Conservatorio di Musica di Perugia
in collaborazione con
la Società Italiana di Musicologia

Convegno di studi

Perugia, Conservatorio di musica

4-6 ottobre 2002

Sommario degli Atti

Resoconto

In occasione del 250° anniversario della nascita di Muzio Clementi (1752 - 2002), si è svolto presso il Conservatorio di Musica di Perugia, nei giorni 4-6 ottobre 2002, il convegno di studi "Muzio Clementi, compositore - (forte)pianista - editore", organizzato dal Conservatorio stesso in collaborazione con la Società Italiana di Musicologia.

Dopo i saluti di Giuliano Silveri (direttore del Conservatorio di Perugia) e quelli di Bianca Maria Antolini (presidente della SIdM), sono iniziati i lavori del convegno. La prima sessione, presieduta da Giorgio Sanguinetti, è iniziata con la relazione di David Wyn Jones: Clementi as a publisher of music. Questo contributo ha preso in esame la carriera di editore di Clementi, che nel 1798 entra a far parte della già esistente casa editrice di John Longman, e in seguito - 1801 - crea una propria ditta con soci che si alternano nel tempo, tra i quali rimane costante la presenza di Collard. Unitamente all'attività di editore, Clementi svolge quella di venditore di fortepiani, cercando di perfezionare i modi di costruzione di questo strumento. In questi anni Clementi riscuote molto successo nell'ambiente londinese soprattutto come uomo d'affari; la rete di corrispondenze sulla quale poteva contare per riuscire a vendere le proprie edizioni risulta molto nutrita, questo grazie ai lunghi viaggi che effettua sul continente europeo, tra i quali il più importante è quello compiuto tra gli anni 1802 e 1810. La produzione editoriale di Clementi si può individuare nei singoli cataloghi: particolarmente rilevante quello del 1823, un ampio catalogo di 180 pagine che elenca tutte le opere disponibili in quel momento. Diviso in 59 sezioni, il catalogo comprende una gran quantità di edizioni per pianoforte (sonate, rondò e arie con variazioni, duetti) e un'ancor più consistente sezione di musica vocale (da canti popolari inglesi ad arrangiamenti di arie operistiche italiane e francesi). Interessanti le sezioni destinate alla musica sacra: canti destinati al servizio della chiesa anglicana e arrangiamenti di brani da oratori handeliani. La seconda parte dell'intervento di Jones ha affrontato i rapporti editoriali tra Haydn, Clementi e Breitkopf & Härtel, fornendo informazioni inedite (quali la notizia di un viaggio di Clementi a Vienna nel 1799) e nuove prospettive di lettura.

L'intervento di Galliano Ciliberti (Le sinfonie op. 18 di Clementi e la sinfonia parigina alla fine del Settecento) ha voluto evidenziare l'importanza dell' op. 18 di Clementi in relazione al contesto culturale di una Parigi ormai prossima alla rivoluzione. La notevole rilevanza di queste opere è testimoniata da un documento del 1789 che riporta le Symphonies à grand orchestre del repertorio di corte: sono presenti le due sinfonie op. 18 e il nome di Clementi è affiancato a quello di Mozart, Haydn, Pleyel ecc. Il compositore romano in questo periodo emerge e si afferma a Parigi: tra il 1780 (epoca a cui risale il primo soggiorno in Francia del giovane Muzio) e il 1789 il Journal de Paris e il Mercure de France testimoniano ben 17 annunci di edizioni, nonché 3 esecuzioni pubbliche di brani pianistici. L'importanza dell'op. 18 viene attestata anche dall'edizione parigina realizzata da Jean-Jérôme Imbault tra la fine del Settecento e il 1803 (con relativa ristampa e numeri editoriali diversi). È probabile, quindi, che l'op. 18 sia rimasta in repertorio sino alla composizione dei grandi lavori orchestrali se ancora in una coppia di cataloghi dello stampatore parigino Pierre Jean Porro relativi al 1807 e al 1810-11 compare l'avviso di vendita della riduzione per pianoforte di una delle due sinfonie oggi purtroppo dispersa. Ciliberti ha poi voluto sottolineare che la destinazione internazionale di questi componimenti può essere stabilita sia da fattori esterni (il titolo in francese presente nell'edizione londinese e la doppia pubblicazione parigina) che interni, cioè tramite l'individuazione di una forma, di uno stile nonché di una compagine strumentale funzionali sia per Londra che per Parigi o per Vienna: l'introduzione lenta con ritmi puntati dell'op. 18 n. 2 nella storia delle sinfonie parigine trova impiego in Pinaire, Simon, Martin e Haydn; stilisticamente l'op. 18 n. 1 utilizza dei segmenti costruttivi simili a due Symphonies périodiques di Pleyel; infine l'organico di 2 flauti, 2 oboi, fagotto, 2 corni e archi previsto da Clementi per l'op. 18 si riscontra fondamentalmente anche nelle altre sinfonie allegate al fascicolo della «Musique du Roy», quali quelle di Pleyel, Guénin, Rossetti e Daveaux. Si tratta dell'organico tipico dell'orchestra dei Concerts spirituels.

