti proposti da Prosseda.

Joachim Noller (Gestualità come forza innovatrice) ha osservato come l'accostamento alle tecniche dodecafoniche procede, in Petrassi, parallelamente a un'implicita critica della dodecafonia come potenziale sistema chiuso: un pericolo che, negli anni del massimo entusiasmo italiano per la dodecafonia, non era assente dall'orizzonte. L'obiettivo petrassiano è invece un “sistema aperto”, nel quale anche la tecnica dodecafonica possa avere (come accade nella Recréation concertante) un ruolo catalizzante, non normativo, accanto ad altri stili praticabili; da qui, le considerazioni sulla forma in Petrassi (che non segue l'informale, bensì la “forma libera” della tradizione sinfonica italiana) e su quelle sottili referenze che creano, anche nei brani “assoluti”, una rappresentazione sublimata, sostitutiva del suo ambivalente rapporto col teatro musicale.

Gianluigi Mattietti ha, in L'ultimo Petrassi, scavato analiticamente entro due lavori sinfonici tardi (Poema per archi e trombe, e Frammento) per coglierne analogie e differenze col Petrassi precedente: processi e “artigianato” non cambiano, mentre i materiali si dirigono verso un'esaltazione delle dimensioni timbriche e armoniche più che ritmico-tematiche; permangono nella forma i contrasti, ma sempre più affiancati da trasformazioni continue della materia sonora; cambiano anche alcune funzioni: l'arabesco acquisisce caratteri di turbolenza, l'armonia è disposta a rapprendersi in fasce-fondali statici o a rarefarsi fino alla polverizzazione, le linee diventano nervature.

Pierre Michel ha affrontato Alcuni aspetti della scrittura in Serenata, Tre Per Sette, Estri attraverso categorie morfologico-percettive elaborate da Ligeti e Murail, in particolare quella di texture, intesa come struttura nella quale, più che l'articolazione delle parti, è decisiva la percezione statistica-globale delle sue caratteristiche; è emersa così la dinamicità e la varietà, anche in lavori contigui nel tempo e destinati tutti all'organico cameristico, delle strategie di costruzione formale messe in opera da Petrassi.

Con la terza sessione (venerdì 18 mattina) la riflessione si è spostata sul rapporto tra “Petrassi e le altre arti”, rapporto notoriamente fecondo. David Osmond-Smith, analizzando la prossemica dell'arte ufficiale fascista, ha provato a rintracciare un'analoga prossemica musicale nelle opere dell'anteguerra, con la quale anche Petrassi doveva in qualche modo – attraverso la mediazione dello stile neoclassico – venire a patti; l'iconicità musicale prodotta dall'assenza di ripensamenti dell'arte fascista e dal “movimento in sé” propugnato nel futurismo, si traduce in Petrassi in forme già sfumate nella Partita (in quanto raccolta di danze, nelle quali la body-map è di necessità meno radicalmente “mascolina”), più affermative nel Salmo IX (anche in connessione ad emblematiche scelte testuali), per rovesciarsi in una nuova maturità col Coro di morti.

Daniela Tortora, in “Danza - Pittura” - Musica intorno a Morte dell'Aria, ha focalizzato l'attenzione sul rapporto creativo tra Petrassi e il pittore/scrittore Toti Scialoja, individuandone alcune coordinate già nell'animazione culturale attorno a Casella, il quale – collezionista e amico di pittori anch'esso – aveva posto alcune questioni sul teatro musicale in formule prossime a quelle poi seguite da Petrassi. L'invenzione figurativa alla base di Morte dell'aria è emersa quindi dall'esposizione dei documenti figurativi illustrati, “originari” rispetto al libretto messo a punto da Scialoja stesso (anche scenografo della pièce, come di varie altre in quegli anni).

Jacopo Pellegrini ha giustamente rilevato come costante, nel teatro petrassiano, quella della “follia”, destinata o a guarire, o a sublimarsi nella fedeltà – seppur tragica – all'idea, o a liberarsi nella danza: Petrassi e la follia è stato dunque un panorama ragionato dei 4 lavori di teatro musicale racchiusi negli anni 1942-50 e degli altri progetti non concretizzati, ancora appartenenti a quel periodo o ad anni limitrofi; questo panorama si è aperto con una disamina del primo scritto dedicato da Petrassi al teatro musicale, e si è evoluto verso una considerazione del cammino coevo degli studi psicologici e psicanalitici in Italia.