L'ultima relazione della giornata (Clementi and the Alan Tyson collection at the British Library), presentata da Rupert Ridgewell, ha fornito un resoconto dell'influenza che hanno avuto le ricerche compiute da Alan Tyson, uno tra i maggiori musicologi e collezionisti inglesi del Novecento, sugli studi riguardanti il compositore romano. In circa trent'anni, Tyson raccolse più di tremila edizioni di musica a stampa e settanta manoscritti: al centro della raccolta stanno Mozart, Beethoven, Schubert, Clementi e Chopin, ma sono numerose anche le opere (in genere prime edizioni) di compositori attivi tra 7 e 800 come Cramer, Neefe, Moscheles, Czerny, Henselt, Onslow, Ries e altri. Nel 1998, dopo la sua morte, la famiglia di Tyson donò l'intera collezione alla British Library e alla Bodleian Library. La raccolta ha fornito molto materiale di ricerca, anche se parte di esso non è stato ancora preso in considerazione; in particolare Ridgewell ha sottolineato come la collezione sia stata fondamentale per l'importantissimo lavoro che Tyson effettuò stilando il catalogo tematico delle opere di Clementi (1967): la collezione, infatti, comprende 15 edizioni che la British Library non possedeva. Ridgewell si è poi soffermato su alcuni casi in particolare. In primo luogo, ha segnalato un unicum, la parte del secondo fortepiano del duetto del 1781 che apparve come op. 1; poi ha posto l'accento su un volume, di provenienza sconosciuta, nel quale sono presenti tre edizioni di sonate per fortepiano pubblicate dal compositore tra gli anni 1790 e 1802 (le op. 7, 8 e 40), unitamente ad una serie di sonate per tastiera attribuite a Scarlatti. Tutte queste edizioni recano la dedica autografa di Clementi all'amico John Cleaver Banks, di cui Ridgewell ha offerto alcuni dati biografici: fra l'altro la figlia di Banks, Elizabeth, sposò il figlio maggiore di Clementi, Vincent.

La seconda sessione del convegno, presieduta da Biancamaria Brumana, ha incentrato l'attenzione sul rapporto tra Clementi ed il pianoforte, cercando di delineare le caratteristiche compositive del musicista romano emerse da alcune opere di grande spessore pianistico.

La prima relazione - Di alcune riprese 'irregolari' nelle Sonate di Clementi - è stata proposta da Giorgio Sanguinetti. Questo contributo ha voluto porre l'attenzione su come Clementi abbia trattato la forma sonata; nelle riprese della maggior parte delle sonate classiche vige il principio del 'doppio ritorno': cioè, il ritorno del tema iniziale nella ripresa coincide con il ritorno della tonica. Alcune eccezioni, ha proseguito Sanguinetti, sono le riprese alla sottodominante, le cosiddette 'riprese velate' (Leichtentritt) o le 'false riprese'. In tutti questi casi il ritorno del tema principale non è accompagnato dal ritorno della tonica, che avviene dopo. C'è anche il caso opposto, quando cioè il ritorno della tonica avviene senza il ritorno del tema principale: in questo caso il tema principale può comparire più tardi, ma può anche non comparire affatto. È quanto succede in alcune sonate per pianoforte di Clementi, specie in quelle in modo minore, due delle quali sono state analizzate con maggior riguardo da Sanguinetti: quella in Fa minore, op. 13 n. 6, e quella in Fa diesis minore, op. 25 n. 5. L'analisi mette in risalto l'influenza della concezione scarlattiana della sonata su quelle di Clementi, e la presenza in queste della struttura detta da Kirkpatrick 'crux' che in alcuni casi sostituisce la ripresa. Sanguinetti, concludendo, ha affermato che il contrasto tra ripresa tematica e ripresa tonale rivela, ancora, il conflitto irrisolto tra la concezione bipartita e la concezione tripartita della forma-sonata, al quale Clementi diede qui una soluzione altamente personale ed esteticamente valida.

L'anima del meccanico: gli adagi delle sonate di Clementi è stata la tematica proposta da Maria Grazia Sità. La maggior parte delle sonate per pianoforte di Muzio Clementi sono strutturate in tre movimenti e contengono un Adagio spesso caratterizzato da grande afflato espressivo: vista la loro collocazione a cavallo tra XVIII e XIX secolo costituiscono un interessante punto d'osservazione del tipo di espressività incarnata da un autore che Mozart definì solo “meccanico”. La Sità prende spunto dalle indicazioni sullo stacco di tempo fornite dall'autore, mettendole in relazione ai suggerimenti esecutivi riportati sul metodo per pianoforte di Clementi. Si osservano poi le tipologie di scrittura che non si limitano al modello galante (canto e accompagnamento) ma che si presentano spesso influenzate dalla scrittura contrappuntistica, oppure arricchite da riempitivi con effetti di originale sonorità. Da notarsi sono inoltre vari esempi di scrittura caratterizzata da grandi ornamentazioni, spesso condotta con varianti intensamente cromatiche. L'osservazione anche armonica e strutturale proposta dalla Sità porta a rilevare alcuni caratteri ricorrenti negli Adagi clementiani, come una certa staticità armonica di fondo, accompagnata da una efflorescenza cromatica di superficie o come l'insistente uso di frammenti scalari al basso, variamente armonizzati. Questi ed altri aspetti portano a segnalare un movimento circolare del discorso musicale, teso a ribadire e approfondire un singolo affetto, alla maniera antica, pur servendosi di una scrittura moderna e costituendo così un'affascinante via di mezzo, luogo d'incontro tra epoche diverse e diversi modelli di espressività.

Marino Pessina ha poi affrontato Il contrappunto nella produzione pianistica di Clementi. La componente contrappuntistica nella produzione clementiana è rilevante e trasversale rispetto ai generi praticati. L'interesse per il contrappunto, maturato già negli anni di formazione, trovò un primo compimento nella pubblicazione della Selection of Practical Harmony. Si riversò poi in tutta la produzione pianistica: nelle fughe (di matrice tardo-barocca eppure per molti tratti originali), nei canoni (attualizzati mediante il ricorso tematico, la quadratura fraseologica, la formalizzazione), negli studi polifonici del Gradus (esempi di scrittura "alta" e di applicazione delle specie fuxiane), nelle sonate (movimenti in stile osservato, scrittura bi-lineare, stretto rapporto tra contrappunto ed elaborazione motivico-formale). Secondo Pessina la presenza forte dell'elemento contrappuntistico testimonia l'amore di Clementi per lo stile osservato e la fede nella sua efficacia espressiva, ma è anche in sintonia con la peculiare visione del classicismo sviluppatasi in Inghilterra a fine Settecento.

La relazione di Costantino Mastroprimiano - Gradus ad Parnassum: gradualità e modernità del pianismo di Clementi - ha sottolineato quanto il Gradus possa essere considerato come la pietra angolare del pianismo moderno; l'aspetto maggiormente argomentato da Mastroprimiano è stato il carattere di "gradualità e continuità" con il quale si articola il Gradus. Le 100 composizioni, connotando gli intenti teorico-didattici di Clementi, presentano formule di scrittura ben precise, non solo derivate dalla prassi precedente, ma pongono le basi per un ulteriore progresso, creando una continuità tra il Generalbass e lo studio "moderno". Mastroprimiano ha poi passato in rassegna alcuni esempi che testimoniano questo indice di continuità e gradualità: i primi quattro studi del Gradus sono in fa maggiore, tonalità che pone il quarto dito sul tasto nero, mettendolo in condizioni di paritaria resa rispetto alle rimanenti; una determinata tipologia di meccanismo, presentata in un esercizio, viene poi ripresa sotto forma di richiami o riepiloghi in esercizi successivi (per es.:l'articolazione semplice del dito singolo sullo stesso tasto del n. 1 viene ripresa nei nn. 27 e 82; il meccanismo di terze e seste alla mano destra e passaggio del pollice alla mano sinistra presenti nello studio n. 4 vengono poi riepilogati, con l'aggiunta di altre difficoltà, nel n. 48). Mastroprimiano ha poi fatto notare come nel Gradus siano presenti delle sezioni ognuna delle quali sviluppa un determinato meccanismo: nella sequenza di studi nn. 21-24, per esempio, viene trattato il meccanismo della rotazione nei suoi vari aspetti. La metodologia con cui Clementi articola i vari meccanismi negli studi del Gradus è rintracciabile, però, anche in alcune sonate (testimonianza di ciò sono le affinità presenti, per esempio, tra lo studio n. 48 e il I° movimento della Sonata op. 25 n. 1).