La quarta sessione, nel pomeriggio, è stata presieduta e aperta da Luigi Pestalozza, con un intervento introduttivo (Perché Petrassi) denso di motivazioni sull'interesse ancora attuale della figura del compositore, segnalando come la peculiarità degli autori italiani all'altezza degli anni di Darmstadt fosse la non-dominanza della categoria di “progresso”, in favore di una concezione dialettica della storia. Susanna Pasticci (Un maestro e i suoi maestri: modelli di artigianato formale della scrittura petrassiana) ha connesso il ruolo didattico, ricoperto autorevolmente dallo stesso Petrassi per quasi tutta la vita, con quello della riconoscibilità stilistica, la quale, per il Petrassi autore, non è mai stata un problema, per un duplice ordine di fattori: l'eclettismo, ma l'assoluto non-epigonismo, dell'autore, e la non-negatività del valore dell'influenzabilità – come capacità di integrarsi in una tradizione – desunto da Eliot.

Enzo Restagno, in Petrassi oltre le definizioni, ha tessuto una rete di ricordi e testimonianze, volte fra l'altro a mettere in secondo piano la semplificante contrapposizione tra un Dallapiccola dodecafonico e un Petrassi neoclassico, proprio in anni (i Cinquanta) in cui non si poteva più parlare di neoclassicismo tout-court. Alberto Bosco (Vita dell'Aria: il Grand Septour) ha annodato, attraverso la dedica del brano nel suo titolo, un ritratto doppio Petrassi-Donatoni, figure curiosamente complementari in alcuni loro tratti. Matteo Pennese, in L'insegnamento di Petrassi, ha provato a disegnare un'immaginaria presenza petrassiana nella didattica della composizione oggi, rinvenendone valori che sono stati, nell'effettualità storica, il suo pregio. Hanno chiuso la sessione interventi programmati e testimonianze di Aldo Clementi, Franco Oppo, Fausto Razzi (tutti allievi di Petrassi), Giorgio Maulucci e Paolo Rotili.

L'ultima sessione (sabato 19 mattina), dedicata a “Petrassi e il sacro”, è stata presieduta ed aperta da Giovanni Carli Ballola, per proseguire con l'intervento di Alessandro Solbiati (Il coro e la sacralità universale in Petrassi). Gli spunti analitici attinti ai Mottetti per la Passione, alle Orationes Christi, ai Tre Cori sacri e al Kyrie sono serviti a evidenziare la compresenza di due atteggiamenti verso il passato musicale: un senso fortissimo della tradizione (intesa come radici profonde in grado di rigenerare frutti nuovi) e un approccio più “neoclassico”, che estrapola e riproduce chirurgicamente glossemi del linguaggio musicale; per Solbiati, in Petrassi sono presenti, in forme corrispettive a queste (quanto a legame con i testi musicati), altrettanti atteggiamenti verso il sacro: uno fideistico, catechistico, dottrinale, ed un altro problematico, corroso dal dubbio e dall'assenza (diversa dalla non-esistenza) di Dio. La presenza di moduli di scrittura corrispondenti, insieme a quella di sezioni auree per sottolineare parole testuali rilevanti assieme agli snodi formali, è stata rintracciata nei brani citati, fino al magistrale ed austero Kyrie, ultima pagina petrassiana.

Reti inter-testo, -codice e -genere nella musica per il documentario La porta di S. Pietro di Manzù ha infine toccato, accanto ai rapporti con il sacro e con gli artisti figurativi, la questione dell'impegno di Petrassi nel campo della musica per audiovisivi: dopo la visione del documentario, girato da Glauco Pellegrini e sonorizzato con musiche originali da Petrassi, Alessandro Mastropietro ha ripercorso le produzioni e le testimonianze petrassiane sulla musica da film, segnalando come i lavori documentaristici (e questo in particolare) fossero da Petrassi quelli più favorevolmente ricordati, per una specifica predisposizione del genere ad accogliere musica il cui valore estetico fosse sopra la media della tappezzeria sonora o della onesta funzionalità. Ricostruiti i contatti tra Petrassi e Manzù (scenografo di una ripresa della Follia d'Orlando), il cortometraggio è stato analizzato in parallelo sotto l'aspetto narratologico e compositivo, evidenziando una particolare consonanza (e uno sbilanciamento linguistico in avanti notevole per il Petrassi cinematografico) in corrispondenza delle parti che illustrano le difficoltà e i ripensamenti creativi dello scultore.

Parallelamente ai lavori del Convegno, il Campus Internazionale di Musica ha proposto numerose performance musicali, curate da Marcello Panni, Gabriele Bonomo, Luigi Pestalozza, Giovanni Carli Ballola e Mario Bortolotto, con la partecipazione – in genere interpretativamente ottimale – dell'Orchestra di Roma e del Lazio, dell'Ensemble Algoritmo diretto da Marco Angius, dell'Icarus Ensemble diretto da Flavio Emilio Scogna, del Coro da camera “G. Petrassi” diretto da Stefano Cucci e di vari bravi solisti. La presenza, accanto a numerosi brani petrassiani, di molte prime assolute chieste per l'occasione a compositori italiani, permette di augurarci che “Il secolo di Petrassi” non rimanga solo il Ventesimo….

Alessandro Mastropietro