La terza sessione del convegno, presieduta da Costantino Mastroprimiano, si è aperta con la relazione di Alessandro Mastropietro - Sonata caratteristica e soggetto estetico: questioni intertestuali di genere e forma nella sonata Didone abbandonata - che ha sottoposto a un'analisi dettagliata da un punto di vista estetico e formale la sonata op. 50 n. 3 in Sol minore, cercando di inquadrarla in un preciso momento dell'evoluzione della poetica clementiana. Mastropietro afferma che la “Didone Abbandonata” fu posta dall'autore, con preciso piano editoriale, al termine della sua traiettoria compositiva. La scelta di una “sonata caratteristica”, da parte del Clementi alfiere della “musica assoluta”, pone sul tappeto alcune questioni: esse possono essere raffrontate a quelle poste ad es. da Dahlhaus, quanto a Beethoven, per la Sonata “Les Adieux”, nella quale il musicologo tedesco ha tentato di analizzare, fino a pesarle, le presenze dei soggetti estetico e biografico all'interno del testo musicale. Nel caso specifico della “Didone Abbandonata”, un'analisi similare si limita naturalmente al soggetto estetico, e a come le sue scelte compositive determinano la specificità del testo della Sonata; perciò, essa è stata sottoposta ad un'analisi intertestuale, cercando di pesarne gli elementi stilistici caratterizzanti e, soprattutto, le relazioni intertestuali che essa presuppone. Data la straordinaria vastità dell'intertesto potenziale, si è scelto di focalizzare l'attenzione sull'intertesto drammatico-letterario di riferimento (la tragedia del Metastasio), sulla Sonata rappresentativa barocca (in particolare la Sonata op. 1 n. 10 di Tartini), sulla copiosa produzione di Sonate caratteristiche coeve alla pubblicazione dell'op. 50 n. 3, e infine sulle stesse Sonate clementiane in tonalità minore: queste ultime due tipologie intertestuali hanno condotto dapprima, attraverso un raffronto dovizioso di esempi e tabelle, ad un'apparente sentenza di non-alterità della “sonata caratteristica” clementiana rispetto a strutture e strumenti strutturanti rintracciabili nelle Sonate senza sottotitoli; la “Didone Abbandonata”, secondo Mastropietro, si porrebbe senza alcuna discontinuità lungo il percorso compositivo dell'autore, salvo il ricorrere a materiali tematici connotati, in base alla koiné del tempo, nella rappresentazione musicale degli affetti e della loro dinamica. Tuttavia, anche l'architettura statuaria e poderosa dei blocchi strutturali, rinvia a una logica che procede per nuclei scenici ben individuati, e che è relativamente nuova nello stesso sonatismo clementiano.

Il contributo di Guido Zaccagnini (Il pianismo di Field tra la lezione di Clementi e le invenzioni di Chopin) ha illustrato l'influenza di Clementi nei confronti dell'allievo John Field, sicuramente uno degli interpreti di spicco nel panorama europeo tra gli ultimi anni del Settecento e i primi dell'Ottocento. Zaccagnini ha poi voluto sottolineare come il musicista irlandese non goda oggi di grande considerazione nonostante la fama ottenuta in vita. Field ha esordito come concertista a Londra nel 1794 e ha continuato a perfezionarsi col suo maestro seguendolo nei suoi viaggi del 1802. Da questo momento in poi, inizia a staccarsi da Clementi cominciando a girare l'intera Europa (Germania, Pietroburgo, Svizzera, Italia), incontrando un largo consenso (fu apprezzato molto da Liszt ma non da Chopin). Dopo questi cenni biografici, Zaccagnini si è soffermato su diverse similarità strutturali e formali riscontrate tra alcune opere per pianoforte di Field e di Chopin: il Notturno n. 14 di Field strutturalmente è molto vicino al Preludio op. 28 n. 4 di Chopin (passaggi di semitono presenti alla mano destra e ripetizioni dell'accompagnamento accordale alla sinistra); la stessa somiglianza si può riscontrare tra la coda del primo movimento del Concerto per pianoforte ed orchestra n. 7 di Field ed il Notturno op. 55 n. 1 di Chopin (andamento ritmico terzinato presente alla mano destra ed alternanza tra una nota grave ed un accordo al basso), tra il Notturno n. 9 di Field ed il Notturno op. 9 n. 2 di Chopin (medesimo impiego del gruppetto alla mano destra e stessa disposizione del basso).

L'evoluzione stilistica e formale delle sonate per tastiera con accompagnamento è stato il tema argomentato da Silvia Faregna (Le sonate per tastiera con accompagnamento: caratteristiche e funzioni di un genere nel secondo Settecento), evoluzione che spesso è legata a motivazioni di carattere didattico, editoriale, o semplicemente musicale. La Faregna ha ricordato, in primis, che la funzione di tale composizione strumentale, in questo periodo, è strettamente legata alle esecuzioni private di non professionisti; proprio per questo motivo vi è, da parte degli editori, un grande interesse. Altro spunto di riflessione proposto dalla Faregna è la nascita di un interesse didattico nei confronti della sonata per tastiera con accompagnamento; questo dato emerge dai numerosi riscontri presenti nei metodi per tastiera soprattutto nelle ultime due decadi del Settecento. Le sonate con accompagnamento di Clementi (14 raccolte escluso l'op. 30 e l'op. 31) si collocano in una fase di prima maturazione di questa forma. Le numerose dediche a personaggi femminili ed un livello tecnico non difficilissimo (fatta eccezione per l'op. 22) fanno pensare ad una destinazione borghese. Infine, la Faregna ha focalizzato l'attenzione sull'influenza che ha avuto il contesto culturale per la produzione di questo genere musicale: l'op. 5 e 6 sono raccolte di sonate per fortepiano con accompagnamento di violino dove sono presenti delle fughe; sono state pubblicate a Parigi nel 1781 (proprio nell'ambiente parigino questo tipo di repertorio gode di grande diffusione). Nel 1782 Clementi si reca a Vienna, scrivendo sonate per fortepiano solo (in questo contesto culturale non vi è una forte diffusione della sonata accompagnata), ma negli anni 1788-89 compone l'op. 21 e 22 (proprio a causa dell'esponenziale crescita di interesse da parte dell'ambiente viennese verso questo nuovo genere).

Nell'ultimo intervento della seconda giornata Bianca Maria Antolini (La diffusione della musica di Clementi nell'editoria otto-novecentesca) ha proposto una serie di osservazioni sul cambiamento di destinazione e di funzione che la musica di Clementi sperimenta nel corso dell'Ottocento e nel primo Novecento e sul correlato mutamento dell'immagine di Clementi presso il pubblico. Durante la vita di Clementi le sue composizioni vengono stampate in tutta Europa, in innumerevoli edizioni (per la maggior parte si tratta di raccolte di sonate): esse, man mano che escono, vengono acquistate da un vasto pubblico di dilettanti e di musicisti. Dopo la morte di Clementi, la produzione diminuisce, per ricomparire in gran quantità dagli anni '60 dell'Ottocento (periodo di grande espansione dell'editoria musicale, specie tedesca). In questi anni la musica di Clementi è rappresentata da scelte di Sonate (in genere le 12 o 18 sonate ritenute dal revisore le più significative), con una evidente destinazione didattica. Un caso particolare è dato dalla straordinaria diffusione editoriale del Gradus ad Parnassum che però, nella seconda metà dell'Ottocento, non viene più pubblicato completo: i 100 studi diventano 50 nell'edizione di Köhler, 29 in quella di Tausig, 36 in quella di Lebert, 34 in quella di Frugatta, 40 in quella di Sgambati ecc. La Antolini si è poi soffermata sullo specifico ruolo assunto dalla musica di Clementi nell'ambito italiano, anche e soprattutto attraverso l'editoria: Clementi diventa infatti, tra la seconda metà dell'Ottocento e il primo Novecento, uno dei campioni dell'italianità strumentale. Le tappe di questo processo, iniziato con il III volume della raccolta L'arte antica e moderna, furono le edizioni di Vismara, Andreoli, Buonamici, Sgambati, per arrivare all'edizione di Paribeni nella serie dei Classici della musica italiana editi da Notari nel 1919.

La terza ed ultima giornata del convegno di studi si è aperta con una tavola rotonda che ha visto la lettura della relazione di Michele Campanella (Clementi, poesia e accademia) e la discussione di problematiche storico-interpretative delle opere di Clementi da parte di Maria Tipo, Roberto De Caro e Guido Salvetti. Il contributo di Campanella ha sottolineato tre aspetti fondamentali del musicista romano: egli ha inventato la tecnica pianistica, è stato precursore del romanticismo nonché ispiratore di L. van Beethoven. Campanella sostiene, tuttavia, che la produzione pianistica di Clementi (soprattutto le sonate) paragonata con quella di Haydn e Mozart presenta qualche défaillance: nella sonata op. 7 n. 3 , per esempio, si riscontra qualche debolezza di orchestrazione; in genere non sono infrequenti cadute di linguaggio e di invenzione, i mutamenti di tono appaiono ingiustificati e insostenibili (come nei rondò). Clementi ha composto sonate non esenti da pecche: la Sonata in Si minore op. 40 ha un buon inizio, tuttavia l'enfasi nell'introduzione è troppo lenta e la tensione cede già alla nona battuta; insiste troppo sulle ottave spezzate ed il Largo non è all'altezza del primo tempo. Le argomentazioni di Campanella proseguono con l'affermare che Clementi ha la tendenza a drammatizzare troppo nel modo minore non creando quell'equilibrio proprio di Schubert e Mozart tra modo maggiore e modo minore: ne deriva un ethos troppo teatralizzante. In realtà il vero merito storico da attribuire a Clementi è quello di aver colto le possibilità espressive del nuovo strumento. Chiudendo, Campanella fornisce la sua chiave di una giusta interpretazione del musicista romano: non bisogna eseguirlo come protoromantico ed è necessario, al contempo, valutare attentamente le indicazioni dinamiche e comprendere la sua retorica.

Roberto De Caro, editore degli Opera Omnia di Muzio Clementi (UtOrpheus Edizioni), ha sottolineato il suo impegno nella pubblicazione del volume Muzio Clementi. Studies and Prospects: non c'è bisogno di rivalutare, secondo De Caro, la figura del musicista romano ma, al contempo, è necessario un approfondito studio teso a restituire i suoi lavori, con estrema attenzione alla prospettiva storica di riferimento. Maria Tipo ha voluto affrontare, invece, problematiche di carattere interpretativo, coadiuvata da Guido Salvetti, il quale ha proposto interessanti osservazioni di carattere estetico. La Tipo ha esposto la sua esperienza di interprete, avendo basato gran parte delle sue scelte di repertorio (pionieristiche per l'epoca) sul sonatismo di Muzio Clementi.

Il convegno è stato preceduto da una Masterclass di fortepiano tenuta da Edoardo Torbianelli (Il sonatismo di Muzio Clementi) ed è stato accompagnato da alcuni concerti: alla fine della prima giornata un concerto del Complesso da Camera dell'Orchestra di Perugia diretta da Giuliano Silveri (musiche di Clementi: Sinfonia op. 18 in Si bemolle Maggiore, e di Schubert: sinfonia n. 5 in Si bemolle Maggiore); alla fine della seconda un concerto per fortepiano eseguito da Edoardo Torbianelli (musiche di Clementi, fra le quali la Sonata in Mi bemolle Maggiore op. 41 e il Capriccio in Mi minore op. 47 n. 1). A conclusione del convegno il concerto su strumenti originali ed in prima esecuzione moderna nel quale è stato eseguito il Concerto in Fa Maggiore KV 459 per fortepiano ed orchestra di Mozart (versione per fortepiano, flauto, violino e violoncello di Cramer) e la Sinfonia in Re Maggiore n. 104 di Haydn (versione per fortepiano, flauto, violino e violoncello di Clementi). Gli interpreti sono stati Fiorella Andriani (flauto), Liana Mosca (violino), Francesco Pepicelli (violoncello) e Costantino Mastroprimiano (fortepiano).

Leonardo Miucci